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Usucapione impossibile tra figli e genitori

4 Aprile 2019 | Autore:
Usucapione impossibile tra figli e genitori

La stretta parentela esclude che vi possa essere possesso utile ai fini dell’usucapione sull’immobile concesso in comodato.

Non è possibile l’usucapione tra genitori e figli: una recente sentenza del Tribunale di Roma [1], ha confermato quanto già stabilito precedentemente in casi simili dalla giurisprudenza di legittimità [2]. In pratica, anche se il genitore concede al proprio figlio l’utilizzo di un bene, il figlio non può usucapire l’immobile di proprietà del genitore. Nel caso deciso dai giudici romani, alla morte dei due genitori anziani, il figlio aveva agito per sentirsi dichiarare proprietario della casa di proprietà dei genitori, sostenendo di averla acquistata per usucapione a danno degli altri fratelli, anche loro eredi. Il figlio, infatti, anche dopo essere diventato maggiorenne, aveva continuato a vivere presso la casa dei genitori, provvedendo alla sua gestione, pagando le bollette relative alle utenze domestiche e sostenendo le spese legate ai piccoli lavori di manutenzione che erano stati eseguiti. Dal compimento della maggiore età, inoltre, il figlio ha continuato a vivere presso l’abitazione dei genitori per più di vent’anni, ritenendo così perfezionati i requisiti per l’usucapione. Il Tribunale di Roma, tuttavia, ha ritenuto che la richiesta del figlio non poteva essere accolta proprio perché l’usucapione è impossibile tra genitori e figli. Cerchiamo di comprendere le ragioni di tale principio.

Che cos’è l’usucapione?

Per prima cosa dobbiamo chiarire che l’usucapione è uno dei modi previsti dalla legge per diventare proprietari di un bene. Affinché possa scattare l’usucapione devono ricorrere alcune condizioni. Innanzitutto, si può diventare proprietari di un bene solo se questo bene si possiede. Ciò significa che se si vuole acquistare per usucapione una casa bisogna comportarsi come se si fosse già proprietari della stessa: bisogna viverci, pagare le bollette, provvedere alla sua manutenzione, ecc. Il possesso, inoltre, deve essersi protratto per almeno venti anni.

Perché possa scattare l’usucapione, infine, non è sufficiente il solo utilizzo dell’immobile per venti anni comportandosi da proprietari, ma è necessario anche un possesso pubblico e pacifico: in pratica, il possesso non deve essere stato acquistato in modo violento o clandestino così che un ladro, per esempio, non potrebbe mai usucapire il bene.

A questo punto, cerchiamo di chiarire i motivi per cui il giudice ha ritenuto che, nonostante il figlio ha vissuto nella casa dei genitori per più di venti anni dal compimento della maggiore età, e anche se il figlio si è occupato della casa come se fosse il proprietario della stessa, non poteva scattare l’usucapione.

Niente usucapione se c’è tolleranza

I giudici hanno stabilito che l’usucapione è esclusa tutte le volte in cui il proprietario del bene sia a conoscenza del fatto che un altro soggetto sta utilizzando il proprio immobile per i propri bisogni e, ciò nonostante, tolleri tale situazione, consentendoglielo espressamente. Nel caso di specie, i genitori – quando erano ancora in vita – non solo tolleravano la presenza del figlio ma, presumibilmente, erano ben contenti di ospitarlo, potendo contare sul suo aiuto per superare le difficoltà quotidiane. Allo stesso modo, gli altri figli dei due anziani certamente tolleravano che il loro fratello continuasse a vivere con i loro genitori. Dunque, l’usucapione è possibile solo se il vero proprietario del bene si disinteressa totalmente allo stesso e al fatto che altri lo stiano utilizzando; non è possibile, invece, se il vero proprietario tollera l’utilizzo altrui.

