Quali tasse per l’affitto della casa?


Quando si stipula un contratto di affitto si deve pagare l’imposta di registro, l’imposta di bollo e dichiarare come redditi fondiari i canoni di locazione percepiti, che saranno tassati con l’Irpef.
Tasse e affitto: un binomio che per anni non è andato d’accordo. Tant’è che è dovuta intervenire un’apposita norma di legge [1] a stabilire che l’affitto non registrato (il cosiddetto affitto in nero) è nullo, ossia è come se non fosse mai stato firmato. Con la conseguenza che l’inquilino se ne può andare di casa quando vuole senza dover rispettare i termini contrattuali, può smettere di pagare il canone senza il rischio di ricevere ingiunzioni di pagamento e, per di più, non può essere sfrattato con la procedure accelerata (che prevede al massimo due udienze in tribunale, ma che presuppone l’esistenza di un contratto scritto e regolarmente registrato). Per maggiori approfondimenti leggi Affitto in nero: rischi.
Insomma, è vero che nel momento in cui il locatore registra il contratto di affitto della casa deve pagare le tasse (sia l’imposta di registro che quelle sui canoni percepiti mensilmente, anche in caso di morosità, salvo l’avvio del procedimento di sfratto), ma è anche vero che solo con la registrazione ci si può tutelare da un inquilino che non vuole lasciare l’immobile o pagare le mensilità. Ma quali sono le tasse per l’affitto della casa? Quanto deve pagare il proprietario dell’appartamento nel momento in cui “dichiara” il contratto all’Agenzia delle Entrate? Sono previsti sconti fiscali? E fino a quando andranno corrisposte le tasse nel caso in cui l’inquilino si mostri inadempiente? Di questo cercheremo di parlare nel corso del presente articolo.
Se l’affitto è in nero l’inquilino non deve rispettare la scadenza
Indice
La registrazione del contratto di affitto
Prima di spiegare quali sono le tasse per l’affitto della casa, ricordiamo che la registrazione della locazione è un onere che spetta al locatore (il proprietario dell’appartamento) [2]. Egli vi deve provvedere entro 30 giorni dalla firma del contratto. Entro 60 giorni deve darne comunicazione (mostrando le prove documentali del versamento dell’imposta) al conduttore e all’amministratore del condominio. Se il padrone di casa non provvede alla registrazione dell’affitto può sempre procedere al pagamento l’inquilino, anche perché, in caso di affitto in nero, per l’imposta di registro evasa sono responsabili in solido tanto il locatore quanto il conduttore. Come detto questa responsabilità solidale (che implica il diritto per il fisco di chiedere l’integrale pagamento sia all’uno che all’altro indifferentemente) vale solo per l’imposta di registro e non per le altre tasse sulla locazione, quelle cioè applicate sui canoni di affitto, delle quali risponde solo il locatore. È proprio di queste che ora ci occuperemo, spiegando quali tasse per l’affitto della casa deve pagare chi dà in locazione un proprio appartamento.
Le tasse da pagare sull’affitto di casa
Quando si dà un appartamento in affitto ci sono essenzialmente tre imposte da pagare:
- l’imposta di registro, che va versata all’atto della registrazione del contratto di locazione e che grava tanto sull’affittuario quanto sul proprietario della casa;
- l’imposta di bollo;
- l’imposta sui canoni di locazione singolarmente percepiti dal padrone di casa e che grava unicamente su quest’ultimo.
Imposta di registro sull’affitto di casa
Come abbiamo appena detto la prima imposta da pagare è quella che si versa all’atto della registrazione del contratto, registrazione necessaria per rendere valido il contratto. In assenza di registrazione l’affitto è nullo da un punto di vista civilistico (è come se gli accordi non fossero mai stati sottoscritti), salvo che la registrazione avvenga entro 30 giorni dalla firma del contratto. La registrazione nei primi 30 giorni salva il contratto di affitto dalla nullità. Invece, una volta scaduto tale termine non c’è più possibilità di tornare indietro e sarà necessario firmare un nuovo contratto. Esiste però un secondo orientamento – sposato di recente dalla Cassazione – secondo cui è la registrazione tardiva è ugualmente sufficiente a sanare la nullità anche dopo i 30 giorni (leggi Si può registrare un affitto dopo 30 giorni?).
