Tutela delle minoranze linguistiche e articolo 6 Costituzione


La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Il contenuto normativo dell’art. 6 Cost., che sancisce la tutela delle minoranze linguistiche da parte della Repubblica, costituisce la principale espressione del diverso indirizzo politico adottato in relazione alle minoranze dopo la caduta del regime fascista ponendo, cioè, le basi di uno Stato democratico.
Il regime fascista, come tutti i regimi autocratici, aveva adottato una politica repressiva verso le minoranze (si vedano, ad esempio, le disposizioni sulla italianizzazione dei cognomi) e ne aveva promosso la forzata assimilazione al gruppo linguistico dominante.
La Costituzione, nel rispetto dei principi e dei valori di libertà ed uguaglianza, detta un’apposita norma che ribadisce il precetto contenuto al 1° comma dell’art. 3 nella parte in cui vieta ogni discriminazione in base alla lingua. In tal modo il Costituente si dissocia dalla precedente esperienza dittatoriale impegnandosi per la tutela delle minoranze alloglotte.
L’art. 6 della Costituzione oltre a vietare, alla stregua dell’art. 3, ogni forma di discrimina- zione, vale a dire un trattamento peggiorativo fondato sulla diversità di lingua, garantisce anche una tutela positiva, al fine di conservare il patrimonio linguistico e culturale delle minoranze in ossequio ai principi di pluralismo e tolleranza.
La Corte costituzionale ha più volte affermato che la tutela delle minoranze linguistiche costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale (sentt. 15/1996, 261/1995 e 768/1988) nel rispetto del:
- principio pluralistico riconosciuto dall’art. 2, essendo la lingua un elemento di identità individuale e collettiva di importanza basilare;
- principio di eguaglianza riconosciuto dall’art. 3 che, al primo comma, stabilisce la pari dignità sociale e l’eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di lingua e, al secondo comma, prescrive l’adozione di norme che valgano anche positivamente per rimuovere le situazioni di fatto da cui possano derivare conseguenze discriminatorie.
Dal punto di vista della tutela legislativa, fino all’emanazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, non esisteva nell’ordinamento giuridico italiano una legge-quadro nazionale per la tutela delle minoranze.
Uno status giuridico privilegiato veniva riconosciuto soltanto alle minoranze nazionali (francofona in Valle d’Aosta, germanofona in Trentino, slovena in Friuli-Venezia Giulia) cui una legislazione di rango costituzionale (gli Statuti delle Regioni speciali) e la relativa normativa di attuazione riservava e garantiva forme più garantiste di tutela.
Con la legge 482/99, invece, sono stati assicurati interventi a tutela del patrimonio culturale e linguistico di tutte le minoranze storiche (albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo) a livello di scuole, università, amministrazioni pubbliche, favorendone la conoscenza, l’uso, la conservazione.
In ogni caso, in ossequio al principio di unitarietà della nazione, costituisce un baluardo insormontabile l’uso della lingua italiana, che deve sempre conservare il carattere ufficiale, nonché il primato rispetto alle altre lingue (cfr. da ultimo TAR Lombardia, sez. III, 25 maggio 2013, n. 1348).