Per stabilire se sia possibile il verificarsi o meno dell’acquisto per usucapione, dunque, bisogna considerare anche i rapporti che intercorrono tra le parti. Supponiamo che il proprietario di un terreno lasci che il suo vicino di terra lo coltivi. Anche se all’inizio, il terreno è stato concesso al poprio vicino in ragione di rapporti di semplice amicizia o di buon vicinato, è più che probabile che il lungo decorso del tempo sia riconducibile non tanto a una tolleranza da parte del proprietario del bene, ma a sua semplice indifferenza. In questo caso, allora, senza dubbio può scattare l’usucapione.

Se, invece, il vicino di terra è anche un parente, la possibilità concessa a quest’ultimo di coltivare per lungo tempo un terreno che non è di sua proprietà potrebbe essere dettata proprio dalla tolleranza giustificata da uno stretto rapporto di parentela: in tal caso l’usucapione non potrà scattare. In altri termini, se il rapporto è di parentela stretta, è normale che un familiare consenta, anche per molti anni, ad un proprio parente, di utilizzare un immobile, senza che ciò comporti un disinteresse da parte del familiare-proprietario.

Insomma, se tra amici o vicini è meno probabile che, al decorso del tempo, corrisponda una situazione di tolleranza, ciò non vale tra parenti.

Il comodato tra familiari

A maggior ragione, non può scattare l’usucapione nel caso in cui esiste un titolo che autorizza chi non è proprietario ad utilizzarlo. Per esempio, se il terzo utilizza l’immobile in virtù di un contratto di locazione, non potrà successivamente acquistarlo per usucapione: anche in questo caso, la presenza del terzo è tollerata dal proprietario dell’immobile che, in cambio, riceve dal terzo il canone mensile di locazione. Se non fosse così, l’inquilino che sta per 20 anni in affitto, diventerebbe proprietario della casa locata (leggi “Usucapione: possibile nella locazione?”).

Sulla base delle medesime argomentazioni, il Tribunale di Aosta [3] ha negato ad un figlio la possibilità di acquistare per usucapione l’immobile di proprietà del genitore, anche se quest’ultimo gli aveva concesso l’utilizzo del bene con un contratto di comodato d’uso gratuito, senza ricevere in cambio alcun corrispettivo (nel caso di specie, si trattava di un garage, ma il ragionamento può essere esteso a qualsiasi altro bene come la casa per le vacanza o quella per la residenza, un terreno, ecc.).

In generale, si consideri che tra parenti è consuetudine concedere in prestito un immobile. Per esempio, è assai frequente che i genitori consentano al figlio di utilizzare una casa di loro proprietà fino a quando questi non sarà in grado di acquistarne una con i propri soldi. Ma che succede se, dopo molto tempo, padre e madre non rivendicano l’immobile e non ne chiedono la restituzione? Può il figlio, dopo venti anni di utilizzo del bene, sostenere che si sia formato l’usucapione e, quindi, ritenersi ormai proprietario? Come abbiamo già spiegato, secondo la giurisprudenza non è possibile perché, appunto, la tolleranza del proprietario esclude qualsiasi futura rivendicazione del terzo detentore del bene.

Il figlio può diventare proprietario della casa del genitore per usucapione?

In conclusione, un figlio non può diventare proprietario della casa dei genitori acquistandola per usucapione. Tuttavia, proviamo ad ipotizzare un caso in cui l’acquisto per usucapione potrebbe scattare.

Supponiamo che, senza aver chiesto alcun permesso, il figlio decida di utilizzare un immobile di proprietà dei genitori come propria abitazione e che, a tale scopo, vi trasferisca il proprio indirizzo di residenza, oltre a sottoporlo ad una ingente ristrutturazione per adeguarlo alle proprie esigenze. Supponiamo, ancora, che tale situazione si sia protratta per almeno venti anni senza che i genitori, nonostante ne fossero al corrente, facessero qualcosa per manifestare il loro disappunto. In questo caso è possibile l’usucapione?