Invece, da un punto di vista fiscale, la registrazione tardiva è sempre possibile e comporta, anzi, una riduzione delle sanzioni. In questo caso, se ci si ravvede entro il primo anno dalla firma del contratto è possibile sfruttare il cosiddetto ravvedimento operoso che implica un trattamento di favore per chi regolarizza il contratto.
Affitto non registrato: impossibile chiedere un decreto ingiuntivo contro l’inquilino moroso
A quanto ammonta l’imposta di registro sull’affitto?
L’importo di registro dovuta per il contratto di affitto varia a seconda dell’immobile locato o affittato. In particolare:
- per fabbricati a uso abitativo, l’imposta di registro è pari al 2% del canone annuo moltiplicato per il numero delle annualità;
- per fabbricati strumentali per natura, l’imposta di registro è pari all’1% del canone annuo, se la locazione è effettuata da soggetti passivi Iva; in tutti gli altri casi, l’imposta di registro è pari al 2% del canone;
- per fondi rustici, l’imposta di registro è pari allo 0,50% del corrispettivo annuo moltiplicato per il numero delle annualità;
- per tutti gli altri immobili l’imposta di registro è pari al 2% del corrispettivo annuo moltiplicato per il numero delle annualità.
SI può ottenere una riduzione del 30% della base imponibile su cui calcolare l’imposta di registro in presenza di due condizioni:
- si deve trattare di un contratto di locazione a canone concordato;
- l’immobile si deve trovare in uno dei Comuni «ad alta tensione abitativa».
In pratica, in questi casi, il corrispettivo annuo da considerare per il calcolo dell’imposta va assunto per il 70%. Il versamento per la prima annualità non può essere inferiore a 67 euro.
Ci sono tre tasse da pagare quando si affitta una casa: l’imposta di registro, quella di bollo e quella sui redditi fondiari (tassata con l’Irpef)
A quanto ammonta l’imposta di registro sulla cauzione dell’affitto?
Se l’inquilino versa una cauzione all’atto della firma dell’affitto su tale somma non bisogna pagare l’imposta di registro. Se però il deposito è pagato da un terzo estraneo al rapporto di locazione, va versata l’imposta nella misura dello 0,50%.
Quando pagare l’imposta di registro per il contratto di affitto?
Per i contratti di affitto che durano più anni (ad esempio quelli di durata 4+4 o 3+2) si può scegliere di:
- pagare l’imposta di registro al momento della registrazione. In tal caso si versa l’imposta dovuta per l’intera durata del contratto (2% del corrispettivo complessivo). In tal caso si ha diritto a uno sconto che consiste in una detrazione dall’imposta dovuta pari alla metà del tasso di interesse legale (0,5% per il 2015 e 0, 2% a partire dal 1° gennaio 2016) moltiplicato per il numero delle annualità. Se però l’affitto viene disdetto prima della scadenza naturale e l’imposta di registro è stata versata per l’intera durata, si può ottenere il rimborso dell’importo pagato per le annualità successive a quella in cui avviene la disdetta anticipata del contratto;
- pagare l’imposta di registro anno per anno (2% del canone relativo a ciascuna annualità, tenendo conto degli aumenti Istat), entro 30 giorni dalla scadenza della precedente annualità.
Imposta di bollo sull’affitto della casa
Oltre all’imposta di registro, in caso di casa in affitto bisogna anche versare l’imposta di bollo. Per ogni copia da registrare, l’imposta di bollo è pari a 16 euro ogni 4 facciate scritte del contratto e, comunque, ogni 100 righe.
Imposta sui canoni di locazione
C’è un ultimo tassello da riempire per chi si chiede quali sono le tasse per la casa in affitto. I canoni di locazione costituiscono un reddito per chi li percepisce (il locatore, ossia il proprietario dell’immobile o l’usufruttuario). Andando ad incrementare il suo reddito, tali canoni vanno dichiarati annualmente all’Agenzia delle Entrate e, quindi, vengono tassati ai fini Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Il locatore può scegliere tra due diversi regimi per dichiarare e tassare i redditi percepiti con l’affitto: il regime fiscale ordinario e la cedolare secca. Analizziamoli singolarmente.
