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Oltraggio a pubblico ufficiale

10 Gennaio 2016
Oltraggio a pubblico ufficiale

Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, i presupposti, l’aggravante, la non punibilità della reazione agli atti arbitrari, il risarcimento.

Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, inizialmente previsto dal codice penale [1], e poi abrogato [2], è stato reintrodotto nel 2009 [3]: esso consiste nella condotta di chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni. La sanzione è la reclusione fino a tre anni.

I presupposti

La norma è rivolta a tutelare l’onore e il prestigio del pubblico ufficiale. Proprio per questo il reato, nella nuova configurazione, si configura solo se:

  • – la condotta viene posta in luogo pubblico o aperto al pubblico. Per “luogo pubblico” si intende quel luogo continuativamente libero, di diritto e di fatto, a tutti o a un numero indeterminato di persone senza alcuna limitazione di accesso o di orario (vedi una piazza), mentre il luogo aperto al pubblico si caratterizza per un accesso limitato a determinati momenti, o a specifiche categorie di soggetti aventi determinati requisiti, oppure è sottoposto all’osservanza di definite condizioni, poste da chi esercita un diritto sul luogo in questione (il parcheggio di un supermercato, un cinema, ecc.);
  • – la condotta viene posta alla presenza di più persone (tale circostanza, in precedenza, costituiva solo una aggravante). Non è necessario che il reato venga commesso in presenza del pubblico ufficiale offeso (requisito che in passato ulteriormente evidenziava l’affinità dell’oltraggio con l’ingiuria) [4];
  • – il pubblico ufficiale viene offeso “mentre compie un atto d’ufficio” e a causa o nell’esercizio delle sue funzioni. Non è sufficiente, dunque, che il pubblico ufficiale si trovi “nell’esercizio delle sue funzioni” ma è richiesto, in più, che l’oltraggio venga commesso mentre egli sta effettivamente compiendo un atto d’ufficio, il che ulteriormente sembra restringere l’ambito di applicazione della norma incriminatrice. Per esempio, se Tizio offende un vigile mentre fa le multe, dicendogli che la sua faccia sembra quella di uno spaventapasseri, non commette oltraggio a pubblico ufficiale. Al contrario, se Tizio offende il vigile proprio a causa delle multe che sta facendo alle auto, e gli grida “sei un infame” allora il reato è certamente sussistente.

In tal modo non rilevano le offese relative a comportamenti privati del soggetto, che altrimenti, laddove venissero valutate come rilevanti, determinerebbero un inammissibile privilegio del soggetto (tali offese potranno quindi essere perseguite per il tramite della disciplina dell’ingiuria aggravata).

Al contrario del passato, non scatta il reato di oltraggio a pubblico ufficiale in caso di comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti o disegni diretti al pubblico ufficiale. Quindi, se Tizio risponde male al poliziotto al telefono o gli chiude il telefono in faccia non può essere incriminato per tale reato. Questo perché è necessario che l’offesa sia rivolta alla presenza di più persone (requisito ovviamente incompatibile con le comunicazioni offensive a distanza).

La necessaria presenza di più persone alla consumazione del reato elimina, sul piano processuale, il problema della prova ossia il rischio che lo stesso pubblico ufficiale venga a costituire l’unica fonte della prova del fatto.

Infatti, il requisito della presenza di più persone si traduce nella richiesta che l’offesa venga percepita anche da altri oltre che dal pubblico ufficiale.

La frase

Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale può ritenersi integrato quando siano rivolte al destinatario delle parole o frasi volgari e offensive, sebbene di uso corrente nel linguaggio usato nella società moderna. Tali parole devono assumere una valenza obiettivamente denigratoria di colui il quale esercita la pubblica funzione. Per cui non scatta il reato se la frase costituisce espressione di semplice critica, anche accesa, o di villania.

In un precedente giurisprudenziale, il tribunale di Napoli ha condannato una donna, fermata per guida del motociclo senza casco; nel mentre i vigili redigevano il verbale e procedevano al fermo amministrativo del motociclo, la conducente rivolgeva ripetutamente ai verbalizzanti parole del seguente tenore: “Ste guardie di merda che non fanno un cazzo quanto le schifo![5].

Perché vi possa essere oltraggio non basta una qualsivoglia offesa pronunciata nei confronti del pubblico ufficiale “nell’esercizio delle funzioni” se tale offesa non sia idonea ad incidere sul prestigio della pubblica funzione. In altri termini, non basterebbe per ravvisare il reato la commissione del fatto nell’atto in cui il pubblico ufficiale esercita la funzione ove l’offesa attinga solo la personalità individuale dell’operante: non basterebbe, cioè, un semplice rapporto di contestualità o di contemporaneità tra l’atto e l’esercizio della funzione, perché sarebbe insussistente l’oltraggio quando il fatto fosse determinato da motivi estranei alle mansioni del soggetto passivo.

L’aggravante

Il codice penale stabilisce poi che la pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Nello specifico deve trattarsi di una condotta sufficientemente specificata, tale da configurare l’evento riportato come compiutamente identificato, anche per il tramite di elementi spaziali e temporali.

