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Chi viene licenziato prima in azienda?

26 Luglio 2018
Chi viene licenziato prima in azienda?

Criteri di scelta dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi: chi ha diritto a conservare il posto di lavoro?

Se la tua azienda dovesse chiudere un reparto o, diminuendo le commesse, ridurre anche il personale, quali dipendenti perderebbero subito il posto di lavoro? Quali sono i criteri stabiliti dalla legge nella scelta dei lavoratori da licenziare per primi? Tale scelta può essere limitata all’unità produttiva, al reparto o al settore interessato dall’esubero o deve essere estesa sempre a tutto il complesso aziendale? A questi aspetti ha più volte tentato di dare una risposta la Cassazione. Ma procediamo con ordine.

Esuberi e licenziamento collettivo

Ogni volta che il datore di lavoro deve effettuare un licenziamento collettivo deve rispettare alcune procedure e regole fissate da una normativa del 1991 [1]. In essa vengono stabiliti i criteri di scelta dei dipendenti da licenziare per primi.

Il primo gradino è quello della contrattazione con i sindacati. Ma qualora datore di lavoro e lavoratori non abbiano trovato un accordo per la gestione degli esuberi anche individuando i criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità, la scelta deve essere effettuata rispettando i seguenti criteri, in concorso tra loro:

  1. carichi di famiglia: conserva il posto di lavoro chi ha, sulle spalle, una famiglia e, tra questi stessi soggetti, chi ha la famiglia più numerosa;
  2. anzianità: conserva il lavoro chi è più giovane rispetto a chi si avvicina, di più, alla pensione;
  3. esigenze tecnico produttive ed organizzative: bisogna sempre verificare quali siano le esigenze dell’azienda venute meno a seguito del licenziamento collettivo e, quindi, bisognerà conservare il personale adibito alle mansioni che, ancora, sono indispensabili all’azienda stessa.

La scelta, effettuata sulla base di tali tre elementi, deve essere effettuata nell’ambito del complesso aziendale considerato come un tutt’uno, e non quindi solo nell’ambito della singola unità produttiva (reparto o filiale) interessata alla riduzione del personale. Insomma bisogna considerare anche eventuali altre posizioni lavorative equivalenti perché operanti in unità produttive, reparti o settori non coinvolti dall’esubero.

Secondo la Cassazione [2] l’azienda non può restringere la scelta dei lavoratori da licenziare alle sole figure professionali del reparto o settore in cui sono stati ravvisati gli esuberi. Al contrario, il datore di lavoro deve effettuare la valutazione anche ad altre unità produttive, filiali e settori non interessati dall’esubero dichiarato, ma ove operano prestatori di lavoro che espletano mansioni equivalenti. Questo significa che tutti i dipendenti – e non solo quelli dell’unità produttiva in smantellamento – rischiano di perdere il posto se, da un confronto con gli altri colleghi di lavoro, risultano non rientranti nei tre criteri di preferenza legali appena elencati.

Sempre la Cassazione [3] ha anche precisato che, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo a un’unità produttiva o un reparto, l’individuazione dei lavoratori da licenziare potrà essere limitata agli addetti dell’unità, del reparto o del settore da ristrutturare.

Esuberi e licenziamento individuale

Di recente la Suprema Corte ha detto [4] che anche in caso di licenziamento individuale (e non collettivo) per crisi aziendale o soppressione del posto di lavoro si devono seguire in analogia gli stessi criteri di scelta dei licenziamenti collettivi per quanto riguarda i lavoratori da mandare a riposo. Con la conseguenza pertanto che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, avrà preferenza a restare il dipendente con maggiore anzianità di servizio.


note

[1] Art. 5 L. 223/1991. Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri a carico delle imprese

1. L’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti

collettivi stipulati con i sindacati di cui all’articolo 4, comma 2, ovvero in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:

a) carichi di famiglia;

b) anzianità;

c) esigenze tecnico produttive ed organizzative. (5)

2. Nell’operare la scelta dei lavoratori da licenziare, l’impresa è tenuta al rispetto dell’ articolo 9, ultimo comma, del decreto legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79. L’impresa non può altresì licenziare una percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione. (1) (5)

3. Qualora il licenziamento sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all’articolo 18, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. In caso di violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12, si applica il regime di cui al terzo periodo del settimo comma del predetto articolo 18. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del medesimo articolo 18. Ai fini dell’impugnazione del licenziamento si applicano le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. (6)

