Niente mantenimento se la moglie non vuole lavorare


La mancata presentazione all’ufficio di collocamento o le dimissioni volontarie dal posto di lavoro fanno perdere il mantenimento.
Il mantenimento nei confronti della donna, che dopo la separazione non dispone degli stessi redditi dell’ex marito e, comunque, non è in grado di mantenere lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, si giustifica solo se questa non ha la possibilità di trovare un lavoro. Questo orientamento sta ormai facendo breccia all’interno della giurisprudenza e, in particolare, di quella della Cassazione. È proprio la Suprema Corte, con una recente sentenza [1] a chiarire che, se il divario fra i redditi della ex moglie e quelli percepiti dal marito, ancora in attività, non è imputabile ad oggettive difficoltà di reperimento di un lavoro da parte della prima, ma solo a una sua pigrizia tendenziale, allora alcun mantenimento le è dovuto.
Non rileva, dunque, il fatto che la donna abbia un reddito più basso di quello del marito se è ancora in età da lavoro e con una formazione tale che potrebbe consentirle di reimpiegarsi nel mercato del lavoro. Nel caso di specie, la donna – cui è stato perciò negato il mantenimento – aveva svolto due lavori in passato rimanendo disoccupata per non essersi presentata all’ufficio di collocamento benché fosse stata chiamata per una nuova occupazione; la donna, tuttavia, aveva preferito trasferitasi a Napoli presso la casa della madre.
Niente mantenimento se la moglie percepisce un canone di affitto
Sempre con la stessa pronuncia, viene preso in considerazione un altro importante aspetto: l’ex moglie che percepisce mensilmente redditi derivanti dall’affitto di un proprio appartamento può perdere l’assegno di mantenimento: l’entrata periodica derivante dal canone di locazione, infatti, migliora le condizioni economiche della donna riportandole su un piano paritario a quelle dell’ex marito.
L’assegno di mantenimento (nel caso di separazione) o quello divorzile (nel caso di divorzio) hanno lo scopo di riallineare le condizioni di reddito dei due ex coniugi, facendo sì che anche quello meno benestante possa godere, dopo la separazione, dello stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio. È chiaro che, se in astratto il contributo da versare nei confronti dell’ex coniuge non è elevato (perché scarse sono le effettive possibilità del soggetto obbligato e non particolarmente agiato era il tenore di vita della coppia durante il matrimonio), anche la periodica percezione di una somma di poche centinaia di euro, come un canone di locazione, potrebbe essere di per sé sufficiente a riequilibrare i due redditi e, quindi, ad escludere l’assegno di mantenimento.
note
[1] Cass. sent. n. 24324 del 27.11.15.
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