Cosa rischia il genitore invadente? Il pressing con telefonate, avvicinamenti e inseguimenti nei confronti del figlio minore costituisce stalking?
«I figli so’ pezzi ‘e core» è il titolo di un film degli anni ’80 che illustra efficacemente quali sono i sentimenti di un genitore per il proprio figlio. A volte, però, si rischia di esagerare con l’affetto manifestato verso la prole, tanto da poter rischiare perfino di infrangere la legge. Ad esempio, il genitore che pedina il figlio commette reato?
Mettiamo il caso che una madre particolarmente ossessiva decida di seguire il proprio figlio minore per vedere chi frequenta e se si mette in pericolo. Una condotta del genere è legale? Dipende dalle modalità del pedinamento e dalla restante condotta del genitore. Approfondiamo questa specifica tematica.
Pedinare una persona è legale?
Il pedinamento non è di per sé una condotta illecita, se avviene in un luogo pubblico o aperto al pubblico. Ad esempio, mettersi alle costole di chi si trova in strada oppure di chi va al cinema non costituisce un illecito.
Non lo è nemmeno avvalersi di dispositivi di localizzazione (cosiddetti “Gps tracker”) per seguire le persone, come spesso fanno gli investigatori privati.
A tutto c’è un limite, però. Il pedinamento è illegale se diventa eccessivamente insistente, così da arrecare disturbo al pedinato o addirittura da indurgli un grave stato di ansia.
In ipotesi del genere il pedinamento può dar luogo al reato di molestia oppure a quello di stalking.
Pedinare una persona: quando ci sono le molestie?
Il pedinamento integra il reato di molestie quando l’inseguimento diventa particolarmente insistente e, quindi, fastidioso e molesto per la vittima oppure particolarmente “vistoso”.
In altre parole, affinché il pedinamento si tramuti nel reato di molestie occorre che:
- la persona inseguita si sia accorta di essere pedinata e, pertanto, si senta importunata da tale condotta;
- anche se la persona pedinata non si sia accorta di ciò, il pedinamento dà particolarmente nell’occhio e crea una sensazione di disagio in pubblico.
Trattandosi di reato procedibile d’ufficio, chiunque può denunciare il pedinamento molesto, anche una persona che vi assista e che si trovi in un luogo pubblico.
Per andare esente da responsabilità, dunque, il pedinatore deve agire con la massima discrezione, in modo che nessuno (neanche terze persone) si accorga dell’attività investigativa.
Insomma, si può pedinare una persona anche in un luogo pubblico, su una strada, per auto o in un parco, a condizione di non essere visti o che comunque la persona pedinata non si senta minacciata o importunata.
Quando scatta lo stalking per pedinamento?
Seguire una persona diventa stalking quando il pedinamento causa un grave e duraturo stato d’ansia nella persona pedinata [2].
Secondo la giurisprudenza [3], per la sussistenza del reato è sufficiente che gli atti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, non essendo richiesto che il turbamento così determinato integri gli estremi dello stato patologico.
Dunque, secondo i giudici, il grave turbamento provocato alla vittima non deve necessariamente sfociare in una malattia vera e propria; la vittima non deve perciò fornire prova dei medicinali che sta assumendo per curarsi oppure della certificazione medica che provi il danno alla salute.
Il genitore che pedina il figlio commette un reato?
Secondo la Corte di Cassazione [4], il genitore che pedina il figlio, anche se minorenne, cercando di avere contatti con lui, che gli telefona di continuo, che prova ad avvicinarlo nei luoghi da lui normalmente frequentati (come la scuola), commette il reato stalking.
Secondo la Suprema Corte non rileva l’esistenza di un rapporto genitore-figlio: l’aver procurato turbamento nella vittima, tanto da farla temere per la propria incolumità, fino a cambiare le abitudini della propria vita, è un atto persecutorio punito penalmente.
È necessaria la piena coscienza, da parte del genitore, dell’idoneità delle sue condotte ossessive, tali da produrre effetti negativi sul figlio, effetti cioè destabilizzanti sul piano della serenità, dell’equilibrio psichico e delle ordinarie abitudini di vita.
A tale consapevolezza deve corrispondere, dall’altro lato, il disagio del figlio, un conclamato stato di ansia e di apprensione che lo spinga a cambiare le abitudini di vita quotidiana.
Tale orientamento è stato confermato anche da più recente giurisprudenza [5], secondo cui chi pedina e tempesta di messaggi l’ex moglie rischia di incorrere nel reato di stalking, anche se si adduce come scusa l’intento di voler sapere se il coniuge ha un reddito, così da evitare il mantenimento.
Genitore pedina figlio: quando c’è stalking?
Possiamo quindi concludere affermando che il genitore che pedina il figlio commette stalking se questa condotta si unisce ad altre che, nel complesso, creano un disagio così forte nel figlio da arrecargli un grave stato d’ansia o da costringerlo a modificare le proprie abitudini di vita (ad esempio, a non uscire più).
Al contrario, il pedinamento insistente che non ha queste ripercussioni sulla salute o sullo stile di vita del figlio integra solamente il reato di molestie, che scatta per il semplice fatto di aver importunato pubblicamente la vittima.
Il genitore che pedina il figlio commette stalking se questa condotta si unisce ad altre che, nel complesso, creano un disagio così forte nel figlio da arrecargli un grave stato d’ansia o da costringerlo a modificare le proprie abitudini di vita (ad esempio, a non uscire più).
