Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 30 agosto 2016, n. 35778
Per la configurabilità del delitto di stalking non è necessario che i comportamenti che ne costituiscono l’oggetto cagionino un mutamento delle abitudini di vita della persona offesa essendo sufficiente che il comportamento incriminato abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e timore per propria incolumità. Il delitto di atti persecutori è un reato a fattispecie alternative, la realizzazione di ciascuna delle quali è idonea a integrarlo.
Corte di Cassazione, Sezione 6 penale, Sentenza 19 luglio 2016, n. 30704
L’oggettività giuridica dei reati di cui agli articoli 572 e 612-bis del Cp è diversa, perché il primo è un reato contro l’assistenza familiare e il secondo è un reato contro la libertà morale, e diversi sono i soggetti attivi e passivi delle due condotte illecite, ancorché le relative condotte materiali appaiano omologabili per modalità esecutive e per tipologia lesiva. Infatti, il reato di atti persecutori può essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia reiterati e non presuppone l’esistenza di interrelazioni soggettive specifiche tra l’agente e il soggetto passivo, mentre, al di là della lettera della norma incriminatrice («chiunque»), il reato di maltrattamenti familiari si connota come reato proprio, potendo essere commesso soltanto da chi ricopra un ruolo nel contesto della famiglia (coniuge, genitore, figlio) e soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte dell’aggregazione familiare lato sensu intesa.
Cassazione Penale, Sez. V, 18 maggio 2016, n. 20711
Nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire.
Cassazione Penale, Sez. V, 17 febbraio 2016, n. 6455
Integrano il delitto di atti persecutori le condotte reiterate che ingenerano nella vittima un fondato timore per l’incolumità propria o dei suoi prossimi congiunti o che la costringono ad alterare le proprie abitudini di vita quotidiana, incidendo quindi gravemente sulla libertà di autodeterminazione della persona.
Corte di Cassazione, Sezione 2 penale Sentenza 7 dicembre 2015, n. 48332
In materia di atti persecutori, la frequentazione di posti di svago da parte della vittima, quali discoteche, spiagge o lo stesso bar gestito dallo stalker, non esclude la configurabilità del delitto di cui all’articolo 612-bis del Cp. Lo stalking, infatti, è configurabile quando anche due soli episodi di molestia provochino uno solo degli elementi previsti nella fattispecie, ovvero la presenza di uno stato di ansia e di paura o il fondato timore per la propria incolumità. (Nella specie la Corte respinge il ricorso di un ragazzo che, seppur aveva inviato alla vittima diversi messaggi minacciosi avvalendosi di tutti i mezzi di comunicazione, riteneva di non aver commesso tale delitto perché la donna continuava a frequentare i suoi stessi posti).
Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 13 novembre 2015, n. 45453
In tema di atti persecutori, ai fini della individuazione del cambiamento delle abitudini di vita, quale elemento integrativo del delitto di cui all’articolo 612-bis c.p., occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate. (Nel caso di specie, il mutamento significativo delle abitudini di vita era determinato dal fatto che l’atteggiamento morboso dell’imputato aveva costretto la vittima a uscire di casa sempre accompagnata, anche per espletare le normali attività quotidiane.).
Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 25 luglio 2014, n. 33196
È configurabile il delitto di “stalking” quando, come previsto dall’articolo 612 bis c.p., comma 1, il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima o un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero ancora abbia costretto lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, bastando, inoltre, ad integrare la reiterazione quale elemento costitutivo del suddetto reato come dianzi affermato, anche due sole condotte di minaccia o di molestia Dovendosi, in particolare, intendere per alterazione delle proprie abitudini di vita, ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell’ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima, dalla condotta persecutoria altrui, finalizzato ad evitare l’ingerenza nella propria vita privata del molestatore.
Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 25 luglio 2014, n. 33196
È sufficiente ad integrare l’elemento soggettivo il dolo generico, quindi la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l’integrazione della fattispecie legale, che risultano dimostrate proprio dalle modalità ripetute ed ossessive della condotta persecutoria compiuta dal ricorrente e delle conseguenze che ne sono derivate sullo stile di vita della persona offesa. Non occorre una rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell’apporto che ciascuno di essi arreca all’interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa.
Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 8 maggio 2014, n. 18999
Con l’introduzione della fattispecie il legislatore ha voluto, prendendo spunto dalla disciplina di altri ordinamenti, colmare un vuoto di tutela ritenuto inaccettabile rispetto a condotte che, ancorchè non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima. Il legislatore ha preso atto pero’ che la violenza (declinata nelle diverse forme delle percosse, della violenza privata, delle lesioni personali, della violenza sessuale) spesso è l’esito di una pregressa condotta persecutoria, per cui mediante l’incriminazione degli atti persecutori si è inteso in qualche modo anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità fisio-psichica, attraverso l’incriminazione di condotte che, precedentemente, parevano sostanzialmente inoffensive e, dunque, non sussumibile all’interno di alcuna fattispecie criminale o di fattispecie per cosi’ dire minori, quali la minaccia o la molestia alle persone.
Corte di Cassazione, Sezione 3 penale Sentenza 14 novembre 2013, n. 45648
La reciprocità dei comportamenti molesti non esclude in assoluto la configurabilità del reato di stalking. In un caso del genere, però, all’autorità giudiziaria tocca un compito ancora più incisivo per quanto riguarda la dimostrazione dell’esistenza del danno, cioè dello stato di ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo timore per la propria incolumità o per quella di persone vicine o, ancora, della necessità del cambiamento delle proprie abitudini di vita. Il giudice deve verificare se, in caso di reciprocità degli atti minacciosi, esiste una posizione predominante di una delle due parti coinvolte, tale da permettere di qualificare le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria e le reazioni della vittima come messa in atto di un meccanismo di replica indirizzato a sopraffare la paura. Nè può dirsi che la reazione della vittima comporti, comunque, l’assenza dell’evento richiesto dalla norma incriminatrice, non potendosi accettare l’idea di una vittima inerme alla mercè del suo molestatore e incapace di reagire. Anzi, non va escluso che una situazione di stress o di ansia possa provocare reazioni incontrollate della vittima anche nei riguardi del proprio aggressore. Quanto al numero di condotte violente che possono essere considerate tali da configurare il reato, bastano anche due soli episodi per arrivare alla condanna per atti persecutori. Certo, serve una reiterazione della condotta aggressiva, però non è necessario che questa sia anche assillante.
Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 15 maggio 2013, n. 20993
Per configurare il reato di stalking non occorre una rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell’apporto che ciascuno di essi arreca all’interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa. Infatti, trattandosi di reato abituale di evento, è sufficiente ad integrare l’elemento soggettivo il dolo generico, quindi la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l’integrazione della fattispecie legale, che risultano dimostrate proprio dalle modalità ripetute ed ossessive della condotta persecutoria compiuta e delle conseguenze che ne sono derivate sullo stile di vita della persona offesa.
Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 29 aprile 2013, n. 18819
In materia di stalking e riconoscimento dello stato d’ansia e depressione causato, non è richiesto alcun accertamento dello stato patologico. È infatti sufficiente che gli atti abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. Inoltre, lo stato di difficoltà economica a causa della mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento da parte dell’ex coniuge non configura uno stato di necessità che giustifica la condotta in esame.
Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 6 marzo 2013, n. 10388
La tipicita’ delle condotte persecutorie e’ caratterizzata, per espressa volonta’ del legislatore, dalla loro reiterazione. Per la sussistenza del reato e’ dunque necessaria la realizzazione di una condotta frazionata in una pluralita’ di comportamenti tipici, sia omogenei, sia eterogenei, che si succedano nel tempo. Solo con la reiterazione, esplicitamente richiesta dal legislatore, di singoli episodi – che, in via esemplificativa, possono essere di ingiuria, minaccia, lesione, violenza privata, molestia – e’ legittima una contestazione che vada al di la’ delle tradizionali incriminazioni, previste, rispettivamente, dagli articoli 594, 612, 582, 610 e 660 c.p.. perche’ si applichi la nuova norma, non basta che sotto la sua vigenza sia stato compiuto l’ultimo atto, ma occorre che tale atto sia preceduto da altri comportamenti tipici ugualmente compiuti sotto la vigenza della nuova norma incriminatrice.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 dicembre 2017 – 17 gennaio 2018, n. 1930
Presidente Fumo – Relatore Amatore
Ritenuto in fatto
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino, in riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Aosta in data 26.6.2016 nei confronti del predetto imputato per il reato di cui all’art. 612 bis cod. pen., ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’odierno ricorrente per il menzionato reato perché l’azione penale non poteva essere iniziata per irritualità della querela ed ha ordinato pertanto la immediata liberazione dell’imputato e la revoca delle statuizioni civili.
