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Come sapere quanto guadagna l’ex marito?

10 Gennaio 2019
Come sapere quanto guadagna l’ex marito?

Se è in corso una causa di separazione la moglie può chiedere all’Agenzia delle Entrate che le mostri i redditi dichiarati dal marito.

Ottenere il materiale pagamento dell’assegno di mantenimento dall’ex marito può essere a volte difficile, ma in alcuni casi è ancora più complesso dimostrare al giudice della separazione il reddito realmente guadagnato dall’uomo, specie quando questi svolge una professione, un’attività imprenditoriale o di lavoro autonomo: circostanza essenziale per poter ottenere il riconoscimento di un importo, a titolo di mantenimento, proporzionato alle sue capacità economiche. Forse la moglie è l’unica in grado di intuire le disponibilità dell’ex vista la convivenza, ma è necessaria una prova concreta. È giusto allora chiedersi come sapere quanto guadagna l’ex marito?

La risposta viene data da una recente sentenza del Tar Campania [1] e da una più datata del Tar Puglia [2]. E chiaramente vale anche all’inverso, ossia se il marito vuol sapere quanto guadagna l’ex moglie.

Secondo i giudici amministrativi, quando è in corso una causa di separazione ed è necessario dimostrare al giudice i redditi di cui l’uomo dispone, è possibile ordinare all’Agenzia delle Entrate l’esibizione di tali dati. Non c’è privacy che tenga: il fisco è tenuto a indicare, entro non oltre 30 giorni, quanto guadagna il marito e fornire l’acceso ai suoi rapporti finanziari. Il tutto al fine di poter dare prova, al giudice, del reddito dell’uomo e parametrare, di conseguenza, l’assegno di mantenimento alle sue disponibilità.

Il diritto al mantenimento della donna e dei figli prevale sulla tutela della riservatezza dei dati reddituali dell’uomo. Né l’Agenzia delle Entrate può negare l’esibizione di tali dati trincerandosi dietro al fatto che è necessaria una previa elaborazione, dunque nuovo lavoro per gli uffici.

La giurisprudenza è divisa tra chi ritiene sussistere il diritto del coniuge, anche in pendenza del giudizio di separazione o divorzio, di accedere alla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale dell’altro coniuge, al fine di difendere il proprio interesse giuridico, attuale e concreto; ma ci sono anche altre sentenze che sostengono che l’autorizzazione va prima richiesta al Giudice ed è poi questi a ordinare all’ufficio delle imposte l’esibizione dei documenti.

Le sentenze in commento aderiscono al primo orientamento. Del resto proprio la recente introduzione della legge cosiddetta «Freedom of Information Act» (Foia) sottolinea il diritto di accesso agli atti amministrativi. Essa pone in subordine l’interesse alla riservatezza dei terzi quando l’accesso sia esercitato prospettando l’esigenza della difesa di un interesse rilevante per il diritto. Come quando, ad esempio, è in gioco il diritto dei figli al mantenimento.

Ne consegue che la tutela degli interessi economici e della serenità dell’assetto familiare, soprattutto nei riguardi dei figli minori, prevale o quantomeno deve essere contemperata con il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso a tali documenti sensibili del coniuge.

La sentenza del Tar Campania [1] pubblicata proprio in questi giorni ribadisce l’orientamento anti-privacy secondo cui in base alla legge sulla trasparenza il marito che deve difendersi in giudizio deve ottenere dal fisco le stesse informazioni patrimoniali sulla moglie che il giudice potrebbe intimare all’amministrazione di consegnare. E ciò perché i dati che le banche e le finanziarie comunicano all’anagrafe tributaria possono essere utilizzati anche da privati, ossia da soggetti diversi dall’erario e dalla Guardia di finanza. Il caso in oggetto riguardava, questa volta, il marito che faceva causa alla moglie, ma chiaramente il principio può essere rovesciato e attribuire il diritto all’accesso agli atti alla moglie che vuol sapere quanto guadagna l’ex marito per chiedergli un mantenimento più elevato. Del resto, è proprio sapendo degli incrementi di reddito di quest’ultimo che l’ex può decidere se intentargli una causa per ottenere la revisione dell’assegno di mantenimento, ossia la modifica rispetto a quanto in precedenza stabilito dal giudice.