Come abbiamo già spiegato, quando ricorrono rapporti di stretta parentela (come quello tra genitori e figli), la situazione dell’esempio fatto non potrebbe dar vita ad un acquisto per usucapione perché si presume la tolleranza dei genitori. Tuttavia, se si riesce a dimostrare che l’atteggiamento dei genitori era dovuto non alla tolleranza ma al disinteresse e all’indifferenza degli stessi, allora potrebbe verificarsi l’usacapione.

Bisogna considerare, però, che è molto difficile fornire in giudizio la prova che l’atteggiamento dei genitori non era di tolleranza ma di indifferenza.


note

[1] Trib. Aosta, sent. n. 21 del 18.01.2016.

[2] Cass. sent. n. 11277/2015, Cass. sent. n. 4327/2008.

Autore immagine: pixabay.com

Tribunale di Aosta – Sezione civile – Sentenza 18 gennaio 2016 n. 21

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Anna Bonfilio ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 655/2013 promossa da:

RO.LE. (…), con il patrocinio dell’avv. FR.RO., elettivamente domiciliato in VIA (…) 11100 AOSTA presso il difensore avv. FR.RO.

ATTORE/I contro

EZ.LE. (…), con il patrocinio dell’avv. SO.SA., elettivamente domiciliato in VIA (…) 11100 AOSTA presso il difensore avv. SO.SA.

CONVENUTO/I

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato in data 10.04.2013 il sig. Ro.Le., premesso di essere proprietario di un alloggio di civile abitazione in Sarre, Fraz. (…), al piano secondo sottotetto, pervenutogli per donazione disposta in suo favore dal padre, sig. Ez.Le., con atto per Notaio Ma. in data 8.11.1990, comprensiva di attinenze, dipendenze a quota di comproprietà sugli enti comuni dell’intero complesso in cui l’alloggio in questione è compreso, includente posto auto adiacente e fabbricato ripartito in tre autorimesse, assumeva di avere utilizzato sin dal 1990 in via esclusiva il garage censito al mappale n. 183 sub 8 posto fra quello utilizzato dal fratello Er. ed il posto auto comune, escludendovi dall’uso i proprietari delle altre unità del complesso. Assumeva altresì l’esponente di aver quindi utilizzato la corsia di transito ed accesso ai garage per l’intera sua larghezza per l’ingresso pedonale e carraio al predetto garage e di aver quindi utilizzato l’autorimessa in questione per il parcheggio delle proprie autovetture, moto e per lavori inerenti la sua attività di meccanico, custodendovi altresì attrezzature varie di sua proprietà. Lamentava tuttavia che il padre, sig. Ez.Le., ed il proprio fratello, Er.Le., avessero da ultimo manifestato nei suoi confronti un comportamento aggressivo, sfociato anche in episodi anche violenti. Lamentava altresì che il padre gli avesse infine intimato formale diffida, vietandogli di utilizzare aree e beni da sempre in precedenza goduti, ed in specie l’autorimessa innanzi descritta, la cantina ed il posto auto al mappale 193 sub 12. Conveniva perciò in giudizio il sig. Ez.Le. chiedendo accertarsi nei suoi confronti la sua proprietà, anche per acquisto maturato per usucapione, sull’autorimessa in questione ed il suo diritto di transito, pedonale e carraio, lungo la corsia di accesso alla stessa, con correlata servitù a carico del sedime relativo. In via subordinata chiedeva comunque accertarsi la sua proprietà sull’autorimessa descritta e costituirsi a favore di detta unità ed a carico del mappale 183 servitù coattiva di transito pedonale e carraio, determinandosi la correlativa indennità a suo carico; con vittoria delle spese del giudizio.

