Solo l’assenza ingiustificata della persona offesa chiamata a testimoniare comporta la remissione tacita della querela, con conseguente estinzione del reato
Remissione tacita se il querelante non compare in udienza?


Cos’è e come funziona la remissione di querela? Che succede se la persona offesa, chiamata a testimoniare, non si presenta al giudice?
I reati possono essere procedibili d’ufficio oppure a querela di parte: nel primo caso chiunque può denunciare il crimine alla polizia, mentre nel secondo può procedere a tanto solamente la persona offesa, entro tre mesi da quando il reato è stato commesso.
Una delle caratteristiche della querela è quella di poter essere revocata in qualsiasi momento, purché l’imputato non sia stato già condannato. La riforma Cartabia, prendendo atto dell’orientamento giurisprudenziale oramai dominante, ha sancito ufficialmente che si ha remissione (tacita) se il querelante non compare in udienza. Approfondiamo la questione.
Indice
Cos’è la remissione di querela?
La remissione è la revoca di una querela già presentata alle autorità. Si tratta di un atto che può essere compiuto fino a che l’imputato non sia condannato, quindi anche se il procedimento è in corso.
La remissione di querela comporta l’estinzione del reato, nel senso che non sarà più possibile sanzionare il responsabile.
Remissione espressa e tacita: differenza
La remissione di querela può essere espressa oppure tacita: è espressa quando è manifestata in modo chiaro dalla persona offesa, ad esempio mediante un documento sottoscritto di proprio pugno; è tacita, invece, quando la volontà di rimettere la querela si desume dai comportamenti della vittima.
È proprio in questo contesto che si inserisce il tema della remissione tacita a seguito della mancata comparizione all’udienza. Approfondiamo la questione.
Mancata comparizione del querelante: c’è remissione?
Già diversi anni fa le Sezioni Unite della Corte di Cassazione [1] avevano stabilito che la mancata comparizione del querelante all’udienza dibattimentale doveva essere intesa come remissione della querela, purché la vittima fosse stata espressamente informata di tale effetto conseguente alla sua perdurante assenza.
Questo il principio espresso dal Supremo Consesso: “Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela”.
In questo senso anche altre sentenze [2], secondo cui la mancata comparizione in giudizio del soggetto querelante deve essere inquadrata come remissione tacita della querela.
Secondo la Corte di legittimità, infatti, la mancata presentazione della parte querelante in udienza deve essere interpretata quale totale disinteresse della stessa parte lesa alla celebrazione del processo, ovvero, quale inequivocabile manifestazione della volontà di abbandonare la pretesa punitiva nei confronti del reo.
Questo orientamento è stato confermato dalla riforma Cartabia [3] che, modificando il Codice penale [4], ha previsto espressamente che, tra le altre ipotesi, la remissione è tacita quando il querelante, senza giustificato motivo, non compare all’udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone.
Perché possa aversi remissione tacita della querela, quindi, occorre che la vittima non si sia presentata per testimoniare nel processo in cui è persona offesa, sempreché non ricorra un motivo che giustifichi la mancata comparizione.
In estrema sintesi: solo l’assenza ingiustificata della persona offesa chiamata a testimoniare comporta la remissione tacita della querela, con conseguente estinzione del reato.
note
[1] Cass., Sez. un., sent. n. 31668 del 21 luglio 2016
[2] Cass., sent. n. 8638/2016; Cass. sent. n. 12417/2016.
[3] D. lgs. n. 150/2022.
[4] Art. 152 cod. pen.
