Tribunale di Trento – Sezione penale – Sentenza 26 aprile 2016 n. 353
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRENTO
Il Tribunale, in composizione monocratica, presieduto dal Giudice dr. ENRICO BORRELLI alla pubblica udienza del 01.04.16 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale
CONTRO
PA.Fa. codice fiscale (…) nato (…), residente a Cavedine (TN) in via (…), (domicilio ivi dichiarato);
Pe.De. (…) nata (…), residente a Cavedine (TN) in via (…), (domicilio ivi dichiarato); entrambi difesi d’ufficio dall’avv. Sa.Ga.BE. del foro di Trento
LIBERI ASSENTI
IMPUTATI
Del reato p. e p. dagli artt. 110 e 641 cp perché dissimulando il proprio stato di insolvenza, in concorso tra loro, pranzavano presso “l’Hotel Pa.” in località Lochere di Caldonazzo, il giorno 24 ottobre 2014 insieme agli invitati al loro matrimonio senza saldare il conto pari ad Euro 2.406,20; nonostante i solleciti da parte del Ristoratore, in Caldonazzo (Tn) il (…)
Fatto da cui risultano offesi interessi giuridicamente tutelati di:
– PA.En. nato il (…) a Caldonazzo (TN) ed ivi residente in località (…).
FATTO E DIRITTO
Con decreto di citazione diretta ex art. 550 c.p.p. Pa.Fa. e Pe.De. erano tratti in giudizio innanzi al Tribunale di Trento, in composizione monocratica, per rispondere del reato in rubrica.
Esaurita l’istruttoria dibattimentale, all’udienza del 1.4.16 le parti concludevano come in epigrafe ed il giudice emetteva il dispositivo, letto in udienza.
In fatto, emerge dall’istruttoria che gli imputati avevano prenotato la sala per il pranzo di matrimonio, con fissazione del menù e del prezzo; che si erano presentati 30 invitati; che l’albergatore, su richiesta, aveva ordinato delle torte presso una pasticceria; che il giorno successivo al pranzo gli sposi avevano preso i dolci non utilizzati. Sin dal momento della prenotazione, la p.o. non chiedeva caparra né altre garanzie in quanto lo sposo aveva già
usufruito del locale per un precedente matrimonio. È poi emerso che gli imputati in un primo tempo hanno risposto in maniera evasiva ai solleciti telefonici della p.o., promettendo l’adempimento; successivamente la Pe. in più occasioni si è qualificata, al telefono, come persona appartenente alla Guardia di Finanza di Trento” o come soggetto “sotto protezione della Guardia di Finanza”, organo che sarebbe tenuto al pagamento.
Sulla qualificazione del fatto, la differenza tra il mero inadempimento civilistico e l’insolvenza fraudolenta è da individuare nell’intenzione di non adempiere all’obbligazione contratta e nell’attuazione di condotte volte a dissimulare la propria incapacità di far fronte al debito. Si è infatti osservato che “ai fini della sussistenza del reato di insolvenza fraudolenta, la condotta di chi tiene il creditore all’oscuro del proprio staio di insolvenza al momento di contrarre l’obbligazione assume rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non adempiere la dovuta prestazione, mentre non si configura alcuna ipotesi criminosa, ma solo illecito civile, nel mero inadempimento non preceduto da alcuna intenzionale preordinazione” (Cass. 12/10/2006 n. 34192) e che “in tema di insolvenza fraudolenta ex art. 641 c.p., anche il silenzio può assumere rilievo quale forma di dissimulazione del proprio staio di insolvenza, quando tale stato non sia manifestato all’altra parte contraente ed il silenzio su di esso sia legato al preordinato proposito di non adempiere, cioè, quando sin dai momento in cui il contratto è staio stipulato vi era intenzione di non far fronte all’obbligo o agli obblighi scaturenti dal rapporto contrattuale” (Cass. sez. II, 14/7/2003, n. 28454).
Nel caso di specie, gli elementi istruttori sono da ritenere univoci e convergenti in ordine all’integrazione della fattispecie; in particolare la pregressa conoscenza del cliente, il ritorno il giorno successivo per il prelievo dei dolci, le plurime assicurazioni di pagamento, la finzione relativa all’interessamento di Forze dell’ordine rappresentano elementi da cui si desume l’intenzione di non provvedere al pagamento.
Elemento soggettivo. Sussiste inoltre il dolo, da ritenere specifico (Cass. 2.12.08, n. 47637, Le.), consistente nella volontà di non adempiere, come si desume dalle circostanze in fatto sopra richiamate.
Ex art. 133 c.p., si stima congrua una pena non prossima al limite edittale minimo,, in ragione delle modalità dell’azione, dell’intensità del dolo, dal contesto in cui è maturata la condotta; va pertanto inflitta la pena di mesi 6 di reclusione. Le medesime ragioni non inducono a positiva prognosi, con concessione della sospensione condizionale della pena.
Il numero delle decisioni assunte complessivamente dal giudicante induce alla fissazione del termine di gg. 30 per il deposito della sentenza.
(La presente sentenza è stata redatta in collaborazione con il dr. Lu.Gr., tirocinante ex art. 73 d.l. 69/13 convertito nella legge 98/13).
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 – 535 c.p.p.
dichiara gli imputati colpevoli dei reati a loro ascritti e li condanna alla pena di mesi 6 di reclusione;
spese e tasse;
motivazione gg. 30.
Così deciso in Trento l’1 aprile 2016. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2016.