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Reato di procurato allarme: che cos’è e che cosa si rischia

16 Giugno 2017 | Autore:
Reato di procurato allarme: che cos’è e che cosa si rischia

Divulgare notizie false che richiedono l’intervento dell’autorità può costare l’arresto o l’ammenda. Punito anche chi turba l’ordine pubblico per falso allarme.

I drammatici fatti di Torino durante la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid hanno riportato in primo piano, oltre alla psicosi di un attentato terroristico, il reato di procurato allarme. Indipendentemente dagli sviluppi dell’inchiesta torinese, che cos’è il reato di procurato allarme e che cosa si rischia?

Si tratta di un reato punito dall’articolo 658 del codice penale che, testualmente, recita: «Chiunque, annunciando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’autorità o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l’arresto fino a 6 mesi o con l’ammenda da 10 a 516 euro».

Significa che nel momento in cui si diffonde una falsa notizia oppure un falso allarme che facciano scattare le procedure delle autorità per un pericolo, in realtà, inesistente, si incorre nel reato di procurato allarme.

Un reato, peraltro, che si configura con la sola idoneità dell’annuncio a creare allarme [1].

Quando si commette reato di procurato allarme

Facciamo qualche esempio. Si viene puniti per procurato allarme quando si fa una denuncia per un falso sequestro di persona che attiva le forze dell’ordine, con un dispiegamento di uomini e mezzi, alla ricerca di un ostaggio inesistente.

Così come quando un giornalista pubblica (oppure confida all’autorità) la notizia di un possibile attentato contro l’esponente di un’istituzione. Se, ad esempio, un cronista scrive che si sta preparando un attacco al presidente della Repubblica o all’onorevole Tizio, pur sapendo che la notizia non ha alcun riscontro e non è stata verificata, il giornalista in questione è punibile per procurato allarme [2].

Non incorre in questo reato, invece, il giornalista che pubblica questa notizia falsa (ma per lui plausibile), raccolta da fonte da lui identificata e attendibile, purché sia stata pubblicata con il dovuto condizionale. Cioè, che l’abbia riportata dubitando della sua veridicità, verificabile soltanto con un indagine di polizia [3]. Ad esempio. Un giornalista scrive di aver avuto una confidenza da una fonte sicura e riporta che «secondo fonti affidabili ci sarebbe la possibilità di un attentato nella persona del senatore Caio, da anni attivo contro la malavita organizzata». È evidente che le forze dell’ordine si attiverebbero per rafforzare la sicurezza attorno al parlamentare e avvierebbero un’indagine per vedere chi c’è effettivamente dietro quel possibile attentato. Se solo da queste indagini fosse possibile capire che quella notizia era falsa, il giornalista non incorrerebbe nel reato di procurato allarme.

Lo farebbe, invece, chi – come si è ipotizzato nel caso di Torino – dà origine ad una situazione di panico generalizzato che richiede l’intervento delle forze dell’ordine. Ad esempio, appunto, fare scoppiare un petardo in mezzo alla folla gridando che è in corso un attentato. L’intervento della polizia di fronte ad un’emergenza inesistente farebbe scattare il procurato allarme.

Viceversa, non integra il reato di cui all’articolo 658 del codice penale la condotta di chi segnala falsamente col mezzo del telefono alla polizia giudiziaria, sollecitandone l’intervento, che il coniuge gli impedisce di incontrare il figlio minore, in quanto in tale comportamento non prospetta un pericolo presso l’Autorità tale da ingenerare pubblico allarme [4].

Da ricordare, infine, che il codice penale punisce anche chi pubblica delle notizie false, esagerate o tendenziose per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico [5]. In questo caso, si rischia l’arresto fino a 3 mesi o l’ammenda fino a 309 euro se il fatto non costituisce un reato più grave.


note

[1] Trib. Napoli, sez. I, sent. n. 4006/2007.

[2] Cass. pen., sez. I, sent. n. 19367/2012.

[3] Uff. indagini preliminari Milano, 16.05.2011.

[4] Cass. pen., sez. I, sent. n. 41739/2014.

[5] Art. 656 cod. pen.

Autore immagine: 123rf.com


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