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Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 23 giugno – 21 luglio 2016, n. 31668
Presidente Canzio – Relatore Conti
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 7 marzo 2014, il Giudice di pace di Taranto ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di P.L. in ordine ai delitti di ingiuria e minaccia in danno di C.C. perché estinti per remissione di querela, sul presupposto in diritto che l’assenza in udienza, tanto della persona offesa (previamente avvertita dal giudice che la sua mancata comparizione sarebbe stata considerata come volontà di conciliare la lite e, quindi, di rimettere la querela) quanto dell’imputato (parimenti avvertito che la sua assenza sarebbe stata considerata come accettazione della remissione della querela), significasse tacita espressione, rispettivamente, di remissione della querela e di accettazione della medesima.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, deducendo violazione di legge, in forza del principio affermato da Sez. U, n. 46088 del 30/10/2008, Viele, Rv. 241357, secondo cui nel procedimento davanti al giudice di pace instaurato a seguito di citazione disposta dal pubblico ministero, ex art. 20 d.lgs. n. 274 del 2000, la mancata comparizione del querelante – pur previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata ritenuta concludente nel senso della remissione tacita della querela – non costituisce fatto incompatibile con la volontà di persistere nella stessa sì da integrare la remissione tacita, ai sensi dell’art. 152, secondo comma, cod. pen..
3. Con ordinanza del 21 marzo-6 maggio 2016, la Quinta Sezione penale ne ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite, in ragione del riprodursi di un contrasto giurisprudenziale sulla questione esaminata dalla sentenza Viele.
3.1. L’ordinanza di rimessione così riassume gli argomenti su cui si era fondata la predetta sentenza:
– nel procedimento davanti al giudice di pace, l’effetto di improcedibilità dell’azione penale, collegato dall’art. 30, comma 1, d.lgs. n. 274 del 2000 alla mancata comparizione del querelante che abbia regolarmente ricevuto il decreto di convocazione in udienza, si produce, per chiara indicazione normativa, solo nel caso in cui si proceda a seguito di ricorso immediato della persona offesa ex art. 21;
– nella ipotesi di processo instaurato con citazione a giudizio emessa dal p.m., ex art. 20, nulla di simile è previsto dalla legge, e dalla mancata comparizione della persona offesa, pur se informata del significato che a tale assenza il giudice potrebbe conferire, non può desumersi la tacita volontà del querelante di rimettere la querela, trattandosi di un comportamento compatibile con la determinazione di insistere nella originaria istanza punitiva;
– in ogni caso, il comportamento omissivo del querelante configurerebbe una sorta di remissione tacita processuale, non contemplata dalla legge, posto che l’art. 152, secondo comma, cod. pen., prevede soltanto per la remissione extraprocessuale la forma tacita, da individuare in comportamenti del querelante incompatibili con la volontà di persistere nella querela.
3.2. Tale impostazione, si osserva, è stata seguita per lungo tempo dalla giurisprudenza di legittimità; ma in epoca più recente, anche traendosi spunto da Sez. U, n. 43264 del 16/07/2015, Steger, Rv. 264547, in tema di dichiarazione di particolare tenuità del fatto, ritenuta consentita in caso di mancata comparizione della persona offesa ritualmente citata, si è venuta a formare una linea interpretativa tesa a superare le conclusioni delle Sezioni Unite Viele.
3.3. Si ascrivono a tale nuovo indirizzo tre sentenze, tutte della Quinta Sezione: le coeve sentenze n. 8638 del 22/12/2015, dep. 2016, Pepkola, Rv. 265972, e n. 12186 del 22/12/2015, dep. 2016, D’Orazio, Rv. 266374; la sentenza n. 12417 del 01/02/2016, Onorato, non mass.
3.4. L’ordinanza di rimessione, a conferma di un contrasto non sopito, dà peraltro conto di una ancor più recente sentenza della Quinta Sezione (n. 12187 del 08/03/2016, Miranda, Rv. 266331), che si è rifatta ai principi enunciati dalle Sezioni Unite Viele e ha confutato la validità degli argomenti espressi nelle decisioni sopra indicate.
4. Con decreto in data 9 maggio 2016 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza pubblica.
Considerato in diritto
1. La questione rimessa alle Sezioni Unite può essere così enunciata:
“Se nel procedimento davanti al giudice di pace, instaurato a seguito di citazione disposta dal pubblico ministero, configura remissione tacita di querela la mancata comparizione del querelante, previamente ed espressamente avvisato che l’eventuale sua assenza sarebbe stata interpretata come volontà di non insistere nell’istanza di punizione”.
