Furto in azienda del lavoratore: non è “depenalizzato”. Fatto tenue escluso


L’archiviazione del procedimento penale è esclusa dal fatto che c’è l’aggravante dell’abuso delle relazione personali: conta la modalità della condotta da parte del reo.
Il dipendente che ruba in azienda non può essere perdonato e, oltre al licenziamento, si fa anche il carcere. È vero: da quest’anno tutti i reati punti con la sola pena pecuniaria e/o con l’arresto fino a 5 anni sono “depenalizzati”, o meglio, pur rimanendo sporca la fedina penale del colpevole, il procedimento viene archiviato e il reo non subisce alcuna pena [1]: tuttavia questo trattamento di favore (che si applica per una larga serie di reati) non vale nel caso in cui il lavoratore abbia sottratto beni alla propria azienda, anche se poi li ha restituiti e ha risarcito il datore di lavoro. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza [2].
La nuova norma [1] esclude l’applicazione del beneficio della non punizione in alcuni casi e cioè se il colpevole:
– è delinquente abituale, professionale o per tendenza;
– ha già commesso altri fatti simili per condotta, scopo od oggetto di offesa;
– ha già commesso un reato che riguarda comportamenti abituali, plurimi o reiterati: è ad esempio il caso dello stalking, per il quale il colpevole non potrà ottenere la non punibilità, neanche per una volta;
– ha agito per motivi abbietti o futili o con crudeltà o sevizie;
– ha provocato lesioni gravissime o la morte alla vittima;
– ha approfittato delle condizioni di età o di altre condizioni della vittima (es. anziano, minore, disabile);
In buona sostanza tutti questi paletti stanno a evidenziare che il giudice, nel decidere se accordare o meno il perdono, deve verificare anche la modalità della condotta oltre all’esiguità del danno. E dunque l’appropriazione indebita del dipendente che ha sottratto beni al proprio datore di lavoro non può essere scriminata in quanto, nel caso di specie, si applica l’aggravante dell’abuso di relazioni personali [3].
Ai fini della non punibilità non conta quindi il fatto che il reo abbia ammesso la propria colpa restituendo il bene e che lo stesso abbia scarso valore (un pc e un cellulare), né il fatto che abbia aperto il portafogli e risarcito il danno prodotto: questi sono comportamenti avvenuti dopo il reato (e che, quindi non rilevano). Al contrario, per concedere il perdono, il giudice deve verificare il comportamento al momento del crimine. Ebbene, il fatto che il codice penale abbia previsto, nel caso di furto in azienda, l’aggravante è sintomo che la condotta è particolarmente grave o comunque deprecabile; dunque, non si può considerare un “fatto tenue” in presenza solo del quale, appunto, la legge collega l’archiviazione del procedimento penale.
note
[1] Art. 131-bis cod. pen.
[2] Cass. sent. n. 41742/2015.
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