Prestiti eccessivi: la banca è responsabile


Responsabilità in solido tra amministratori e società per l’eccessivo ricorso al credito per nascondere una situazione di fallimento.
Se la banca concede un eccessivo credito alla società, ben sapendo che questa non potrà mai restituire i soldi ottenuti in prestito, è responsabile insieme agli amministratori per il danno causato alla società medesima. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1].
Per un prestito eccessivo la banca è responsabile nei confronti del proprio stesso cliente (e, se si tratta di una azienda fallita, anche nei confronti della curatela fallimentare). Possibile? Sì, e la base normativa è costituita dalla legge fallimentare [2] ove si prevede nientemeno che un reato in capo ad amministratori, liquidatori e imprenditori che ricorrono al credito al solo scopo di nascondere il dissesto o lo stato d’insolvenza dell’azienda. La pena è la reclusione da sei mesi a tre anni. Oltre all’illecito penale, e al conseguente procedimento incardinato innanzi alla Procura della Repubblica, c’è sempre la possibilità di agire in via civile per il risarcimento del danno.
Ma la responsabilità per la cattiva gestione non è solo dell’imprenditore, bensì anche – in solido – della banca che, pur avendo ormai dei parametri molto rigidi per la concessione del credito, evidentemente ne allarga le maglie, al fine di favorire (solo momentaneamente) il proprio cliente. Così, anche l’istituto di credito è responsabile insieme agli amministratori della società per il danno arrecato a quest’ultima nell’aver concesso un’eccessiva apertura di credito o un finanziamento, pur non avendo l’impresa la solidità economica per la restituzione della somma.
Su queste basi si muove la Cassazione nella sentenza in commento che afferma: la banca risponde, in solido con gli amministratori, per la concessione abusiva del credito, che ha danneggiato la società. E se quest’ultima fallisce, l’azione risarcitoria può essere esercitata dal curatore nominato dal tribunale fallimentare [3]. È indubbio – sottolinea la Cassazione – che, se il ricorso abusivo al credito va oltre i confini dell’accorta gestione imprenditoriale da parte dell’amministratore della società finanziata, c’è anche un concorrente illecito della banca che eroga il denaro nonostante l’accertata perdita di capitale della società. Ai sensi del Testo Unico bancario [4] la banca deve, infatti, «seguire i principi di sana e prudente gestione valutando il merito di credito in base a informazioni adeguate».
Dinanzi a una richiesta di credito avventata da parte degli amministratori della società che ha perso interamente il capitale, e dinanzi a una altrettanto avventata e imprudente concessione dei finanziamenti da parte della banca è indubbio che venga prodotto un danno consistente nel ritardo dell’emersione del dissesto e nel suo aggravamento prima dell’apertura del fallimento. Questo danno va risarcito in via equitativa.
note
[1] Cass. sent. n. 9983/17 del 20.04.2017.
[2] Art. 218 legge fallimentare: «Gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un’attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti, dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena è aumentata nel caso di società soggette alle disposizioni di cui al capo II, titolo III, parte IV, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.
Salve le altre pene accessorie di cui al libro I, titolo II, capo III, del codice penale [28 ss. c.p.], la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni».
[4] Art. 5 del Tub.
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