REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI FROSINONÉ
Sezione Civile
in composizione monocratica, in persona del giudice designato dott. Sandro VENARUBEA, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero 3254 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2007 posta in deliberazione all’udienza del 21 marzo 2014 e vertente
TRA
D.MA., elettivamente domiciliato in Paliano (FR), via (…), presso lo studio dell’avv. An.Ro., che lo rappresenta e difende giusta procura a margine dell’atto di citazione
attore contro
CO.OR., elettivamente domiciliata in Frosinone, via (…), presso lo studio dell’avv. Ro.Do., che la rappresenta e difende giusta procura in calce, alla copia notificata dell’atto di citazione.
convenuta OGGETTO Restituzione somma CONCLUSIONI per D.Ma.Al.:
“dichiarare la signora Co.Or. a corrispondere all’attore la somma dovutagli pari al 50 per cento del costo delle opere realizzate nel corso del matrimonio, che verrà accertata nel corso del giudizio per le causali in narrativa dedotte, oltre interessi legali e rivalutazione sino all’effettivo soddisfo.
Con vittoria di spese; per Co.Or.:
“determinare l’ammontare della somma effettivamente dovuta al D.Ma., condannando quest’ultimo al pagamento delle spese processuali nel caso in cui la somma determinata sia uguale o inferiore a quella di Euro 50.000,00 offerta dalla convenuta”.
FATTO e DIRITTO
(ex art. 132 c.p.c. come novellato dalla Legge n. 69/2009)
Premesso che D.Ma., lasciata la casa coniugale a seguito della separazione personale con Co.Or. in quanto di proprietà di quest’ultima, conveniva in giudizio la predetta al fine di ottenere il rimborso del proprio sostegno economico per la realizzazione, in regime di comunione legale, di tale immobile, quantificando il suddetto sostegno nel 50 per cento di Euro 210.456,18, ossia delle spese complessivamente sostenute;
premesso, altresì, che si costituiva in giudizio la convenuta, non opponendosi al rimborso, per il quale anzi offriva a titolo di definizione bonaria la somma di Euro 50.000,00, ma contestando la predetta quantificazione, ritenuta eccessiva, e chiedendo, in ogni caso, che da questa fosse espunta in ogni caso la cifra di Euro 77.468,54, di esclusiva proprietà di essa convenuta, in quanto ricevuta per successione e donazione, parimenti al terreno sul quale era stato realizzato l’immobile in questione;
ritenuto, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, che il principio generale dell’accessione posto dall’art. 934 c.c., in base al quale il proprietario del suolo acquista ipso iure al momento dell’incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata e la cui operatività può essere derogata soltanto da una specifica pattuizione tra le parti o da una altrettanto specifica disposizione di legge, non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un’apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177, comma 1, c.c. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all’onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell’onere della prova d’aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le somme spese a tal fine (ex plurimis Cass. 3 luglio 2013, n. 16670 ord.);
rilevato che secondo l’espletata CTU le spese documentate relative all’opera in questione ammontano ad Euro 105.808,87 e che tale quantificazione non è stata specificamente contestata da alcuna delle parti;
ritenuto che dal predetto ammontare non possa essere espunta la somma di Euro 77.468,54, atteso che in atti non vi è prova adeguata se e, soprattutto, in quale percentuale tale somma, di proprietà esclusiva della Co. ex art. 179 lett. b c.c., sia stata utilizzata per la costruzione della casa coniugale (al riguardo le dichiarazioni dei testi indicati dalla convenuta sono generiche e spesso de relato, mentre le dichiarazioni sul punto del D.Ma. rese in sede di interrogatorio formale non possono essere usate in maniera frazionata come vorrebbe parte convenuta, atteso che il predetto nel dichiarare che la Co. ha utilizzato anche somme personali, afferma anche che le spese sostenute sono state circa il doppio di quelle ammesse da controparte, sicché secondo il confidente i due apporti – e ciò esclude la valenza confessoria – comunque si eguaglierebbero), tanto più che, optando diversamente, si arriverebbe a riconoscere a parte attrice il rimborso di Euro 14.170,16 (v.
pag. 8 della comparsa conclusionale di parte convenuta), il che appare stridere con la dichiarazione della Co., formalizzata in atti (e dunque valutabile ex art. 116, comma 2, c.p.c.), di voler transigere con il versamento di Euro 50.000,00 (appare infatti poco plausibile che per la definizione transattiva una parte sia disponibile a versare oltre il triplo della somma effettivamente dovuta);
rilevato che, salvo l’esenzione di cui al punto che precede – ma, come visto, ritenuta non adeguatamente provata -, la Co. non contesta la quantificazione del contributo di controparte nel 50 per cento, sicché tale criterio appare applicabile al predetto importo desunto dalla CTU, con la conseguenza che al D.Ma. spetta il rimborso di Euro 52.904.43 (ossia il 50 per cento della somma di Euro 105.808,87);
ritenuto che su tale importo, in quanto credito di valuta, siano dovuti interessi legali a decorrere dallo scioglimento della comunione a seguito della separazione personale dei coniugi, momento in cui il diritto al rimborso è divenuto liquido ed esigibile (Cass. 24 maggio 2005, n. 10896), mentre nulla è dovuto a titolo di risarcimento del danno, atteso che, come si evince dalle conclusioni sopra trascritte, esso è stato così genericamente chiesto, mentre il creditore di una obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere, piuttosto, di domandare espressamente il risarcimento del “maggior danno” ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c., non potendosi limitare a domandare semplicemente la condanna del debitore al pagamento, appunto, della rivalutazione, non essendo quest’ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta (Cass. 23 marzo 2015, n. 5743);
ritenuto che, stante l’accoglimento soltanto parziale relativamente al quantum, le spese del giudizio siano da compensare tra le parti e che, parimenti, le spese di CTU, come liquidate con separato decreto, siano da porre definitivamente a carico di entrambe le parti, nella misura del 50 per cento ciascuna.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione o deduzione disattesa, così provvede:
CONDANNA CO.OR. a versare a D.MA. la somma di Euro 52.904,43, oltre interessi legali dalla data dello scioglimento della comunione sino al soddisfo;
DICHIARA integralmente compensate tra le parti le spese di lite;
PONE le spese di CTU, come liquidate con separato decreto, definitivamente a carico di entrambe le parti nella misura del 50 per cento ciascuna.
Così deciso in Frosinone il 5 giugno 2015. Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2015.