Busta paga: come dimostrare lo svolgimento di mansioni superiori


Il dipendente che ritenga di aver svolto compiti superiori a quelli per i quali è stato assunto deve intraprendere una causa contro l’azienda e dimostrare le mansioni effettivamente svolte.
Una delle principali contestazioni negli ambienti di lavoro – dopo quella, purtroppo assai comune, del mancato pagamento della busta paga – è l’impiego del dipendente per mansioni di livello superiore per le quali è stato assunto: una situazione quest’ultima che dà diritto al lavoratore a una maggiorazione rispetto al salario indicato in cedolino. Perché – come tutti sanno – lo stipendio varia anche in base alle responsabilità e alle qualifiche del dipendente. Inoltre la quantificazione della paga deve avvenire sulla base dei compiti effettivamente svolti, a prescindere da quanto scritto sul contratto di lavoro o di come è avvenuta l’assunzione.
Ma per poter fare causa all’azienda è necessario che il lavoratore dimostri il comportamento illecito del capo. Ed allora come dimostrare le mansioni superiori?
Cme ha già chiarito la Cassazione, l’impiego costante e ripetuto del lavoratore per mansioni superiori dà diritto a quest’ultimo non solo alla maggiorazione del salario, ma anche alla promozione. Così, ad esempio, un aiuto cuoco può diventare un cuoco “in carica”; un addetto al magazzino può diventare un addetto vendite; un addetto vendite può diventare un direttore di reparto. E così via. Ecco perché è importante riuscire a provare i compiti effettivamente eseguiti, in una causa contro l’azienda, affinché il giudice “promuova” d’ufficio il lavoratore. Di nuovo torna a galla la domanda: come dimostrare le mansioni superiori?
Per riconoscere le mansioni superiori occorre verificare l’assunzione di responsabilità e l’autonomia della nuova qualifica. Il giudice di merito deve svolgere un procedimento logico giuridico in tre fasi interdipendenti: l’individuazione degli elementi generali e astratti della qualifica, l’accertamento delle concrete mansioni di fatto e il confronto tra ruolo accertato e previsione ipotetica dell’attività [1].
Il problema è stato affrontato di recente dal Tribunale di Pescara [2], che ha dettato un vero e proprio vademecum per chiarire come dimostrare lo svolgimento di mansioni superiori. Secondo la sentenza, il dipendente non può basare le proprie prove producendo il contratto di lavoro, le buste paga o i conteggi analitici fatti dal proprio consulente: per dimostrare le mansioni superiori sono necessari i testimoni. La semplice sussistenza del rapporto di lavoro infatti non basta a dimostrare le mansioni di livello più alto.
Solo i testimoni possono dichiarare di aver visto il dipendente svolgere determinati compiti di particolare importanza, come ad esempio gestire i conteggi della cassa, effettuare ordini dai clienti o intrattenere i rapporti coi fornitori, rappresentare l’azienda all’esterno, ecc.
La conseguenza è anche di tipo processuale: l’impossibilità di utilizzare, come prova, documenti cartacei fa sì che il lavoratore non possa agire, contro il datore, attraverso un ricorso per decreto ingiuntivo (procedura che richiede sempre l’esibizione di prove scritte). È necessario, invece, avviare una causa ordinaria, con tempi e costi sicuramente più elevati. I testimoni, infatti, non possono che essere ascoltati nel corso di un giudizio ordinario e non prima dell’emissione del decreto ingiuntivo (anche se la testimonianza viene riportata per iscritto).
Nel caso deciso dal tribunale di Teramo, il ricorrente aveva rivendicato l’inquadramento superiore per le mansioni svolte di cuoco, e non aiuto cameriere, e le relative differenze retributive chiedendone la corresponsione. Il tribunale ha osservato che dalla qualifica formale del contratto di lavoro e dalla prova testimoniale è emerso in maniera univoca che il ricorrente ha lavorato senza soluzione di continuità e non a chiamate, per l’intero periodo e con orario di lavoro a tempo pieno rivestendo il ruolo di cuoco.
Al riguardo, la corte abruzzese ha ricordato che “ove il lavoratore rivendichi in giudizio la qualifica superiore ex art. 2103 Cc, il giudice del merito deve svolgere un procedimento logico giuridico che comporta l’accertamento in fatto delle mansioni concretamente svolte dal lavoratore, l’individuazione della categoria e dei livelli funzionali nei quali questa si articola ed il raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie che, nei testi contrattuali, definiscono i singoli livelli; deve verificare che l’assegnazione del lavoratore a mansioni superiori abbia comportato anche l’assunzione della relativa responsabilità e l’autonomia propria della qualifica rivendicata. Il procedimento logico giuridico che il giudice deve seguire i fini dell’accertamento della qualifica spettante al lavoratore si articola quindi, come già anticipato, in tre fasi fra loro interdipendenti: 1) individuazione degli elementi generali e astratti della qualifica, tenuto conto di quelli tipici che valgono a porre i criteri discriminatori di essa nell’ambito della struttura aziendale; 2) accertamento delle concrete mansioni di fatto; 3) raffronto tra mansioni accertate e previsione astratta della qualifica, al fine delle riconducibilità di quelle in questa”.
note
[1] Trib. Teramo sent. n. 143/2021.
[2] Trib. Pescara, sent n. 696/16.
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