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Aspettativa per malattia dipendenti pubblici

15 Febbraio 2019 | Autore:
Aspettativa per malattia dipendenti pubblici

Malattia del dipendente pubblico: durata del periodo di comporto, prolungamento con aspettativa non retribuita. 

Dopo 7 mesi di  malattia per un tumore, ho chiesto un’aspettativa per motivi personali di un mese, perché sto facendo la chemioterapia, ma l’amministrazione (ente pubblico non economico) me l’ha rifiutata: posso oppormi?

In base alla problematica prospettata dal lettore, sarebbe più corretto richiedere non un’aspettativa per motivi personali, in quanto questa, come appunto è capitato, può essere respinta per motivi di servizio, ma un ulteriore periodo di malattia, considerando le condizioni di salute dovute all’assunzione del farmaco, che determinano un’incapacità lavorativa, anche se temporanea.

In quanto dipendente pubblico, difatti,  il lettore ha diritto a fruire di un massimo di 18 mesi di malattia nell’arco di un triennio [1]; dal computo dei 18 mesi (nei quali sono incluse le assenze dovute all’ultimo episodio morboso e quelle per malattia verificatesi nel triennio precedente) sono escluse le seguenti assenze:

  • assenze del dipendente, effettuate per terapie temporaneamente o parzialmente invalidanti, compresi i giorni di ricovero ospedaliero o day-hospital; le assenze in questione devono essere dovute a una grave patologia, comprovata da un certificato medico rilasciato dalla competente struttura sanitaria pubblica, attestante sia la gravità della patologia che il carattere invalidante delle necessarie terapie;
  • assenze per infortunio sul lavoro.

Ma procediamo per ordine e facciamo il punto sull’aspettativa per malattia dipendenti pubblici.

Malattia dipendenti pubblici

Il dipendente pubblico può assentarsi per malattia, come i dipendenti privati, se, a causa di una patologia o di un infortunio non avvenuto in occasione di lavoro, non è in grado di prestare servizio.

Il dipendente pubblico malato deve provvedere ad avvertire tempestivamente l’amministrazione dell’assenza. Successivamente, deve recarsi dal proprio medico curante (o, se non è disponibile, dalla guardia medica o da una diversa struttura o un differente professionista, purché convenzionato col servizio sanitario nazionale), entro due giorni dal verificarsi della patologia, che trasmetterà il certificato di malattia all’Inps, con la diagnosi e la prognosi, e rilascerà il numero di protocollo.

Da quale giorno inizia la malattia dei dipendenti pubblici?

L’Inps, sulla base della normativa vigente, riconosce la prestazione di malattia, sia per i dipendenti pubblici che per i lavoratori del settore privato, soltanto dal giorno di rilascio del certificato. Il medico per legge non può giustificare giorni di assenza precedenti alla visita. Solo se si tratta di un certificato redatto a seguito di visita domiciliare, l’Inps riconosce anche il giorno precedente alla redazione (solo se feriale), quando indicato dal medico.

L’amministrazione potrebbe ritenere il dipendente assente ingiustificato nei giorni non riconosciuti dall’Inps.

Quando finisce la malattia dei dipendenti pubblici?

La malattia, per il dipendente pubblico, finisce nel giorno in cui è indicata la fine prognosi nel certificato, cioè la data di presunta guarigione.

Il dipendente pubblico può rientrare al lavoro prima della fine prognosi indicata sul certificato: in quest’ipotesi, deve chiedere al medico che ha redatto il certificato la rettifica della prognosi, da inoltrare all’Inps attraverso il servizio di trasmissione telematica.

I dipendenti pubblici, peraltro, possono rivolgersi, nei soli casi di assenza o impedimento assoluto del medico che ha redatto il certificato, ad un altro medico per ricevere un certificato rettificativo della prognosi.

Nessun certificato può essere rettificato se è finito il periodo di prognosi originariamente assegnato: in questo caso, va redatto un nuovo certificato, eventualmente di ricaduta.

In ogni caso, come vedremo meglio più avanti, la malattia dei dipendenti pubblici non può durare più di 18 mesi: sono escluse alcune patologie; inoltre, esiste la possibilità di farsi assegnare sino a ulteriori 18 mesi di aspettativa per malattia.

Quando passa la visita fiscale per i dipendenti pubblici?

Per quanto riguarda le fasce orarie di reperibilità per la visita fiscale, la riforma Madia, che ha istituito il Polo unico per le visite fiscali, prevede la loro unificazione per il settore pubblico e privato: l’unificazione dell’orario non è stata, però, ancora attuata. Attualmente, il lavoratore assente per malattia deve farsi trovare al proprio domicilio per la visita del medico fiscale nei seguenti orari, 7 giorni su 7:

  • dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 se dipendente del settore privato;
  • dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 se dipendente pubblico.

La visita fiscale deve essere richiesta obbligatoriamente dall’amministrazione se l’assenza si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative. La visita fiscale, discrezionalmente, può essere anche disposta più volte durante il medesimo periodo di prognosi, addirittura nell’arco della stessa giornata.

Quali dipendenti pubblici sono esonerati dalla visita fiscale?

