Cassazione penale, sez. III, 30/01/2017, (ud. 30/01/2017, dep.17/07/2017), n. 34780
Intestazione
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1.- Con sentenza del 28 ottobre 2015, il Tribunale di Roma ha condannato C.F. alla pena di Euro 100,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 659 c.p., comma 2 perchè, per molte ore nel corso della giornata e per più giorni, esercitava un mestiere rumoroso quale quello di suonatore di strada, con l’utilizzo di un impianto di amplificazione della musica prodotta dal violoncello, in violazione delle disposizioni dell’autorità comunale, suonando oltre i limiti consentiti dal regolarmente per l’arte di strada, disturbando le occupazioni delle persone. In (OMISSIS) sino al (OMISSIS).
2.- Avverso la sentenza ha presentato ricorso C.F., a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, con un unico motivo la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 192 c.p.p. e art. 659 c.p., e il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza e illogicità della motivazione dell’affermazione della responsabilità penale nei confronti del C..
Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto attendibile e credibile la persona offesa, costituita parte civile, senza alcuna penetrante verifica dell’attendibilità e credibilità tento conto dell’interesse economico dalla stessa vantato.
In secondo luogo avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 659 c.p., comma 2 non considerando che la condotta era meramente occasionale e che il rumore prodotto dal violoncello non era di intensità tale da disturbare la collettività e che nessuna violazione del regolamento comunale era stata contestata al ricorrente.
Infine, carente sarebbe la motivazione sulla condanna al risarcimento della danno cagionato alla parte civile dal momento che la sostituzione degli infissi non apparirebbe eziologicamente collegata alla condotta contestata.
3.- Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4.- Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
5.- Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione della legge processuale di cui all’art. 192 c.p.p., e il vizio di motivazione è inammissibile.
Ed invero, deve rilevarsi che, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, rispetto alla quale non può prospettarsi la violazione della legge processuale, essendo riconducibile la stessa nell’alveo del vizio di motivazione. Pertanto la valutazione dell’attendibilità delle persona offesa non costituisce vizio di violazione di legge e può essere esaminata, in sede di legittimità, entro i limiti dell’illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione (Sez. 2. N. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575).
E’ pacifica affermazione, nella giurisprudenza, soprattutto allorquando la testimonianza della persona offesa sia la principale – se non esclusiva – fonte del convincimento del giudice, che il giudizio di attendibilità, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, non è sindacabile in sede di legittimità, allorquando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948; Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Agnelli, Rv. 235578).
In definitiva, l’attendibilità di un teste è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni, illogicità o carenze argomentative, non rinvenibili nel caso in esame, rispetto alle quali il ricorso appare generico limitandosi ad un generica censura. Tra l’altro mette conto rilevare che le dichiarazioni della persona offesa hanno trovato riscontro in altra fonte testimoniale (barbiere della piazza (OMISSIS)) del tutto indifferente e nella circostanza che in due occasioni il predetto era stata identificato dalla P.G. e sanzionato per aver suonato in orario diverso da quello consentito.
6.- Quanto al profilo della violazione di legge di cui all’art. 659 c.p., comma 2, esso è manifestamente infondato.
Premesso che dalla sentenza impugnata risulta, contrariamente all’assunto difensivo, che la condotta si era protratta per più giorni e perdurava per più ore al giorno, il Tribunale ha correttamente ritenuto integrato il reato contestato di cui all’art. 659 c.p., comma 2.
Nel richiamare l’approfondita ricostruzione della fattispecie prevista dall’art. 659 c.p. nel suo complesso e dei rapporti intercorrenti tra il comma 1 e comma 2, e tra la norma penale e l’illecito amministrativo, delineato dalla L. n. 447 del 1995, art. 10, comma 2, operata nella giurisprudenza di legittimità (da ultimo da Sez. 3, n. 42026 del 18/09/2014, Claudino, Rv. 260658, e ancor più di recente in Sez. 3, n. 5735 del 21/01/2015, Giuffrè, Rv. 261885), la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dello ius receptum di questa Corte ed ha correttamente condannato il ricorrente per il reato contestato.
Deve ritenersi, infatti, che, avuto riguardo all’art. 659 c.p., comma 2, che punisce “chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità”, una piena sovrapponibilità tra le due fattispecie (penale e amministrativa) si avrà soltanto nel caso in cui l’attività rumorosa si sia concretata nel mero superamento dei valori limite di emissione specificamente stabiliti in base ai criteri delineati dalla legge quadro, causato mediante l’esercizio o l’impiego delle sorgenti individuate dalla legge medesima, restando conseguentemente escluso il superamento di soglie di rumore diversamente individuate o generate da altre fonti, oltre, ovviamente, tutte quelle condotte che si estrinsecano nell’esercizio di attività rumorose svolte in violazione di altre disposizioni di legge o delle prescrizioni dell’autorità.
Secondo gli arresti sopra citati e confermati da Sez. 3, n. 25424 del 5/6/2015, Pastore, non massimata è configurabile: A) l’illecito amministrativo di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 10, comma 2, ove si verifichi solo il mero superamento dei limiti differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia; B) il reato di cui all’art. 659 c.p., comma 1, ove il fatto costituivo dell’illecito sia rappresentato da qualcosa di diverso dal mero superamento dei limiti di rumore, per effetto di un esercizio del mestiere che ecceda le sue normali modalità o ne costituisca un uso smodato; C) il reato di cui all’art. 659 c.p., comma 2 qualora la violazione riguardi altre prescrizioni legali o della Autorità, attinenti all’esercizio del mestiere rumoroso, diverse da quelle impositive di limiti di immissioni acustica.
6.1. Ciò posto, il Tribunale dopo aver accertato il fatto materiale ovvero la circostanza che il C., per molte ore nel corso della giornata e per più giorni, esercitava un mestiere rumoroso quale quello di suonatore di strada, con l’utilizzo di un impianto di amplificazione della musica prodotta dal violoncello, ha dato atto della violazione delle disposizioni dell’autorità comunale, suonando oltre i limiti consentiti dal regolarmente per l’arte di strada (tant’è che era stata sanzionato due volte per violazione dell’orario), e ne ha tratto la prova del reato di disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone.
7.- Inammissibile per apsecificità è il secondo motivo di ricorso con cui si censura la sentenza in relazione alla condanna al risarcimento dei danni sul mero assunto che la sostituzione degli infissi non fosse collegata alla condotta contestata al ricorrente.
Il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata che ha dato atto che la sostituzione degli infissi era avvenuta nell’arco di tempo della contestazione mossa al ricorrente e dunque conseguente, in via logica, dalla condotta di disturbo dell’.
8.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
9.- Il ricorrente deve anche essere condannato alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile Q.C. che si liquidano in Euro 3.500,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile Q.C. che si liquidano in Euro 3.500,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017