Si costituiva nel giudizio il sig. Ez.Le., contestando radicalmente la pretesa attorea, assumendo per contro di essere proprietario esclusivo dell’unità immobiliare comprensiva dell’autorimessa in contestazione, di posto auto e della cantina di pertinenza del complesso immobiliare, lamentando altresì che il figlio Ro. si fosse reso, con la sua condotta anche fisicamente aggressiva verso il genitore, responsabile di ingiuria grave nei suoi confronti, chiedendo perciò rigettarsi l’avversa domanda e, in via riconvenzionale, revocarsi la donazione immobiliare disposta in suo favore, nonché accertarsi la condotta attorea di intromissione abusiva e senza titolo nell’uso dei locali autorimessa e cantina rivendicati dall’attore e del posto auto pertinenziale alla sua proprietà vietando quindi al sig. Ro.Le. ogni utilizzo di detti beni, con conseguente ordine di liberatoria e risarcimento in suo favore; con vittoria degli oneri di lite.

Ammesse parzialmente le prove orali dedotte dalle parti, il Giudice provvedeva all’assunzione dell’interrogatorio formale delle parti ed all’escussione dei testi sigg. An.Ca. ed altri.

Nel corso del giudizio le parti avviavano peraltro una trattativa e, anche in esito al tentativo di conciliazione svolto dal Giudice, davano atto quindi di aver raggiunto accordo, disatteso tuttavia in seguito.

Ritenuta infine la causa matura per la decisione, il Giudice, disattendendo l’istanza attorea di ammissione di C.T.U. per il frazionamento catastale delle aree oggetto di domanda di usucapione, invitava le parti alla precisazione delle conclusioni, che esse formulavano infine come in epigrafe riportate all’udienza del 29.09.2015. Dopo il deposito delle difese di rito, la causa perviene dunque in decisione.

Alla luce delle complessive risultanze emerse nel giudizio le domande attoree si appalesano all’evidenza infondate.

Emerge anzitutto dall’esame dell’atto di donazione stipulato tra le parti in causa ed in favore anche di altro figlio dell’odierno convenuto, sig. Er.Le., con rogito per Notaio Dott. Guido Ma. in data 8.11.1990, che il sig. Ez.Le. ha donato in proprietà a ciascuno dei suoi figli una delle unità immobiliari ad uso abitativo comprese nel complesso sito in Sarre, Fraz. Cl., mappale n. (…), frazionato correlativamente nel settembre 1990 in vista di detta stipula. Risulta altresì dalla documentazione catastale in atti che il complesso immobiliare riguardato, in cui sono compresi gli immobili oggetto della richiamata donazione, comprensiva di “attinenze, dipendenze, oneri condominiali e proporzionale quota di comproprietà sugli enti comuni dell’intero complesso di cui fanno parte”, era prima della stipula di proprietà esclusiva del sig. Ez.Le.

Assume, tuttavia, l’odierno attore di aver sempre utilizzato e goduto in via esclusiva e continuativamente sin dal 1990 una delle tre autorimesse comprese in distinto fabbricato incluso nel complesso riguardato, censita al mappale n. 183 sub 8 – così identificato in esito al richiamato frazionamento in data 25.09.1990, come risulta dalla documentazione catastale prodotta dallo stesso attore -, con esclusione di ogni altro soggetto dall’uso del bene, e di avere quindi utilizzato, per l’accesso dalla strada pubblica alla suddetta autorimessa, il passaggio lungo la corsia di transito ed accesso ai garages, chiedendo in conseguenza accertarsi la sua esclusiva proprietà, “anche per usucapione”, – ma invero unicamente a tal titolo, non vantandone altri per l’acquisto -, sul locale in questione ed il diritto di passaggio a titolo di servitù sulla descritta via di accesso alla stessa.

I testi escussi nel giudizio hanno tuttavia riferito in termini del tutto generici ed in parte contrastanti in merito, dando atto di un uso almeno promiscuo dell’autorimessa in contestazione da parte dell’odierno attore e dello stesso convenuto, al quale peraltro risulterebbe consegnata dallo stesso attore – asseritamente in via prudenziale in occasione dei suoi allontanamenti da casa – una chiave della serratura di chiusura del locale.

