Chiudere una partita IVA se si attendono pagamenti è possibile: ecco come fare per non incorrere in sanzioni.
La domanda è: devo chiudere la partita IVA ma ancora ho crediti che devo incassare e non ho ancora emesso fatture. Come funziona?
La risposta a questa domanda è stata data dall’Agenzia delle Entrate nel corso degli anni e da ultimo riconfermata da una recente sentenza della Cassazione. Facciamo dunque chiarezza, partendo dalla normativa vigente.
Chiusura Partita Iva: cosa dice l’Agenzia delle Entrate
Con una circolare del 2007 [1], l’Agenzia delle Entrate chiarisce che: “l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale”.
Secondo quanto stabilito da tale circolare, dunque, il lavoratore autonomo, dovrebbe conservare la Partita IVA fino all’incasso della sua ultima prestazione professionale ed emettere relativa fattura.
Ma cosa succede se si vuole chiudere la Partita IVA senza emettere altre fatture?
Gli incassi vengono persi? O come dovrebbero essere emesse le ricevute relative?
Se il professionista vuole chiudere la Partita IVA e senza emettere ulteriori fatture, la strada da seguire viene indicata da una risoluzione del 2009 delle Entrate [2]. La soluzione sarà quella di effettuare comunque il versamento dell’IVA che sarebbe dovuta essere indicata in fattura.
La Cassazione conferma l’interpretazione delle Entrate
In una recente sentenza la Suprema Corte ha affrontato il caso di un architetto che, dopo aver chiuso la partita IVA nel 1997, aveva ricevuto nel 2002 compensi relativi a prestazioni, eseguite nel periodo in cui aveva la partita IVA aperta. Per tali prestazioni il professionista non aveva emesso fattura perché al momento della ricezione del compenso la partita IVA era appunto chiusa.
Secondo l’Agenzia delle Entrate tali compensi dovevano essere assoggettati a IVA, poiché riferite a prestazioni che creavano il presupposto impositivo.
Secondo l’architetto, invece le somme non dovevano essere assoggettate ad IVA, mancando il presupposto impositivo al momento dell’incasso. Le somme dovevano essere dunque considerate “redditi diversi“.
Mentre i primi due gradi di giudizio davano ragione al professionista, la Cassazione accoglieva il ricorso del Fisco, imponendo così il pagamento dell’IVA al professionista.
note
[1] Agenzia delle Entrate, circ. n. 11/E/2007.
[2] Agenzia delle Entrate ris. 232/E/2009.
[3] Cass. sent. n. 8059 del 21.04.2016.