Al contrario, il pedinamento insistente che non ha queste ripercussioni sulla salute o sullo stile di vita del figlio integra solamente il reato di molestie, che scatta per il semplice fatto di aver importunato pubblicamente la vittima.
note
[1] Art. 660 cod. pen.
[2] Art. 612-bis cod. pen.
[3] Cass., sent. n. 8832 del 7 marzo 2011.
[4] Cass. sent. n. 42566/15 del 22.10.2015.
[5] Cass., sent. n. 111 del 5 gennaio 2022.
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Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 aprile – 22 ottobre 2015, n. 42566
Presidente Nappi – Relatore Bruno
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza dei 14 dicembre 2012, con la quale il Tribunale di Ravenna aveva dichiarato E.M.S. colpevole dei reato di cui all’art. 612 bis cod. pen. perché, con condotte reiterate, molestava la figlia minore T.G. con condotte reiterate, ingenerando in lei un fondato timore per l’incolumità propria e, comunque, costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita; condotte consistite, in particolare, nel contravvenire pressoché quotidianamente al divieto di prendere contatti con la figlia minore T.G., imposto dal Tribunale per i minorenni di Bologna con decreto in data 11.16.2005, telefonandole continuamente presso l’abitazione o comunque alle utenze del padre e dei nonni per parlarle, raggiungendola reiteratamente presso i luoghi dalla medesima frequentati (istituti scolastici, luoghi di svago, abitazione, eccetera) ed appostandosi nelle immediate vicinanze degli stessi (ovvero entrandovi all’interno o comunque suonando ripetutamente il campanello per cercare di entrare), pedinandola nei suoi spostamenti e, poi, cercando ogni volt di avvicinarla e e di prendere contatti con lei; e, per l’effetto, l’aveva condannata, esclusa la recidiva, alla pena dì anni uno e mesi sei di reclusione, oltre consequenziali statuizioni.
Avverso la anzidetta pronuncia l’imputata, personalmente, ha proposto ricorso per cassazione lamentando, con unico motivo, erronea applicazione
violazione di legge in relazione agli artt. 43 e 612 bis cod. pen. (ai sensi dell’art. 606 lett. b) e in mancanza, contraddittorietà ed illogicità di motivazione (ai sensi dell’art. 606 lett. e). In particolare, si deduce mancanza di motivazione in ordine
all’elemento psicologico, non potendo ritenersi che la volontà della madre fosse realmente diretta a creare turbamento nella minore ovvero costringerla a modificare le sue quotidiane abitudini di vita. Contesta, altresì, la possibilità di configurare l’elemento soggettivo in chiave di dolo eventuale, quale accettazione preventiva del rischio di creare turbamento nella minore o costrizione ad abbandonare le ordinarie occupazioni.
Considerato in diritto
1. Le distinte censure che sostanziano l’unico motivo di ricorso sono tutte palesemente infondate. In una valutazione d’assieme, esse si risolvono, in sostanza, nella mera riproposizione di rilievi critici che, per vero, avevano già trovato compiuta e pertinente risposta nelle due sentenze di merito.
Sarà, allora, sufficiente considerare che dal compendio argomentativo delle anzidette sentenze, che – in quanto convergenti in punto di penale responsabilità – forma una sola entità giuridica, integrandosi vicendevolmente, risultano perfezionati
entrambi gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 612 bis.
Sul piano della dimensione oggettiva è stata accertata un’ossessiva condotta dell’odierna ricorrente, caratterizzata da reiterate, pervicaci, intromissioni e turbamenti nel vissuto esistenziale della minore, in spregio peraltro dei divieti e delle prescrizioni del Tribunale per i minorenni.
Parimenti accertato è il nesso causale tra tale ostinata condotta e l’evento, consistente, nel caso di specie, nello stato di ansia ed apprensione arrecato alla minore e nel cambiamento delle sue abitudini di vita. I due eventi tipici, dei tre previsti dalla norma sostanziale, sono stati, correttamente, desunti da pertinenti ed obiettivi dati sintomatici tratti dalle risultanze di causa (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, Rv. 261535; Sez. 6, n. 20038 del 19/03/2014, Rv. 259458).
Ineccepibile, poi, è l’individuazione del profilo soggettivo, che si pone in sintonia con indiscusso insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo cui nel delitto di atti persecutori, l’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260411; Sez. 5, n. 20993 del 27/11/2012, dep. 2013, Rv. 255436 secondo cui il delitto di atti persecutori è reato abituale di evento, per la cui sussistenza, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, il quale è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice). Dunque, è sufficiente la mera consapevolezza dell’idoneità delle condotte ossessive alla produzione di uno degli eventi tipici previsti dalla norma. La necessità, poi, che detta valutazione debba essere compiuta non solo in astratto, ma anche in rapporto all’oggettiva constatazione del riflessi consequenziali della condotta illecita, destabilizzanti sul piano della serenità ed equilibrio psichico della persona offesa e delle sue ordinarie abitudini di vita, vale a fugare le perplessità difensive in ordine alla possibilità di configurare l’elemento soggettivo in chiave di dolo eventuale, a parte l’irrilevanza dei rilievo posto che la componente soggettiva, nel caso di specie, non risulta affatto configurata nei termini anzidetti, ma correttamente posta in termini di dolo generico.
3. Per quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo.
Ricorrono le condizioni di legge per disporre che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano oscurati i dati sensibili.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dispone che, in caso di diffusione dei presente provvedimento, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, come imposto dalla legge, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 1957/2003.