Cassazione penale, sez. IV, 14/10/2009, (ud. 14/10/2009, dep.20/01/2010), n. 2474
Fatto
OSSERVA
1- Con sentenza del Tribunale di Caltanissetta dell’8 aprile 2005, V.F. e C.U., sanitari presso la divisione di medicina dell’ospedale (OMISSIS), il primo con funzioni di primario, sono stati ritenuti colpevoli del delitto di cui agli artt. 113 e 590 c.p. per avere, per colpa, consistita in negligenza ed imperizia nello svolgimento dell’attività medica, cagionato a Ca.An., ricoverato presso la predetta divisione del citato ospedale, lesioni personali consistenti nella mancata cura e nella protrazione dello stato di malattia, manifestato con vomito, acuti dolori gastrici ed intestinali, dimagrimento.
All’affermazione di responsabilità è seguita la condanna degli imputati alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione di una provvisionale di Euro 2.500,00.
Secondo l’accusa, condivisa dal tribunale, i due imputati, nelle rispettive qualità, avevano omesso di sottoporre il paziente, ricoverato per patologie afferenti la digestione e l’intestino, agli esami cimici più opportuni, previsti dai protocolli medici, e lo avevano dimesso dopo avere erroneamente diagnosticato una gastrite, invece che l’adenocarcinoma intestinale effettivamente esistente, correttamente diagnosticato e curato, alcuni giorni dopo, presso l’ospedale di (OMISSIS).
Su appello degli imputati, la Corte d’Appello di Caltanissetta, con sentenza del 22 giugno 2006, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato agli stessi ascritto perchè estinto per prescrizione ed ha confermato le statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata.
Avverso tale decisione ricorrono, tramite il comune difensore, i due imputati che deducono violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione al disposto dell’art. 590 c.p. e art. 129 c.p.p., comma 2. Sostengono, in particolare, i ricorrenti che, nel caso di specie, nessuna lesione, nei termini indicati dall’art. 590 c.p., è stata accertata in conseguenza della ritardata diagnosi, ma solo, in tesi d’accusa, la protrazione della malattia che tuttavia non integra gli estremi del delitto contestato. Di guisa che l’imputato, in applicazione del disposto dell’art. 129 c.p.p., comma 2, avrebbe dovuto essere assolto, stante l’evidente insussistenza del reato.
2- I riporsi sono infondati.
In realtà, correttamente interpretando la normativa di riferimento, i giudici del gravame, preso atto dell’integrale decorso del relativo termine, hanno dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione, avendo ritenuto l’inapplicabilità del disposto dell’art. 129 c.p.p., comma 2, non essendo apparso evidente che il fatto contestato non sussiste o che gli imputati non lo hanno commesso, ovvero che esso non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.
Decisione del tutto condivisibile, della quale i giudici del gravame hanno dato coerente giustificazione ricordando non solo i macroscopici profili di imperizia e di negligenza che avevano caratterizzato l’approccio degli imputati alle gravi patologie denunciate dal Ca., ma anche come il colpevole ritardo nella diagnosi della malattia tumorale di cui il paziente era affetto, successivamente diagnosticata e curata presso altro presidio ospedaliero, avesse determinato un prolungato stato di alterazione organica e di sofferenza fisica, certamente provocato dalla mancata tempestiva diagnosi e riconducibile alla nozione di malattia – cui fa riferimento l’art. 582 c.p., che è richiamato dall’art. 590 c.p. – quale elaborata dalla giurisprudenza di legittimità. Elaborazione che richiama nozioni accolte nel campo medico scientifico e che individua quali malattie tutte le alterazioni che incidano in maniera tangibile sulla salute e sull’integrità fisica della persona, o che comunque determinino una significativa, seppur non definitiva, limitazione funzionale dell’organismo. E ciò a prescindere dall’esistenza di un’alterazione di natura anatomica, che di per sè non evoca l’esistenza di una malattia e che, d’altra parte, non è sempre necessaria, potendosi avere malattie non riconducibili ad una lesione anatomica (Cass. n. 17505/08).
Or non è dubbio che la mancata tempestiva diagnosi, e quindi l’omesso ricorso agli trattamenti chirurgici e farmacologici, se anche non hanno determinato l’insorgere o l’aggravamento della patologia tumorale, hanno comunque causato e prolungato per un tempo significativo le riscontrate alterazioni funzionali ed uno stato di complessiva sofferenza, di natura fisica e morale, che hanno favorito un processo patologico che, se tempestivamente diagnosticato ed opportunamente curato, sarebbe stato evitato o almeno contenuto.
La condotta contestata agli imputati è stata, quindi, legittimamente ricondotta nell’ambito della contestata fattispecie delittuosa, di guisa che i ricorsi in esame devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010