2. È opportuno preliminarmente ricordare che il procedimento davanti al giudice di pace (d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274) può essere instaurato con citazione a giudizio emessa dal pubblico ministero (art. 20) ovvero, per i soli reati perseguibili a querela, con ricorso immediato al giudice della persona offesa (art. 21). Solo nel caso di ricorso immediato è previsto che la mancata comparizione della persona offesa ricorrente, non dipendente da caso fortuito o forza maggiore, determina la improcedibilità del ricorso (art. 30, comma 1); mentre, per la eventualità che vi siano altre persone offese oltre il ricorrente, è previsto che la mancata comparizione di esse equivale a rinuncia al diritto di querela o alla remissione della querela, se già presentata (art. 29, comma 3).
3. Ai fini della risoluzione della questione oggetto della ordinanza di rimessione, conviene partire dalla osservazione “di chiusura”, espressa, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, dalla sentenza Sez. U, n. 46088 del 30/10/2008, Viele, secondo cui la mancata comparizione in udienza del querelante, previamente avvisato che tale condotta sarebbe stata interpretata come volontà di rimettere la querela, configurerebbe una sorta di remissione tacita processuale, non contemplata dalla legge, posto che l’art. 152, secondo comma, cod. pen., prevede soltanto per la remissione extraprocessuale la forma tacita.
3.1. Va al riguardo considerato che né il codice penale né quello processuale specificano gli atti o i comportamenti, indefinibili a priori, dai quali ricavare una volontà di remissione tacita, limitandosi l’art. 152, secondo comma, terzo periodo, cod. pen. ad attribuire valore di remissione al compimento da parte del querelante di “fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela”.
Invece, le modalità della remissione di querela espressa sono definite dall’art. 340 cod. proc. pen., che, nel distinguere (comma 1) il caso di dichiarazione ricevuta dall’autorità giudiziaria procedente da quello di dichiarazione ricevuta da un ufficiale di polizia giudiziaria, e nel rinviare (comma 2) alle forme più dettagliatamente previste per la rinuncia espressa alla querela (art. 339 cod. proc. pen.), implicitamente contempla, nell’ambito della remissione espressa, sia una forma di remissione processuale sia una forma di remissione extraprocessuale.
Ne discende che, in base alla disciplina codicistica, deve intendersi remissione processuale solo quella ricevuta dall’autorità giudiziaria procedente a norma dell’art. 340, comma 1, cod. proc. pen., e che non sono ammesse modalità di espressione di una volontà di rimettere la querela in sede processuale se non quella esternata attraverso una formale dichiarazione ricevuta dall’autorità procedente.
3.2. Va d’altro canto considerato che la remissione della querela presuppone che un procedimento penale sia già avviato, sicché le condotte indicative di una volontà di rimettere la querela devono necessariamente essere veicolate verso l’autorità giudiziaria, e da questa apprezzate, non importa in quale stato e grado del procedimento.
Manifestazioni formali di una volontà di rimettere la querela o fatti “incompatibili con la volontà di persistere nella querela” possono dunque pervenire nelle forme più varie all’autorità giudiziaria procedente che, al di fuori dei casi di remissione formalmente processuale, potrà valutare se la condotta o l’atto ricollegabile al querelante possa valere come remissione extraprocessuale espressa o tacita.
3.3. Riassumendo, la remissione processuale va identificata in una formale espressione della volontà della parte querelante che interviene nel processo, direttamente o a mezzo di procuratore speciale, ricevuta dall’autorità giudiziaria che procede. In ogni altro caso la condotta significativa di una volontà di rimettere la querela va valutata come extraprocessuale, dovendosi distinguere il luogo della manifestazione della volontà-comportamento dal luogo di apprezzamento della efficacia dello stesso, essendo quest’ultimo invariabilmente “processuale”.
Una tale conclusione è in linea con l’insegnamento di un sommo studioso del diritto penale dello scorso secolo, secondo cui la remissione è di natura extraprocessuale qualora avvenga “con atti compiuti fuori del processo o con fatti che non costituiscono atti processuali”, pur dovendo l’effetto estintivo del reato “essere riconosciuto e dichiarato nel processo”.