[4. Per ciascun lavoratore posto in mobilità l’impresa è tenuta a versare alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, di cui all’ articolo 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88, in trenta rate mensili, una somma pari a sei volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore. Tale somma è ridotta alla metà quando la dichiarazione di eccedenza del personale di cui all’articolo 4, comma 9, abbia formato oggetto di accordo sindacale.] (4)

[5. L’impresa che, secondo le procedure determinate dalla Commissione regionale per l’impiego, procuri offerte di lavoro a tempo indeterminato aventi le caratteristiche di cui all’articolo 9, comma 1, lettera b), non è tenuta al pagamento delle rimanenti rate relativamente ai lavoratori che perdano il diritto al trattamento di mobilità in conseguenza del rifiuto di tali offerte ovvero per tutto il periodo in cui essi, accettando le offerte procurate dalla impresa, abbiano prestato lavoro. Il predetto beneficio è escluso per le imprese che si trovano, nei confronti dell’impresa disposta ad assumere, nei rapporti di cui all’art. 8, comma 4 bis. Si applica la disposizione di cui al secondo periodo del citato comma.] (2) (4)

[6. Qualora il lavoratore venga messo in mobilità dopo la fine del dodicesimo mese successivo a quello di emanazione del decreto di cui all’articolo 2, comma 1, e la fine del dodicesimo mese successivo a quello del completamento del programma di cui all’articolo 1, comma 2, nell’unità produttiva in cui il lavoratore era occupato, la somma che l’impresa è tenuta a versare ai sensi del comma 4 del presente articolo e` aumentata di cinque punti percentuali per ogni periodo di trenta giorni intercorrente tra l’inizio del tredicesimo mese e la data di completamento del programma. Nel medesimo caso non trova applicazione quanto previsto dal secondo comma dell’ articolo 2 della legge 8 agosto 1972, n. 464.] (3) (4)

—–

(1) L’ultimo periodo del presente comma è stato aggiunto dall’ art. 6, D.L. 20.05.1993, n. 148.

(2) Il presente comma, prima modificato dall’ art. 1, D.L. 18.01.1994, n. 40 e dal D.L. 18.03.1994, n. 185 entrambi non convertiti, così modificato dall’ art. 2 D.L. 16.05.1994, n. 299 è stato da

UnicoLavoro 24 – Gruppo 24 ORE Pagina 1 / 2

ultimo abrogato dall’art. 2, L. 28.06.2012, n. 92, G.U. 03.07.2012, n. 153, S.O. n. 136, con decorrenza dal 01.01.2017.

(3) l’art. 40 della Legge 6 febbraio 1996, n. 52 “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunita’ Europee – Legge comunitaria 1994″, pubblicata sul S.O. n. 24 alla G.U. del 10.02.96, n. 34 e’ del seguente tenore: ” Licenziamenti collettivi: criteri di delega: 1. L’attuazione della direttiva 92/56/CEE del Consiglio sara’ informata all’obiettivo dell’armonizzazione della disciplina recata dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 di attuazione della direttiva 75/129/CEE del Consiglio, integrando la consultazione con l’esame delle possibili misure di riqualificazione e di riconversione dei lavoratori licenziati, nonche’ alla necessita’ che gli obblighi di informazione e consultazione siano adempiuti indipendentemente dal fatto che le decisioni riguardanti i licenziamenti siano prese dal datore di lavoro o da un’impresa che lo controlli”.

(4) Il presente comma è stato abrogato dall’art. 2, L. 28.06.2012, n. 92, G.U. 03.07.2012, n. 153, S.O. n. 136, con decorrenza dal 01.01.2017.

(5) La parola “licenziare” di cui al presente comma ha così sostituito le previgenti “collocare in mobilità” in virtù dell’art. 2, L. 28.06.2012, n. 92 (G.U. 03.07.2012, n. 153, S.O. n. 136) con

decorrenza dal 18.07.2012.

(6) Il terzo comma é stao così sostituito dall’art. 1, L. 28.06.2012, n. 92 (G.U. 03.07.2012, n. 153, S.O. n. 136), con decorrenza dal 18.07.2012. Si riporta di seguito il testo previgente :

“3. Il recesso di cui all’articolo 4, comma 9, e` inefficace qualora sia intimato senza l’osservanza della forma scritta o in violazione delle procedure richiamate dall’articolo 4, comma 12, ed e` annullabile in caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1 del presente articolo. Salvo il caso di mancata comunicazione per iscritto, il recesso puo` essere impugnato entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volonta` del lavoratore anche attraverso l’intervento delle organizzazioni sindacali. Al recesso di cui all’articolo 4, comma 9, del quale sia stata dichiarata l’inefficacia o l’invalidita`, si applica l’ articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.”.