La legge prevede espressamente che l’autore dell’oltraggio non è punibile qualora, a fronte della contestazione dell’aggravante, la verità del fatto attribuito venga provata oppure per esso il pubblico ufficiale venga condannato dopo la consumazione dell’oltraggio.

La causa di estinzione del reato

La legge prevede poi speciale causa di estinzione del reato per l’ipotesi in cui l’imputato provveda, prima del giudizio, al risarcimento del danno arrecato al pubblico ufficiale offeso e all’ente di appartenenza del medesimo.

Come noto il risarcimento del danno è tradizionalmente oggetto dell’attenuante comune [6].

Quanto al momento in cui deve intervenire il risarcimento perché l’imputato possa avvalersi della causa di estinzione del reato, il limite fissato dal legislatore è, come accennato, quello del giudizio, che la giurisprudenza ha ritenuto identificarsi con il compimento delle formalità di apertura del dibattimento [7].

Si richiede che l’imputato abbia risarcito interamente il danno provocato dall’oltraggio, tanto nei suoi risvolti patrimoniali, che in quelli non patrimoniali, ma comunque suscettibili di valutazione economica.

La legittima reazione ad atti arbitrari

Il codice penale prevede poi una causa di non punibilità [8]: non si viene puniti per oltraggio a pubblico ufficiale quando quest’ultimo abbia dato causa al fatto eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni.

È oramai consolidata in giurisprudenza l’opinione secondo l’esimente in questione sia una vera e propria causa di giustificazione, con la conseguenza che, per la sua configurabilità, è necessario il consapevole travalicamento da parte del pubblico ufficiale delle proprie attribuzioni.

Gli atti arbitrari del pubblico ufficiale vengono identificati dalla Corte Costituzionale [9] sia negli atti oggettivamente illegittimi, manifestazione di abuso e prevaricazione, sia in quegli atti che, seppur formalmente legittimi, si esprimono per il tramite di modalità aggressive, offensive e sconvenienti, divenendo in tal modo idonei a legittimare la reazione del privato di fronte all’agire del pubblico ufficiale.


note

[1] Art. 341 cod. pen.

[2] Art. 18 L. n. 205/199

[3] L. 94/009 che ha introdotto il nuovo art. 341bis cod. pen.

[4] Proprio la necessità che l’offesa avvenga in pubblico ed esclusivamente mentre il pubblico ufficiale compie l’atto del suo ufficio è indicativa della volontà della legge di sottolineare come la previsione di una autonoma e più grave incriminazione dell’ingiuria rivolta al pubblico ufficiale si giustifichi proprio in ragione della sua idoneità ad interferire con lo svolgimento della pubblica funzione.

[5] Trib. Napoli, sent. n. 1155/2011.

[6] Art. 62, comma 1, n. 6 cod. pen.

[7] Si veda Cass. sent. del 21.03.1994.

[8] Art. 393bis cod. pen.

[9] C. Cost. sent. n. 140/1998.

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In tema di oltraggio, la circostanza che all’abrogazione del delitto non abbia fatto seguito l’introduzione di nuove o diverse figure di reato, non esclude la possibilità che la condotta già tipica del delitto abrogato possa integrare altra fattispecie criminosa tuttora prevista e punita dalla legge penale. Ne consegue che deve ritenersi sussistente il reato di ingiuria aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale (o di incaricato di pubblico servizio) ogniqualvolta il giudice di merito abbia verificato la coincidenza delle condotte previste dai due reati, ritenendo che l’offesa al prestigio del pubblico ufficiale sia esattamente corrispondente – in fatto – all’offesa al decoro, prevista per il vigente reato di ingiuria.

Cassazione pen., Sez. V, 3 dicembre 2001, n. 43466

 

In tema di oltraggio, l’abrogazione degli articoli 341 e 344 c.p., disposta dall’articolo 18, legge 25 giugno 1999, n. 205, integra un’ipotesi di abolitio criminis disciplinata dall’articolo 2, comma 2, c.p., con la conseguenza che, se vi é stata condanna, ne cessano esecuzione ed effetti penali e la relativa sentenza deve essere revocata, ai sensi dell’articolo 673 c.p.p., dal giudice dell’esecuzione, al quale non é consentito modificare l’originaria qualificazione o accertare il fatto in modo difforme da quello ritenuto in sentenza, riqualificando come ingiuria aggravata dalla qualità del soggetto passivo (articoli 594 e 61 n. 10 c.p.) la condotta contestata come oltraggio e rideterminando, in relazione alla nuova fattispecie penale, la pena già irrogata.

Cassazione pen., Sez. Unite, 17 luglio 2001, n. 29023

 

Costituisce oltraggio a pubblico ufficiale esprimere una frase a carattere ingiurioso nel momento in cui lo stesso compie un atto dell’ufficio.

Tribunale di Napoli, Sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 1155

é luogo pubblico quello continuativamente libero, di diritto o di fatto, a tutti o a un numero indeterminato di persone, ed é certamente tale il cunicolo di collegamento di due gallerie di autostrada cui possono accedere sia il personale delle autostrade sia i viaggiatori che per ventura debbano sostare. (Fattispecie relativa a violenza carnale e connesso delitto di atti osceni).