3.4. Deve dunque ritenersi che la condotta considerata nel presente processo, costituita dal non essere il querelante comparso in udienza a seguito dell’avvertimento che ciò sarebbe stato considerato volontà implicita di rimessione della querela, può bene essere inquadrata nel concetto di fatto di natura extraprocessuale incompatibile con la volontà di persistere nella querela, a norma dell’art. 152, secondo comma, terzo periodo, cod. pen..
4. Occorre però stabilire se legittimamente può essere attribuito un simile valore di remissione tacita della querela alla mancata comparizione in dibattimento del querelante, previamente avvertito dal giudice (di pace) che tale condotta sarebbe stata considerata in tal senso. Un significato, dunque, non collegato alla mera mancata comparizione del querelante davanti al giudice ma alla combinazione di tale condotta omissiva con il previo formale avvertimento del significato che ad essa sarebbe stato attribuito.
4.1. Parte della giurisprudenza, e in primo luogo la citata Sez. U, Viele – a prescindere dalla notazione secondo cui si tratterebbe di una inammissibile remissione tacita processuale (argomento, per quello che si è detto, non condivisibile) -, osserva che la mancata comparizione del querelante potrebbe rilevare esclusivamente nel caso di ricorso immediato al giudice, ex art. 21 d.lgs. n. 274 del 2000, perché solo ad esso si riferisce la disposizione dell’art. 30, comma 1, decr. cit., che ricollega alla mancata comparizione della persona offesa un effetto di improcedibilità del ricorso (e ciò senza necessità di alcun previo avviso circa tale conseguenza).
La sentenza Viele aggiunge che, comunque, un siffatto avvertimento del giudice dovrebbe considerarsi tamquam non esset, poiché, pur costituendo prerogativa e dovere del giudice di pace il tentativo di conciliazione, non sarebbe “dato al giudice, in mancanza di espressa previsione normativa, di fissare e predeterminare egli stesso una specifica condotta che debba poi essere ineluttabilmente (…) interpretata come sicura accettazione di quel tentativo, né le conseguenze sanzionatorie che scaturirebbero dall’inottemperanza all’invito conciliativo”.
Anche questo rilievo non può essere condiviso.
4.2. È ben vero che un simile avvertimento alla persona offesa querelante non è contemplato espressamente nel procedimento davanti al giudice di pace nei casi di citazione a giudizio emessa dal pubblico ministero (art. 20 d.lgs. n. 274 del 2000); ma tale iniziativa non è dissonante rispetto alla generale fisionomia del procedimento, che prevede, all’art. 2, comma 2, l’impegno del giudice di pace di “favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti”, ed è in linea con la specifica previsione dell’art. 29, comma 4 (che vale per entrambi i riti di introduzione della udienza) secondo cui il giudice, proprio con riferimento al caso di reato perseguibile a querela, “promuove la conciliazione tra le parti”.
Nella finalità di promuovere la conciliazione tra le parti, nei casi di reati perseguibili a querela (che costituisce un preciso dovere del giudice di pace: cfr. art. 17, comma 1, lett. g, legge-delega 24 novembre 1999, n. 468), è attribuita al giudice un’ampia scelta di iniziative: tra l’altro, egli “può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell’attività di mediazione di centri e strutture pubbliche e private presenti sul territorio” (art. 29, comma 4, cit.).
In tali casi, l’attività di conciliazione, se fruttuosa, può sfociare (art. 29, comma 5) nella formale remissione della querela e nella formale “accettazione” di questa (più propriamente, ex art. 155 cod. pen., “mancanza di ricusa” della remissione), per le quali, evidentemente, si richiede necessariamente la presenza del querelante e del querelato che non si siano già attivati in tal senso.
Ma, proprio in considerazione della previsione di un inderogabile dovere del giudice di pace di favorire la conciliazione tra le parti nei casi di reati perseguibili a querela, ben può essere riconosciuta al giudice stesso la scelta delle modalità più opportune per perseguire tale obiettivo, se del caso rendendo avvertite le parti della valutazione che potrebbe essere attribuita a una loro condotta passiva: volontà tacita del querelante di rimessione e mancanza di volontà di ricusa del querelato.