Il coniuge ha dunque diritto a consultare entro trenta giorni i documenti richiesti. Per approntare la difesa in giudizio il richiedente (marito o moglie che sia) ha bisogno di sapere anche se l’ex ha ad esempio case fittate a terzi o forme di entrate che non conosce. Si applica allora l’articolo 24, settimo comma, della legge 241/90 secondo cui deve essere garantito l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza è necessaria per difendere i proprio interessi giuridici.

A confermare lo stesso principio è anche il Tar Lazio [3]. Il tutto perché con il nuovo codice del processo amministrativo ha natura soggettiva il diritto all’ostensione degli atti amministrativi da parte di chi ha un interesse qualificato. Il padre, però,  non potrà sapere quanto guadagnano i figli maggiorenni perché in sede civile è proposta soltanto nei confronti della ex moglie la domanda per la revisione degli accordi divorzili.


note

[1] Tar Campania, sent. n.7288/18

[2] Tar Puglia, sent. n. 94/2017.

[3] Tar Lazio, sent. n. 29/2019.

Autore immagine: 123rf com

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex art. 116 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1128 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Emanuela Maglio, con domicilio eletto presso lo studio Segreteria T.A.R. Veneto in Venezia, Cannaregio 2277/2278;

contro

Agenzia Entrate di Verona, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distr.le Venezia, domiciliata in Venezia, San Marco, 63;

nei confronti di
-OMISSIS-non costituito in giudizio; per l’annullamento

del provvedimento -OMISSIS- dall’Amministrazione resistente di Verona, Ufficio di Verona 2, dell’istanza formale di accesso agli atti presentata dalla ricorrente; nonché del diritto di accesso e l’emanazione dell’ordine di esibizione dei documenti ex art. 116, comma 4, C.P.A.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Agenzia Entrate di Verona;

Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 il dott. Maurizio Nicolosi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1) Con atto ritualmente notificato e depositato la ricorrente ha impugnato il provvedimento di diniego emesso nei confronti dell’istanza di accesso dalla stessa proposta.

La domanda di accesso riguarda le dichiarazioni dei redditi per gli anni 2012, 2013 e 2014 presentate dal coniuge della stessa, nonché le comunicazioni inviate dall’1.1.2012 sino alla data di risposta da tutti gli operatori finanziari all’Anagrafe tributaria – Sezione archivio dei rapporti finanziari, relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria e ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili anche in qualità di delegante o di delegato al medesimo coniuge. – OMISSIS-

-OMISSIS-

Nel ricorso la nominata deduce due motivi con i quali sostiene la violazione dei principi di legalità e di difesa, nonché della legge 241 del 1990 affermando -OMISSIS-

L’Agenzia non avrebbe, inoltre, correttamente motivato sui presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a fondamento del diniego opposto.

Si è costituita l’Amministrazione intimata a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, la quale ha depositato una memoria con la quale ha sostenuto l’infondatezza della domanda richiamando tra l’altro le-OMISSIS-.

2) Il ricorso è fondato nei limiti sotto spiegati.

Il Collegio rileva, innanzi tutto, che la ricorrente ha dato prova documentale della pendenza del procedimento di separazione dal coniuge innanzi al Tribunale civile e penale di Verona (doc. 2).

Tanto rilevato, va detto che il diritto di accesso regolato dalla legge 241 del 1990 è, per pacifica giurisprudenza, riconosciuto a coloro che per le esigenze di tutela dei propri interessi giuridici abbiano necessità di accedere ad atti detenuti e/o conservati da pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli atti e/o documenti provenienti da privati che siano afferenti all’attività demandata alla pubblica amministrazione che li riceve e che siano necessari per le determinazioni di competenza della stessa, sia nel caso in cui debba adottare un atto richiesto dal privato medesimo, sia che debba invece procedere d’ufficio.

