PCT: la sentenza fa il giro del web, sanzione disciplinare al giudice


Magistrati: non si può imporre le copie cartacee di cortesia; nessuna sanzione alla parte che si limita al deposito telematico.
Potere del web: una volta, quando un giudice sbagliava clamorosamente una sentenza, la questione rimaneva confinata nell’ambito del proprio tribunale; oggi invece il provvedimento fa il giro d’Italia in pochi secondi grazie ai siti di informazione e ai social network. Così come è avvenuto all’assurdo provvedimento dello scorso 8 aprile con cui, un magistrato del tribunale di Busto Arsizio ha “sanzionato” un avvocato per essersi limitato al deposito telematico di alcuni allegati a una costituzione – come consentito dalla legge – senza invece fornirne anche la copia cartacea. Ebbene, dopo essere stato criticato su tutti i gruppi di Facebook e su numerosi portali giuridici, per il giudice è scattato il procedimento disciplinare.
Il provvedimento censurato (di cui abbiamo parlato nell’articolo “PCT: gli allegati vanno depositati in forma cartacea”) aveva rigettato una richiesta di concessione di provvisoria esecuzione a un decreto ingiuntivo con una motivazione a dir poco discutibile. La ragione addotta dal magistrato nelle motivazioni è che «un giudice, per decidere, usa sottolineare ed utilizzare brani rilevanti dei documenti, nonché piegare le pagine dei documenti così da averne pronta disponibilità quando riflette sulla decisione». Operazione non trasferibile sul computer. Né – si legge nel provvedimento – sarebbe possibile stampare le copie su carta, per “non addebitare i relativi oneri allo Stato”. Ma ciò non è una buona giustificazione per il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che ha avviato l’azione disciplinare.
Chi rifiuta il PCT viene quindi sanzionato. Ma non è tanto questo il punto più importante. La vicenda dimostra che, nella nuova era di informazione, il giudice non può più decidere secondo il “proprio capriccio”, non tenendo conto dei fondamenti del diritto, solo per affermare prepotentemente la propria “indipendenza” e libertà di interpretazione, a dispetto delle parti. I cittadini pagano per un servizio pubblico e hanno diritto a una risposta coerente, logica e, soprattutto, “giusta”, a prescindere da quelle che sono le particolari stravaganze del singolo organo decidente.
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