Avverso la predetta sentenza ricorre il Procuratore generale distrettuale, proponendo tre ordini di doglianze.
1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, violazione di legge e vizio argomentativo in relazione alla dichiarata insussistenza della condizione di procedibilità.
Osserva il ricorrente che le condotte commesse nelle date del 30.11.2014 e 4.4.2015 erano state oggetto di denuncia personale da parte della persona offesa che aveva presentato querela rispettivamente in data 11.12.2014 e 8.4.2015.
Si evidenzia altresì che solo le successive condotte delittuose erano state oggetto di querela in data 5.8.2015 da parte del sostituto processuale del difensore di fiducia presso la questura di Aosta.
Deduce pertanto la difesa l’erroneità della decisione impugnata laddove aveva esteso la denunziata inammissibilità della querela per la mancata autentica della sottoscrizione della persona offesa da parte del difensore (giacché tale autentica era stata effettuata solo dall’avv. Termini che era un mero sostituto processuale ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. del predetto difensore) anche alle ulteriori condotte antecedenti la predetta querela, condotte per le quali le relative querele presentavano tutti i crismi della ritualità.
Si evidenzia altresì che – sulla scorta di una recente giurisprudenza di questa Corte rivestendo il delitto di atti persecutori natura di reato abituale, la condizione di procedibilità determinato dalla presentazione della querela si estenderebbe anche alle condotte successive a quelle già oggetto dell’atto querelatorio.
1.2 Con un secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 102 cod. proc. pen. giacché la sostituzione processuale consentirebbe la sostituzione del difensore in tutte le attività processuali, compresa quella di autentica della sottoscrizione della querela.
1.3 Con un terzo motivo si deduce vizio argomentativo sul medesimo punto.
Considerato in diritto
2. Il ricorso è fondato in relazione al primo motivo, il cui accoglimento assorbe invero l’esame delle ulteriori doglianze prospettate dal P.G. ricorrente.
2.1 Deve ritenersi, in termini generali, che il difensore non è munito di potere certificatorio generale, e le norme che gli conferiscono il relativo potere hanno carattere eccezionale; ne consegue che l’autentica della firma della parte effettuata da difensore diverso da quello legittimato alla difesa della stessa è invalida (Sez. 4, Sentenza n. 15175 del 21/02/2008 Cc. (dep. 10/04/2008) Rv. 239736).
Ne consegue, in omaggio al principio qui riaffermato, che non è ammissibile l’autentica di firma da parte del sostituto processuale proprio in ragione della eccezionalità della norma sulla autentica di firma che non consente interpretazioni estensive.
Tuttavia, la conclusione cui è giunta la Corte territoriale (e secondo la quale tutte le condotte coperte dalla querela del 5.8.2015 dovrebbero ritenersi non procedibili) non è condivisibile, atteso che dall’esame del fascicolo processuale (cui anche questa Corte è abilitata, trattandosi, quello denunziato, di un vizio di rito che consente al giudice di legittimità l’esame del fatto processuale), emerge che le due querele datate 11.12.2014 e 8.4.2015 sono state presentate direttamente dalla querelante e dunque risultano ritualmente depositate.
Peraltro, deve riaffermarsi in questa sede decisoria il principio di diritto secondo cui il carattere del delitto di atti persecutori, quale reato abituale improprio, a reiterazione necessaria delle condotte, rileva anche ai fini della procedibilità, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui il presupposto della reiterazione venga integrato da condotte poste in essere anche dopo la proposizione della querela, la condizione di procedibilità si estende anche a queste ultime, poiché, unitariamente considerate con le precedenti, integrano l’elemento oggettivo del reato (Sez. 5, Sentenza n. 41431 del 11/07/2016 Ud. (dep. 03/10/2016) Rv. 267868).
Alla luce del principio di diritto ora precisato si impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata affinché il giudice di appello riesamini la vicenda processuale anche ai fini dell’accertamento della procedibilità dell’azione penale in virtù della presentazione delle due querele personalmente da parte della persona offesa dal reato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
E’ ingiusto che la legge non prenda in considerazione il comportamento della vittima, che in certi casi, è la causa di ciò che poi la stessa subisce. In virtu’ di ciò, è sempre e comunque l’uomo che sbaglia, pertanto non ci meravigliamo se qualcuno non prova alcuna pietà, quando questo reato ha un tragico risvolto ! IL legislatore ha palesemente voluto tutelare soltanto la donna, e i risultati si vedono. IL criterio dei due pesi e delle due misure non funziona.