Ed infatti se, da un lato, i testi Gi.Ar., Pa.Fo. – moglie dell’attore -, Ma.Co. e Ge.Ru. hanno confermato che il sig. Ro.Le. ha usato per lungo tempo l’autorimessa in contestazione, parcheggiandovi auto e moto di sua proprietà ed effettuandovi riparazioni e lavori meccanici anche per amici e conoscenti, dall’altro i testi An.Ca., Gi.Pe. – geometra incaricato del frazionamento del complesso immobiliare operato nel settembre 1990 -, Ma.Gu. ed Er.Le. hanno invece riferito che sicuramente il sig. Ez.Le. ha sempre usato e goduto del medesimo locale, riponendovi anche beni di sua proprietà, disponendo comunque delle chiavi della serratura di apertura, non solo per custodia od a titolo di cortesia. Neppure ha trovato conferma la circostanza che il sig. Ro.Le. abbia utilizzato con regolare frequenza il passaggio rivendicato in servitù sulla via di accesso al locale.

Orbene, in conformità a principi ormai acquisiti nella giurisprudenza di legittimità, deve anzitutto rilevarsi che “in tema di usucapione, per stabilire se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e sia quindi inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell’esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacché nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo” (Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 11277 del 29/05/2015; conforme Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 4327 del 20/02/2008 ). Non vi è dubbio peraltro che “la presunzione di possesso utile ad usucapionem, di cui all’art. 1141 cod. civ., non opera quando la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della res, ma da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, nella specie un contratto di comodato, poiché in tal caso l’attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all’esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. Ne consegue che la detenzione di un bene immobile a titolo di comodato precario può mutare in possesso solamente all’esito di un atto d’interversione idoneo a provare con il compimento di idonee attività materiali il possesso utile ad usucapionem in opposizione al proprietario concedente” (Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 21690 del 14/10/2014 ). Del resto non ogni specie di utilizzo del bene integra presupposto per l’esercizio di un possesso ad usucapionem, giacché “ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non è sufficiente, in quanto,, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus” (Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 18215 del 29/07/2013).

In specie può ritenersi unicamente accertato che l’odierno attore abbia goduto ed – utilizzato l’autorimessa in contestazione, anche per tolleranza e cortesia del proprietario, ma non può ritenersi in alcun modo acclarato che egli ne abbia goduto in via esclusiva e con animo acquisitivo – uti dominus -, previa interversione del suo possesso da precario, quale è dato presumere anche in ragione del legame di stretta parentela tra le parti, in esclusivo ed a fini acquisitivi.

Correlativamente non è dato ritenere in alcun modo accertato che l’odierno attore abbia usato con regolare frequenza ed assiduità la via di passaggio descritta in citazione a titolo di usucapione per l’accesso alla predetta autorimessa.

Al riguardo deve infatti evidenziarsi, in relazione al disposto normativo ex art. 1061 c.c. secondo cui “le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione”, che “il requisito dell’apparenza della servitù discontinua, richiesto al fine della sua costituzione per usucapione si configura quale, a comprova della possibilità di tale esercizio e pertanto, della permanenza del relativo esercizio, in presenza di segni visibili d’opere di natura permanente obiettivamente destinate al suo esercizio tali da rivelare in maniera non equivoca l’esistenza del peso gravante sul fondo servente per l’utilità del fondo dominante, dovendo dette opere, naturali o artificiali che siano, rendere manifesto trattarsi non di un’attività posta in essere in via precaria, o per tolleranza del proprietario del fondo servente, comunque senza animus utendi iure servitutis, bensì d’un onere preciso, a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto di una determinata servitù che, peraltro, non implica necessariamente un’utilizzazione continuativa delle opere stesse, la cui apparenza e destinazione all’esercizio della servitù permangono anche in caso di utilizzazione saltuaria” (Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 8736 del 26/06/2001).

Ed infatti “il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 cod. civ.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che non è al riguardo pertanto sufficiente l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, e, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù” (Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 13238 del 31/05/2010). In specie l’invocata servitù attorea, come rivendicata ed allegata in citazione, manca di ogni visibilità e risulta comunque funzionale all’acquisto della proprietà rivendicata infondatamente sull’autorimessa in contestazione.