[2] Cass. sent. n. 6112/2014.

[3] Cass. sent. n. 25353/2009.

[4] Cass. sent. n. 19732/18.

Autore immagine: 123rf com

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 giugno – 7 novembre 2016, n. 22543
Presidente Mannone – Relatore Doronzo

Svolgimento del processo

1. In data 19 novembre 2001, Poste italiane s.p.a. comunicò a R.G. la risoluzione del rapporto di lavoro in esecuzione delle previsioni dell’accordo sindacale sottoscritto con le principali associazioni sindacali di categoria in data 17 ottobre 2001, a definizione della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24, la quale prevedeva la risoluzione dei rapporti di lavoro con il personale che “alla data rispettivamente del 31 dicembre 2001 e del 31 marzo 2002 risulta(sse) in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia“.
2. Con ricorso al Tribunale di Napoli il lavoratore impugnò il licenziamento, sostenendo la violazione della legge n. 223 del 1991, in particolare degli artt. 4, 24 e 5, con riferimento alla ritenuta insussistenza delle ragioni tecnico organizzative di eccedenza di cui all’art. 5, comma 1, I. n. 223/1991. Chiese pertanto che fosse dichiarata l’illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro, con la condanna della società a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a risarcirgli il danno subito dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra.
3. Il Tribunale accolse il ricorso e condannò Poste Italiane S.p.A. a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a corrispondergli il risarcimento del danno, commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino alla reintegra.
4. Contro la sentenza, Poste italiane S.p.A. propose appello e la Corte d’appello di Napoli lo ha rigettato con sentenza depositata in data 29/11/2012. La Corte ha infatti ritenuto che l’assunto di Poste italiane S.p.A. secondo cui, una volta concordati i criteri di scelta, questi sarebbero applicabili a prescindere da ogni rapporto di causalità del singolo licenziamento rispetto all’eccedenza, con la conseguenza che le risoluzioni potrebbero riguardare anche settori non direttamente eccedentari, fosse infondato dal momento che deve esservi uno stretto collegamento tra le ragioni aziendali, le esigenze tecnico-produttive e organizzative di cui all’art. 5, comma 1, e la scelta dei lavoratori da licenziare. Né rilevava il fatto che negli accordi si fosse previsto il licenziamento di tutto il personale che alla data del 31 dicembre 2001 (e successivamente esteso al 31 marzo 2002) fosse in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia, in quanto ciò concerneva l’applicazione del criterio concordato, non già l’individuazione dei settori eccedentari in cui il criterio adottato doveva operare. Ne conseguiva che non poteva dirsi irrilevante la circostanza che, nel prospetto dell’eccedenza, suddiviso per regione e area di inquadramento alla data del 1 agosto 2001, non risultassero eccedenze di sorta per i quadri di secondo livello, ma una carenza di personale nella misura di centoventuno unità complessive, di cui ventisei in Campania.
5. La Poste italiane S.p.A. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un unico motivo, al quale resiste il R. con controricorso.