Regime fiscale ordinario per l’affitto di casa
Il regime fiscale ordinario prevede che l’ammontare dei canoni, ridotto a forfait del 5%, sia qualificato come reddito fondiario e confluisca nel reddito complessivo tassato con l’Irpef.
Cedolare secca
Un regime di tassazione opzionale che prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva di Irpef, addizionali regionale e comunale e imposte indirette di registro e di bollo relative al contratto di locazione: questa è la cedolare secca sugli affitti. In particolare, in alternativa al regime fiscale ordinario, il locatore può optare per la cedolare secca che implica una tassazione dei canoni in misura fissa, pari al:
- 21% del canone per i contratti a canone libero (quelli di durata 4+4 anni);
- al 10% del canone per i contratti a canone concordato (quelli di durata 3+2 anni).
Questo regime implica anche dei vantaggi per l’inquilino (leggi Cedolare secca: cosa comporta per l’inquilino?).
L’opzione si esercita, di regola, al momento della registrazione del contratto mediante la compilazione del quadro RLI oppure online attraverso uno dei software messi a disposizione dall’agenzia delle Entrate, e può essere espressa solo in dichiarazione esclusivamente per i contratti per i quali non sussiste l’obbligo di registrazione (quelli di durata non superiore a trenta giorni complessivi nell’anno). Una volta esercitata, la scelta vale fino alla scadenza naturale del contratto, ferma restando la possibilità di optare per la cedolare anche in una delle annualità intermedie.
Affitti brevi
Per gli affitti brevi, con durata inferiore a 30 giorni, le regole sono parzialmente cambiate a partire da quest’anno. È stata introdotta una ritenuta del 21% applicata al momento del pagamento dei canoni dagli intermediari e dai gestori dei portali telematici (è la cosiddetta tassa Airbnb). La ritenuta esaurisce il prelievo se il locatore opta per la cedolare in dichiarazione dei redditi, altrimenti è a titolo d’acconto. È prevista la ritenuta alla fonte (per cui a versare l’imposta non è più il locatore ma l’intermediario). È infine disposta la facoltà di optare per la cedolare anche per le sublocazioni e i contratti a titolo oneroso stipulati dal comodatario, ma solo per gli affitti brevi (per gli altri, la cedolare resta off-limits).
Affittacamere e B&B
Per i contratti di ricettività turistica conclusi da affittacamere, albergatori, gestori di case vacanze e bed & breakfast, i proventi costituiscono redditi d’impresa se l’attività svolta per «professione abituale» (è il caso dell’albergatore) o redditi diversi, se l’attività non è esercitata abitualmente, come di solito nel caso dei B&B.
Se oltre all’alloggio vengono forniti altri servizi non meramente accessori, i proventi vanno dichiarati non come redditi fondiari, ma come redditi diversi o d’impresa, se l’attività è svolta per professione abituale.
Che succede in caso di morosità?
Chi non dichiara l’affitto è ovviamente un evasore. Da un punto di vista fiscale, a partire dal 1° gennaio 2017, la mancata tassazione dei canoni di locazione viene così sanzionata:
- dal 90% al 180% del canone di locazione per la dichiarazione infedele;
- dal 60% al 120% per la dichiarazione omessa (con un minimo di 200 euro) se presentata entro il termine per quella del periodo d’imposta successivo.
I redditi da locazione vanno dichiarati – e quindi tassati – anche se l’inquilino è moroso. Tuttavia, è possibile smettere di versare l’Irpef sui canoni di locazione non percepiti a condizione:
- che la locazione sia a uso abitativo;
- che il mancato pagamento dei canoni derivi dalla morosità del conduttore;
- che quest’ultima venga accertata giudizialmente a seguito del procedimento per convalida di sfratto per morosità.
Queste condizioni devono essere concomitanti e, pertanto, se la morosità nel pagamento riguarda un immobile commerciale (negozio, ufficio, capannone), il locatore dovrà pagare l’Irpef, anche se ha esperito il procedimento di convalida di sfratto, poiché la norma in questo caso non gli attribuisce alcun effetto fiscale [4].
note
[1] Art. 1, co. 346, della l. 30 dicembre 2004 n. 311.
[2] L. 208/2015 che ha modificato l’art. 13 della legge 431/1998.
[3] Dl 50/2017, art. 4.
[4] Circolare 150/1999 del ministero delle Finanze.
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