A fronte dell’evidente infondatezza delle domande attoree risulta peraltro parimenti non confortata da prova alcuna la stessa istanza promossa in via riconvenzionale dall’odierno convenuto per la revocazione della donazione disposta in favore del figlio ora attore per ingratitudine ai sensi del dettato ex art. 801 c.c. Al riguardo il convenuto ha infatti unicamente prodotto copia di denuncia resa dal figlio Er. in merito ad atteggiamenti aggressivi assunti dall’odierno attore nei suoi confronti in occasione di discussioni occorse in relazione al regime di convivenza nel complesso immobiliare paterno. Ed infatti l’ingiuria grave richiesta, ex art. 801 cod. civ., necessaria per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l’individuazione del bene leso, tuttavia si distacca dalle previsioni degli artt. 594 e 595 cod. pen. e consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva” (Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 7487 del 31/03/2011 ), ovvero “di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece, improntarne l’atteggiamento” laddove “tale presupposto non può essere desunto da singoli accadimenti che, pur risultando di per sé censurabili, per il contesto in cui si sono verificati e per una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti ad espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento della revocazione della donazione per ingratitudine” (Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 17188 del 24/06/2008).

Del tutto generiche risultano peraltro le domande pure formulate in via riconvenzionale dalla parte convenuta per l’inibitoria di censurate “intromissioni” dell’attore nelle unità immobiliari di cui al mappale (…), laddove è piuttosto emerso dall’istruttoria condotta nel giudizio un atteggiamento di tolleranza e permissività, almeno per il passato, da parte dello stesso sig. Ez.Le. verso il figlio Ro., che, avendogli intimato diffida all’immediato rilascio di dette unità solo nel novembre del 2012, non lo ha privato tuttavia della disponibilità delle chiavi di accesso a detti locali, che pure gli aveva – verosimilmente – egli stesso consegnato.

Tenuto conto anche dell’accordo definito tra le parti in sede conciliativa all’udienza del 4.12.2014 e quindi disatteso, le spese del giudizio seguono la preminente soccombenza attorea e si liquidano come da dispositivo in applicazione dei parametri normativi in vigore.

P.Q.M.
IL TRIBUNALE

definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1. rigetta integralmente le domande attoree perché infondate;

2. rigetta parimenti le domande promosse in via riconvenzionale dall’odierno convenuto perché infondate;

3. condanna il sig. Ro.Le. al pagamento in favore del sig. Ez.Le. delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Aosta il 18 gennaio 2016. Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2016.


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6 Commenti

  1. ho una casa intestata, abitata da 20 anni da mio fratello che ne ha pagato il mutuo e le tasse, io l’ho sempre considerata sua, anche perché in cambio abito una casa dei miei genitori, ora voglio restituirgli la proprietà come fare senza esborso di denaro?

    1. Se si tratta di una sua volontà libera e personale forse potrebbe redarre un testamento olografo che ne indichi la volontà, dandone solo una fotocopia (che non dovrebbe avere valore legale) al fratello. Ricordo che successivi testamenti olografi con date più recenti annullano i precedenti. In questo modo non paga nessuno ed il tutto si attua quando, come tutti, non ci sarà più.

  2. Salve, ho un problema di usucapione con un confinante di un pezzo di uliveto. Ha usucapito dopo pochissimi anni nelle sue mani, il possesso precedentemente avuto dalla zia, che a sua volta ella lo ricevette da un suo zio che ne era proprietario. Vale in questo caso l’usucapione? Grazie

