Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 febbraio – 30 marzo 2017, n. 16108
Presidente Palla – Relatore Morelli
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Tivoli ha riformato la sentenza del Giudice di Pace di Tivoli del 16.1.14, appellata dalla parte civile, dichiarando L.C. colpevole del reato di diffamazione in danno di R.F. e condannandola al risarcimento dei danni in suo favore, da liquidarsi in separato giudizio.
1.1. L’imputata è accusata di avere offeso, comunicando con più persone, l’onore e il decoro della parte offesa, vedova di suo figlio, accusandola di essere stata la causa della morte del marito e di essere una donna poco seria, definendola altresì con epiteti ingiuriosi.
1.2. La motivazione della sentenza del Tribunale si sofferma sul problema se la circostanza che le frasi offensive nei riguardi della R. siano state pronunciate alla presenza di un adulto e due bambini in tenerissima età (due e quattro anni) integri o meno il requisito della comunicazione con più persone, attesa l’incapacità dei due minori di percepire il contenuto del messaggio verbale.
2. Alla soluzione affermativa da parte del Tribunale, replica il ricorso presentato dall’imputata personalmente, in cui si sostiene che i minori non erano in grado di comprendere la natura offensiva delle frasi pronunciate, sicché non vi sarebbe stato alcun danno alla reputazione della persona offesa.
Considerato in diritto
1. L’unico tema controverso è rappresentato dalla sussistenza o meno di uno degli elementi essenziali del reato di diffamazione, vale a dire la comunicazione con più persone, qualora l’offesa all’altrui reputazione avvenga in presenza di bambini in tenera età.
Il giudice di primo grado ha ritenuto che i due minori presenti alle esternazioni da parte dell’imputata non fossero in grado di comprendere il contenuto delle accuse formulate nei confronti della nuora, sicché detto requisito non sarebbe integrato.
Il Tribunale, andando di contrario avviso, ha osservato che, in bambini di età analoghe a quella dei protagonisti della vicenda (due e quattro anni), l’ordinario processo cognitivo si snoda attraverso l’incameramento, la memorizzazione, l’emulazione delle sequenze di parole pronunciate dagli adulti così che, in tal modo, il piccolo realizza valori, elabora concetti, amplia il proprio vocabolario ed, inoltre, spesso i bambini di quell’età tendono a riferire le parole udite da un adulto.
1.1. Partendo da tali presupposti, l’efficienza offensiva della condotta diffamatoria può essere ravvisata sotto un duplice profilo.
Da un lato, non si può né si deve escludere che bambini di quell’età siano in grado di recepire il messaggio ed il disvalore insito nelle parole pronunciate dagli adulti in loro presenza, soprattutto se si tratti di concetti elementari e di parole volgari di uso comune.
Va, in proposito, osservato che ai sensi dell’art.196 c.p.p. ogni persona ha la capacità di testimoniare, senza alcun limite di età, e che possono essere disposti accertamenti allo scopo di verificare l’idoneità fisica e mentale a rendere testimonianza.
Ciò significa che, secondo il legislatore, non può esservi alcuna presunzione in ordine alla capacità o meno, da parte di un soggetto, di recepire gli accadimenti e di poterne riferire.
Non si può, quindi, apoditticamente stabilire se un bimbo di due o quattro anni possegga tale capacità semplicemente facendo riferimento all’età.
Il Tribunale, al fine di accertare se in concreto le offese fossero state recepite dai presenti, ha correttamente valutato altri elementi, cioè il tipo di comunicazione a cui i bambini hanno assistito ed il contesto in cui l’episodio si è verificato.
È stato quindi, opportunamente, sottolineato che le frasi offensive erano piuttosto elementari, l’atmosfera era di grande tensione ed i bimbi lo avevano percepito, visto che erano rimasti scossi e piangenti.
Una diversa soluzione, che escludesse la percezione delle offese da parte dei bambini, non poteva essere fondata su un presupposto meramente astratto o convenzionale, quale l’età, ma avrebbe dovuto essere motivata in concreto con riferimento a specifici segni indicatori di tale incapacità o, addirittura, ricorrendo ad accertamenti medici o psicologici.
1.2. Va, inoltre, condivisa l’affermazione del Tribunale secondo cui i bambini, anche in tenera età, tendono a ripetere e riferire le parole udite pronunciare dagli adulti, indipendentemente dal fatto che ne abbiano o meno compreso l’esatto significato.
I bambini presenti nel momento in cui l’imputata ha pronunciato le frasi offensive verso la nuora avrebbero, quindi, potuto riferire ad altri quanto avevano udito, così propagando il messaggio diffamatorio.
Va ricordato, in proposito, che la giurisprudenza ritiene integrato il reato, sotto il profilo della diffusione delle espressioni offensive, anche in caso in cui vi sia stato un iniziale accesso ad esse da parte di un unico soggetto, con successiva propalazione (Sez. 6, n. 30318 del 09/06/2016 Rv. 26770101; Sez. 5, n. 34178 del 10/02/2015 Rv. 26498201; Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010 Rv. 24843101).
È ben possibile, quindi, che i bambini, pur non essendo in grado di cogliere lo specifico significato delle parole usate, ne abbiano colto la generica portata lesiva, tanto da esserne rimasti turbati, e siano divenuti potenziali strumenti di propagazione dei contenuti diffamatori.
2. Il ricorso è infondato e va quindi rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
3. La natura dei reati, i rapporti di parentela fra le parti e il coinvolgimento di minori impongono particolari cautele nella diffusione del presente provvedimento, per il cui caso si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03.