Non possono esser di ostacolo al diritto di accesso, al di fuori dei casi espressamente indicati dall’art. 24 della legge 241 del 1990 a tutela di superiori interessi meritevoli di tutela, -OMISSIS-.

In sintesi, l’unica effettiva condizione è che il richiedente motivi la propria istanza di accesso dimostrando di essere titolare di un interesse personale attuale alla conoscenza degli atti richiesti.

-OMISSIS- -OMISSIS-

Le controdeduzioni dell’Avvocatura dello Stato sulla esistenza di norme specifiche che consentono l’accesso alle comunicazioni finanziarie solo a determinati soggetti pubblici qualificati e nell’ipotesi regolata -OMISSIS-) tali norme però, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale a sostegno della pretesa sottrazione all’accesso delle comunicazioni in questione, non contemplano affatto che queste, una volta riversate nell’Archivio dei rapporti finanziari da parte delle banche e degli operatori finanziari, -OMISSIS-. Sovviene allora, come linea guida da seguire, il regolamento di cui al D.M. 29.10.1996 n. 603, recante la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell’art. 24 della legge 241 del 1990 il cui articolo 1, comma 1, recita che ai sensi della lettera d) del comma 5 dell’art8 del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992 n. 352, ed in relazione all’esigenza di salvaguardare la vita privata e la riservatezza di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, garantendo, peraltro, la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta, sono sottratte all’accesso, fatte salve le richieste del titolare dell’interesse, le seguenti categorie di documenti, compresi quelli ad essi direttamente connessi (…). Come osserva il Consiglio di Stato nella richiamata sentenza che il Collegio non ha ragione di disattendere, tale disposizione rinvia al comma 7 dell’art. 24 della legge nr. 241 del 1990 (“…Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, – OMISSIS-”), per cui occorre effettuare un attento bilanciamento di interessi tra il diritto che si intende tutelare con la visione o l’accesso al documento amministrativo e il diritto alla riservatezza dei terzi.

Avendo riguardo a tali considerazioni appare evidente al -OMISSIS-, la disciplina che ne deriva delinea tre livelli di protezione dei dati dei terzi, cui corrispondono tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la richiesta di accesso: nel più elevato si richiede la necessità di una situazione di “pari rango” rispetto a quello dei dati richiesti; a livello inferiore si richiede la “stretta indispensabilità” e, infine, la “necessità”.

Nel caso di specie, avuto riguardo alle esigenze rappresentate, alle indicazioni contenute nel – OMISSIS-, deve concludersi che la domanda di accesso possa essere soddisfatta dall’Agenzia delle Entrate attraverso la mera presa visione delle comunicazioni inviate, nel periodo indicato nella domanda di accesso, da tutti gli operatori finanziari all’Anagrafe Trtibutaria – sezione Archivio dei rapporti finanziari, relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria e ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili – anche in qualità di delegante o di delegato – al signor XX.

Nei limiti spiegati, pertanto, il ricorso va accolto.
Le spese seguono la soccombenza secondo la liquidazione di cui al dispositivo. P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, dispone che l’Agenzia delle Entrate consenta alla ricorrente, entro il termine di 20 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, dalla notifica della presente ordinanza, la presa visione della documentazione indicata in motivazione.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese di giudizio che liquida in euro 1000,00. Spese compensate per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità delle parti private interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e il controinteressato.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente, Estensore Pietro De Berardinis, Consigliere
Nicola Fenicia, Primo Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE Maurizio Nicolosi

IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.


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1 Commento

  1. Nel corpo del testo scrivete che la sentenza n. 94/2017 è del Tar Puglia, però, se apro il file SENTENZA trovo scritto Tar Veneto. Ma chi ha pronunciato sta sentenza? il tar Puglia o il tar Veneto?

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