  3. Un mio parente (nipote maggiorenne) ha chiesto qualche anno fa alla nonna (ora e solo ora affetta dai problemi dell’età, 92 anni, non più autosufficiente e accudita da me nella mia abitazione in qualità di figlio mosso anche da dovere morale), ha chiesto, dicevo, di poter fruire assumendosi la sola abitabilità in certificato, di una porzione di immobile rurale ricevuto in eredità paterna dalla nonna adducendo la motivazione che essendo cacciatore avrebbe così potuto accedere ai permessi concessi ai residenti del comune abitato. Ora, dopo qualche anno, questo nipote ha cambiato domicilio vivendo in altro comune ma mantenendo però l’abitabilità di prima. La domanda che si pone è pertanto la seguente: può in futuro avvalersi dell’usucapione per l’immobile rurale concesso (secondo me in tolleranza parentale piuttosto che nel disinteresse del bene)? Aggiungo che la nonna (mia madre) detiene pure le chiavi dell’immobile ricevuto in eredità, ne paga le utenze (per es. enel) e le imposte comunali dovute. Il mio pensiero (ma è solamente il mio pensiero) è che l’usucapione non si attui nei casi di accoglienza tra parenti e che la nonna fosse mossa più dal “tollerarne” la presenza concedendo l’abitabilità ed il temporaneo possesso di fatto in ciò che forse si potrebbe definire un prestito parentale “a titolo di comodato gratuito e non formalizzato attraverso una scrittura privata”. E’ così o sarebbe opportuno attivarsi onde evitare possibili sorprese future data anche l’indole del ragazzo? Grazie.

    1. Leggi i nostri articoli:
      -Usucapione: codice civile https://www.laleggepertutti.it/269592_usucapione-codice-civile
      -Dopo quanti anni un terreno diventa mio https://www.laleggepertutti.it/196399_dopo-quanti-anni-un-terreno-diventa-mio
      -Usucapione speciale per la piccola proprietà rurale: ultime sentenze https://www.laleggepertutti.it/336935_usucapione-speciale-per-la-piccola-proprieta-rurale-ultime-sentenze
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      1. Ringraziando per quanto cortesemente indicatomi dalla Redazione, ravviso che (artt.1144 cc Atti di Tolleranza) gli atti compiuti con l’altrui tolleranza non possono servire di fondamento all’acquisto del possesso e che, inoltre, chi intenda sostenere l’intervenuta usucapione di un bene a proprio favore, deve dimostrare all’atto di registrazione non solo di essere in possesso del bene stesso, ma anche di aver esercitato sulla res un potere di fatto corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà ovvero anche la volontà di usare il bene come proprio, non riconoscendo il diritto altrui.
        La giurisprudenza di legittimità sottolinea (si veda in proposito: Cass. Civ., n. 8194 del 2001) che gli atti di tolleranza traggono origine da rapporti di familiarità (o di amicizia) che, da un lato, giustificano la “permissio” ma, dall’altro, conducono ad escludere l’acquisto del possesso da parte dell’agente, implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà caratteristici di un “godimento di modesta portata”.
        Tale limitato godimento incide molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte del richiedente il bene per usucapione e determina uno stato di fatto incompatibile e contrastante con il pieno godimento del diritto.
        Il rapporto di fatto con la res non può derivare da atti di mera tolleranza, che comportano un godimento di modesta portata da parte del fruitore, sì da incidere molto debolmente sull’esercizio del diritto. Tanto da determinare uno stato di fatto incompatibile e contrastante con il pieno godimento del diritto o con l’esercizio del possesso.
        In particolare, si sottolinea poi altresì, che l’esercizio di godimento NON è stato ragionevolmente compiuto con l’intenzione di comportarsi come titolare e che non si accompagna a questa intenzione, ma piuttosto alla consapevolezza che il comportamento si è svolto in funzione dell’adempimento di un obbligo, ovvero costituisce esercizio di un diritto personale su bene altrui (derivante, ad esempio, da un contratto di locazione, affitto, comodato anche solo verbale) o, ancora, trova la sua base in una concessione fatta per ragioni di amicizia o cortesia, pertanto la fattispecie andrà qualificata in termini di “detenzione” in un atteggiamento di mera tolleranza, peraltro parentale.
        Cordialmente

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