Motivi della decisione

1. Il motivo è fondato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 I. n. 223/1991, 1362 c.c. in relazione agli accordi sindacali. Poste italiane invoca pronunce di questa Corte (nn. 5884/2011, 5886/2011, 5888/2011, 5889/2011), le quali con riferimento alla procedura di mobilità di cui si discute hanno ritenuto la legittimità della procedura, affermando che nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso alla stregua della classificazione per aree funzionali, senza necessità di avere riguardo alle eccedenze delle singole unità produttive o aree territoriali.
2. Il ricorso merita di essere accolto. La legge 23 luglio 1991, n. 223, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex ante” alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo), ma la correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455; 9 ottobre 2000, n.13450; Cass., 29 luglio 2003, n. 11651; v. anche Cass. 13 maggio 2004 n. 9134; Cass., 6 ottobre 2006, n. 21541; Cass., 3 marzo 2009, n. 5089).
3. Questa Corte, anche con riferimento alla procedura di licenziamento collettivo in esame, ha avuto modo di affermare che “in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per il licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione“(cfr. in particolare, Cass. n. 4653/2009; n. 10126/2012, Cass. n. 2516/2012, Cass. n. 19712/2011, Cass. n. 12196/2011, Cass. n. 6030/2011, Cass. n. 5884/2011, Cass. n. 24343/2010, Cass. n. 4653/2009, Cass. n. 84/2009, Cass. n. 82/2009, cui adde Cass. n. 5143/2013, Cass. n. 5414/2013, Cass. n. 10985/2013, Cass., 22612/2013 e Cass., n. 18974/2015).
4. In queste sentenze si è precisato che il progetto di riduzione del personale complessivo dell’azienda postale imponeva di indicare soltanto la ripartizione delle eccedenze per categorie professionali, nonché per aree geografiche, anche in vista delle conseguenti necessità di una nuova riorganizzazione del lavoro. In relazione a tale progetto, infatti, non sarebbe stato coerente l’indicazione di uffici o reparti con eccedenze, coincidendo la “collocazione” dei dipendenti da licenziare con l’intero complesso aziendale; né avrebbe avuto alcun senso la specificazione delle concrete posizioni lavorative che si intendevano eliminare, risultando tale profilo completamente estraneo alle ragioni della decisione imprenditoriale.
5. Su questa scia si pone la decisione n. 14170/2014 che ha affermato il seguente principio, perfettamente applicabile alla fattispecie in esame, secondo il quale “in materia di collocamenti in mobilità e di licenziamenti collettivi, ove il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali sia unico e riguardi la possibilità di accedere al prepensionamento, tale criterio sarà applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, restando perciò irrilevanti i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura“.
6. Si è altresì rimarcato che anche la proposta di ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti mediante l’applicazione del criterio di scelta (necessitante di accordo sindacale) del possesso dei requisiti per la pensione offre elementi di giudizio utili alla valutazione di sufficienza e coerenza dei contenuti della comunicazione preventiva.
7. Questo criterio, in linea con le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1994, è ritenuto dalla giurisprudenza della Corte conforme al principio di ragionevolezza e non discriminazione, coerente soprattutto con le finalità del controllo sociale affidato ai sindacati e agli organi pubblici, ed ora consacrato al livello legislativo dalla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 3.
8. Si è, così, chiarito che “deve…. considerarsi razionalmente adeguato il criterio della prossimità al trattamento pensionistico con fruizione di mobilità lunga, oltretutto menzionato come esempio nella suddetta sentenza costituzionale, stante la giustificazione costituita dal minore impatto sociale dell’operazione e il potere dell’accordo di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, di sostituire i criteri legali e di adottare anche un unico criterio di scelta, a condizione che il criterio adottato escluda qualsiasi discrezionalità del datore di lavoro” (Cass. 24 aprile 2007, n. 9866), precisandosi (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541, conforme a Cass. 21 settembre 2006, n. 20455) che “in materia di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l’individuazione dei destinatari del licenziamento può anche essere unico e consistere nella prossimità a pensionamento, purché esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro“.
9. Questi precedenti ribadiscono un orientamento costante, benché non univoco, di questa Corte in tema di controllo giudiziale da esercitarsi sulla regolarità procedimentale del licenziamento collettivo e sul rispetto dei principi di non discriminazione, di razionalità e di obiettività dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, nella determinazione negoziale degli stessi criteri (v., da ultimo Cass., n. 19457/2015, che ha riassunto le diverse posizioni della giurisprudenza di legittimità ritenendo preferibile l’orientamento qui condiviso e in corso di consolidamento).
10. Il giudice di merito non ha fatto corretta applicazione di questi principi, ritenendo di dover valutare la singola collocazione professionale del lavoratore licenziato, senza porre la doverosa attenzione, da un lato, all’esigenza del datore di lavoro – incontestatamente esplicitata nella nota di avvio della procedura – di riduzione del costo del personale attraverso la redistribuzione territoriale delle risorse e la riduzione del numero di addetti entro livelli più coerenti con la situazione economica e gestionale, e, dall’altro, al criterio di scelta dei lavoratori da licenziare, fondato sulla prossimità al pensionamento.
11. Al contrario, la soluzione qui adottata consente di salvaguardare al meglio le rationessottese alla complessa normativa del 1991 di tutela del lavoratore attraverso il ruolo negoziatore e di controllo svolto dal sindacato, sia attraverso la trattativa con la controparte durante la procedura sia, eventualmente, con la definizione di criteri di scelta che salvaguardino gli interessi complessivamente intesi della comunità dei lavoratori coinvolti e che rispondano a principi di equità e di trasparenza (in tal senso, Cass., n. 19457/2015).
12. D’altronde, nella fattispecie in esame, non può non rilevarsi l’assenza di qualsiasi elemento suscettibile di far paventare l’esistenza di un intento discriminatorio da parte della società datrice di lavoro, essendo innegabile l’equità di un sistema di riduzione del personale incentrato sull’esigenza di una più efficiente riorganizzazione dell’impresa non disgiunta da quella di addossare la ricaduta degli effetti negativi della riduzione stessa sui soggetti che, per essere prossimi a pensione, hanno la capacità economica di ammortizzare meglio detti effetti, ed essendo certo che la società aveva prospettato che l’individuazione dei lavoratori da verificare doveva avvenire in relazione alle esigenze tecnico – produttive dell’intero complesso aziendale (in tal senso, Cass., 24 aprile 2013, n. 10001, resa proprio con riferimento alla procedura di licenziamento collettivo in esame. V. pure Cass., n. 22612/2013, n. 14170/2014 e Cass., n. 18974/2015).
13.Alla luce di questi principi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la domanda del ricorrente deve essere rigettata. I contrasti interpretativi esistenti al tempo della proposizione della domanda giustificano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
14. L’accoglimento del ricorso esclude l’obbligo della parte di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 13, comma 1, del d. p. r. 115/2002.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da R.G. . Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.