Una analoga iniziativa giudiziale, proprio in una fattispecie di procedimento davanti al giudice di pace, è stata del resto riconosciuta dalle Sezioni Unite (sent. n. 27610 del 25/05/2011, Marano, Rv. 250201) come legittima e idonea a rendere avvertito il querelato che la sua mancata comparizione sarebbe stata interpretata come assenza di volontà di ricusa della remissione; e, al di là delle differenze sul piano psicologico e strutturale che caratterizzano la volontà di remissione della querela e la mancanza di ricusa della remissione, efficacemente evidenziate nella citata sentenza, non vi sono ragioni per non estendere una simile conclusione anche alla posizione del querelante.
Deve dunque ritenersi che non contrasta con il tenore formale della disciplina ed è anzi in linea con la sua complessiva ratio la conclusione secondo cui nell’ambito del procedimento davanti al giudice di pace per reati perseguibili a querela, anche nel caso di procedimento instaurato su citazione del p.m., stante il dovere del giudice di promuovere la conciliazione tra le parti, dalla mancata comparizione della persona offesa che sia stata previamente e specificamente avvertita delle relative conseguenze deriva l’effetto di una tacita volontà di remissione di querela.
Resta naturalmente fermo che, nel caso in cui il procedimento sia stato instaurato dal p.m. ex art. 20 d.lgs. n. 274 del 2000, la mancata comparizione della persona offesa alla udienza di comparizione, in difetto di un previo e specifico avvertimento del giudice, non può di per sé essere interpretata come tacita volontà di remissione della querela.
5. La mancata comparizione della persona offesa in caso di reati perseguibili a querela deve però ricevere una disciplina che va al di là dei procedimenti davanti al giudice di pace.
Già l’art. 555, comma 3, cod. proc. pen., con riferimento ai reati a citazione diretta, prevede che nella udienza di comparizione il giudice, “quando il reato è perseguibile a querela, verifica se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione”.
Da ultimo, con l’introduzione dell’art. 90-bis cod. proc. pen. ad opera del d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (attuativo della direttiva 2012/29/UE in tema di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato), il legislatore, nel quadro della valorizzazione delle esigenze informative della persona offesa, ha previsto al comma 1, lett. n), che ad essa, sin dal primo contatto con l’autorità procedente, sia data informazione in merito “alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all’art. 152 cod. pen., ove possibile, o attraverso la mediazione”.
In tale contesto normativo, teso a rafforzare le esigenze informative delle vittime dei reati, alle quali vanno peraltro specularmente assegnati altrettanti oneri di partecipazione al processo, va certamente considerata come legittima ed anzi auspicabile – una prassi alla stregua della quale il giudice, nel disporre la citazione delle parti, abbia cura di inserire un avvertimento alla persona offesa e al querelato circa la valutazione in termini di remissione della querela della mancata comparizione del querelante e di mancanza di ricusa della remissione della mancata comparizione del querelato.
Una simile opportuna iniziativa appare anche in sintonia con il rispetto del principio della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., favorendo definizioni del procedimento che passino attraverso la verifica dell’assenza di un perdurante interesse della persona offesa all’accertamento delle responsabilità penali e precludano sin dalle prime battute lo svolgimento di sterili attività processuali destinate a concludersi comunque con un esito di improcedibilità dell’azione penale o di estinzione del reato.
6. Deve dunque essere enunciato il seguente principio di diritto:
“Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela“.
7. Nel caso in esame, come già precisato, risulta dagli atti che nel corso del procedimento davanti al Giudice di pace di Taranto, relativo a reati perseguibili a querela, sia la persona offesa C.C. sia l’imputato P.L. non comparirono in udienza, dopo essere stati avvertiti dal Giudice che la loro mancata comparizione sarebbe stata interpretata rispettivamente come volontà di remissione della querela e di accettazione di essa.
Correttamente, dunque, è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione dei reati per remissione della querela.
Consegue il rigetto del ricorso proposto dal Pubblico ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai fini del pagamento delle spese processuali, che valenza ha tale remissione?