Per i dipendenti pubblici, i casi di esonero dal rispetto delle fasce di reperibilità per la visita fiscale sono indicati da un apposito decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione [2]:

  • patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
  • malattia per la quale sia stata riconosciuta la causa di servizio (solo per alcune categorie di dipendenti pubblici) [3];
  • stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%.

Quanto dura la malattia per i dipendenti pubblici?

Come osservato, per i dipendenti pubblici il periodo di comporto per malattia, cioè il periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, è pari a 18 mesi.

Nel calcolo dei 18 mesi sono incluse le assenze dovute all’ultima malattia e quelle per malattia che si sono verificate nei 3 anni precedenti.

Dal calcolo dei 18 mesi sono invece escluse le seguenti assenze:

  • assenze del dipendente, effettuate per terapie temporaneamente o parzialmente invalidanti, compresi i giorni di ricovero ospedaliero o day-hospital; le assenze in questione devono essere dovute a una grave patologia, comprovata da un certificato medico rilasciato dalla competente struttura sanitaria pubblica, attestante sia la gravità della patologia che il carattere invalidante delle necessarie terapie;
  • assenze per infortunio sul lavoro.

Aspettativa per malattia

Oltre al diritto alla conservazione del posto per un periodo di 18 mesi nell’arco dell’ultimo triennio, è possibile chiedere ulteriori 18 mesi non retribuiti in presenza di malattie particolarmente gravi e che richiedano terapie salvavita ed altre assimilabili, come ad esempio l’emodialisi, la chemioterapia, il trattamento riabilitativo per soggetti affetti da Aids [4]. In questi casi, l’amministrazione, prima di concedere ulteriori assenze, può accertare le condizioni di salute del dipendente sottoponendolo a visita medico-collegiale al fine di verificare l’idoneità a svolgere l’attività lavorativa.

Nel caso del lettore preso ad esempio, non vi sono dubbi circa la gravità della patologia e sul fatto che le cure alle quali il lettore stesso deve sottoporsi siano debilitanti, tanto più che il contratto collettivo cita esplicitamente la chemioterapia: considerando, poi, che non ha superato, in base a quanto reso noto, 18 mesi di assenza per malattia nell’arco del precedente triennio, e che comunque, in base alla patologia, le assenze in questione non devono essere computate (in quanto effettuate per terapie temporaneamente o parzialmente invalidanti, compresi i giorni di ricovero ospedaliero o day-hospital), non dovrebbe sussistere alcun problema in merito alla fruizione di ulteriori giornate di malattia, purché, ovviamente, giustificate da apposita attestazione medica.

Aspettativa per motivi personali

Circa il rifiuto della richiesta di aspettativa non retribuita, invece, la questione è più complessa. La fruizione dell’aspettativa per motivi personali, in effetti, può essere legittimamente rifiutata quando l’assenza del lavoratore non sia compatibile con le esigenze organizzative o di servizio dell’ufficio di appartenenza dello stesso, sulla base dell’autonoma valutazione fatta dal datore di lavoro pubblico di tutti gli interessi concretamente coinvolti nel caso specifico.

Relativamente ai motivi che possono giustificare la richiesta di aspettativa da parte del dipendente, il contratto collettivo fa riferimento sia alle esigenze personali che a quelle di famiglia del lavoratore.

Le esigenze possono identificarsi con tutte quelle situazioni meritevoli di apprezzamento e di tutela in quanto attinenti al benessere, allo sviluppo ed al progresso dell’impiegato inteso come membro di una famiglia o anche come persona singola.

Pertanto, non deve necessariamente trattarsi di motivi o eventi gravi, ma piuttosto di situazioni o di interessi ritenuti dal dipendente di particolare rilievo che possono essere soddisfatti solo con la sua assenza dal lavoro. Ecco perché, nel caso del lettore, si ritiene che sia configurabile la disciplina delle assenze per malattia e non quella dell’aspettativa non retribuita.

Infatti, per quanto concerne l’aspettativa, è il datore di lavoro, o dirigente, ai fini della concessione del beneficio, a valutare e comparare i motivi che ne stanno alla base in relazione alle proprie e preminenti esigenze organizzative ed operative, valutazione che non avviene nelle assenze per malattia.

Il dirigente, è vero,  deve motivare il diniego della concessione dell’aspettativa indicando esplicitamente, per iscritto, le prioritarie esigenze di servizio da tutelare e che ostano alla fruizione, totale o parziale, dell’aspettativa come richiesta dal dipendente. In caso di rifiuto, il dipendente può chiedere al dirigente il riesame della domanda aggiungendo delle osservazioni, ma non ha un diritto potestativo a ottenere l’aspettativa, bensì soltanto un interesse legittimo.


note

[1] Enti pubblici non economici, Art. 21 Ccnl 1994/1997 come integrato dal Ccnl integrativo 1998/2001 e dal Ccnl 2006/2009.

[2] DM n.206/2017.

[3] Patologia ascritta alle prime tre categorie della TABELLA A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ovvero a patologie rientranti nella TABELLA E del medesimo decreto.

[4] Art.21 Co.2 Ccnl 2006/2009.


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