Cassazione pen., Sez. III, 20 febbraio 1986, n. 1567

Tra il delitto di atti osceni in luogo aperto al pubblico e quello di violazione di domicilio, e cioé di luogo privato, non sussiste incompatibilità logica, dato che i luoghi aperti o esposti al pubblico sono di norma luoghi privati, tra i quali possono essere annoverati quelli di domicilio; invero, deve considerarsi luogo aperto al pubblico anche un ambiente privato, l’accesso al quale sia escluso alla generalità delle persone, ma consentita a una determinata categoria di aventi diritto. (Fattispecie di atti osceni commessi in una autorimessa condominiale annessa e sottostante ad abitazioni private, di libero accesso solo agli occupanti gli appartamenti). (Conformi: Cass. n. 7227/1984; Cass., n. 769/1972)

Cassazione pen., Sez. IV, 10 ottobre 1989, n. 13316

Ai fini del delitto di atti osceni la cella carceraria é luogo aperto al pubblico. Infatti, per luogo aperto al pubblico deve intendersi quell’ambiente anche ad accessibilità non generalizzata e libera per tutte le persone che vogliano introdurvisi, ma limitata, controllata e funzionalizzata a esigenze non private, sempre che sussista la possibilità giuridica e pratica per un numero indeterminato di soggetti, ancorché qualificati da un titolo, di accedere senza legittima opposizione di chi sull’ambiente stesso eserciti un potere di fatto o di diritto. Pertanto, la cella carceraria non può distinguersi, come luogo di privata dimora del detenuto, da altre parti dello stabilimento carcerario destinate allo svolgimento della vita di relazione della popolazione carceraria e del personale di custodia.

Cassazione pen., Sez. III, 29 settembre 1977, Invidia

La prova della verità del fatto diffamatorio, essendo una causa di esclusione della punibilità per reato concretamente accertato nella materialità del fatto, é operante ove sia piena e completa, occorre cioé la certezza che il fatto attribuito all’offeso sia vero in tutti gli elementi che hanno idoneità offensiva. Nell’ipotesi di cui all’art. 596, comma 3, n. 3, c.p., il giudizio di non punibilità dell’imputato é subordinato alla prova che tutto il fatto nel suo complesso e nelle sue modalità sia vero, perché la prova mancata, parziale o insufficiente circa la verità del fatto non esime da pena, così come non esime da pena l’addebito diffamatorio di fatto vero formato o travisato in modo da farlo ritenere più disonorevole.

Cassazione pen., Sez. V, 2 maggio 1985, n. 4135

L’esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale, di cui all’articolo 4 del D.Lgs. Lgt. 14 settembre 1944 n. 288, é integrata ogni qual volta la condotta dello stesso pubblico ufficiale, per lo sviamento dell’esercizio di autorità rispetto allo scopo per cui la stessa é conferita o per le modalità di attuazione, risulta oggettivamente illegittima, non essendo di contro necessario che l’agente si rappresenti l’illiceità del proprio fare e agisca con la volontà di commettere un arbitrio in danno del privato. (Fattispecie nella quale ufficiali e agenti di polizia giudiziaria avevano proceduto, incontrando l’attiva resistenza di più persone, al fine di perquisire un locale attribuito alla disponibilità di un parlamentare, senza l’autorizzazione prescritta dall’articolo 68 della Costituzione ma su specifica disposizione dell’autorità giudiziaria, dalla quale funzionalmente dipendevano).

Cassazione pen., Sez. VI, 9 marzo 2004, n. 10773

Non é fondata, nei sensi di cui in motivazione, la q.l.c. dell’art. 599, comma 2 c.p., sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non é prevista l’applicabilità della relativa causa di giustificazione al delitto di oltraggio a pubblico ufficiale (la Corte, dopo aver posto a raffronto la scriminante della reazione degli atti arbitrari del pubblico ufficiale e quella della provocazione, alla luce, anche, della relativa evoluzione giurisprudenziale, ha ritenuto che emerga una sostanziale coincidenza tra l’illegittimità-arbitrarietà del comportamento del pubblico ufficiale che ha dato causa alla reazione oltraggiosa del privato e il fatto ingiusto altrui di cui all’art. 599, comma 2 c.p.).

Corte Costituzionale 23 aprile 1998, n. 140


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1 Commento

  1. Sulla reazione leggittima agli atti arbitrari del pubblico ufficiale andrebbe chiarito meglio che tale causa di non punibilità, già contemplata dall’art. 4 del D.Lgt. n. 288 del 4 settembre 1944 che prevedeva la “non punibilità di chi che abbia commesso uno dei delitti di cui agli articoli 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 del codice penale quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”, è stata poi reintrodotta e si trova ora inserita nel codice penale, all’art. 393-bis “causa di non punibilità”, con una norma avente lo stesso testo, dall’art. 1, comma 9, della legge n. 94 del 15 luglio 2009 sulle modifiche al T.U. sull’immigrazione D. Lgs. 25/07/1998 n. 286, legge citata anche come “Pacchetto sicurezza”. Avv. G. Bonomo

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