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5 Commenti

  1. He sbagliato se uno ha tanti anni di lavoro diciamo 30 anni in una ditta sicuramente ifigli no vivono più in casa o si sposano o convivono o vanno a vivere da soli per questo non si possono giudicare nei confronti di chi è sposato da poco e avrà uno o due fogli più moglie scarico e lavorara da tre anni vuol dire che io e mia moglie dicevamo fare un figli sogni due anni così adesso avrei tre o quattro figli a carico sicuramente starei ancora ad lavorare .
    Questo è mancanza di rispetto per chi ha lavorato 30 anni in una ditta .IO prima di andare a lavorare in questa ditta ho lavorato in altre tre ditte tutta l’esperienza che ho fatto con queste ditte le Ho portate in quest’ultima ditta dove sono stato 30 anni .
    Loro hanno cambiato tipologia di lavoro ponevano integrarmi benissimamente avrei imparato sicuramente invece il sindacato si è tenuto alle procedure di chi doveva licenziare secondo i parametri.
    La ditta gli ultimi anni aveva assunto tre ho quattro muratori perché aveva altre prospettive eliminare le immpermiabilizazzione e gli asfalti e fare costruzione e siccome io ero prosatore di guaine e asfaltista in automatico la ditta non aveva bisogno anche se io piccoli lavori di muratura sapevo fare .Ma il loro intento era di eliminare un po’di personale .
    Ma una ditta di quattro ho cinque operai non può aprire tre o quattro cantieri di lavoro si appoggiano a ditte esterne .
    Come si può licenziare personale e poi apri questi cantieri con lavori di due ho tre anni.
    Adesso sì accettano licenziamenti con troppa facilità

  2. Credo abbiate sbagliato a scrivere: “anzianità: conserva il lavoro chi è più giovane rispetto a chi si avvicina, di più, alla pensione;”
    L’anzianità di solito può essere interpretata in due modi:
    * Lavorativa, dove chi e’ assunto da più tempo e’ più tutelato (conserva il posto)
    * Anagrafica, dove la tutela e’ verso i più vecchi essendo meno ricollocabili (conservano il posto).

    Come dite voi obiettivamente e’ l’opposto ad ogni

    1. io non lo so uno vorrebbe portarli come esempio e questi sbagliano pure a scrivere bah….cioè non c’è uno che fa chiarezza pare che lo facciano apposta per creare confusione e decidere ogni volta nel modo che conviene a chi ha i soldi….

  3. Avete prima affermato che conserva il posto il più giovane e poi affermato che conserva il posto chi ha più anzianità di servizio sono due cose in contrasto!!! chi conserva il posto di lavoro il più giovane o quello che lavora da più tempo con l’azienda? E l’anziano poi fatemi capire come lo trova un nuovo lavoro se le aziende cercano solo giovani? non ha senso bisogna tutelare chi è più anziano e chi ha più esperienza di lavoro!!!

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