La promessa di matrimonio è vincolante?


Che succede se, dopo la dichiarazione fatta in Comune, uno dei due non vuole più sposarsi? Quali sono i diritti della persona «mollata»?
Nel nostro ordinamento vige un principio generale, secondo cui ciascuno è libero di contrarre o meno matrimonio. Le nozze (giuridicamente parlando) non possono essere imposte da qualcuno: non esiste un obbligo di sposarsi, nemmeno dopo le «promesse». Anche dopo essersi recati in Comune per esprimere le loro volontà, infatti, i nubendi sono liberi di mandare all’aria il matrimonio. Alla domanda «la promessa di matrimonio è vincolante?» dovremo quindi rispondere in senso negativo. Il rifiuto di sposarsi dopo averlo promesso, tuttavia, non è del tutto privo di conseguenze. Ma andiamo con ordine.
Indice
Cos’è la promessa di matrimonio?
La promessa di matrimonio è una dichiarazione libera fatta dai futuri marito e moglie davanti all’ufficiale dello stato civile. Non occorre nemmeno la presenza di entrambi gli sposi: basta uno soltanto di essi, munito di delega sottoscritta dall’altro. In pratica, i nubendi si recano presso i competenti uffici del Comune di residenza, dichiarando di volersi sposare e di voler effettuare le pubblicazioni. Firmata la relativa richiesta, le pubblicazioni rimangono «affisse» per otto giorni (sono registrate presso l’albo pretorio online dell’amministrazione comunale). Il matrimonio può essere celebrato trascorsi tre giorni dalla scadenza del predetto termine. Se le nozze sono celebrate dopo 180 giorni, tuttavia, le pubblicazioni si considerano come non avvenute [1].
La promessa obbliga a contrarre matrimonio?
Come detto in precedenza, la promessa di matrimonio non è vincolante. Secondo il codice civile, infatti, «la promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento» [2]. In pratica, se gli sposi hanno previsto degli obblighi particolari a garanzia della promessa effettuata, questo patto è da considerarsi nullo e privo di effetti: chi rompe la promessa non è tenuto ad eseguire tale accordo. Il tutto in ossequio, come visto, del principio dell’assoluta libertà di contrarre matrimonio.
Che succede se il matrimonio non viene celebrato?
Il mancato adempimento della promessa, dunque, non può considerarsi come un inadempimento in senso tecnico. Il fatto di non volersi sposare, di per sé, non implica una responsabilità giuridicamente rilevante in capo a chi effettua questa scelta (in poche parole, chi non vuole più sposarsi non è tenuto, per ciò solo, a risarcire i danni all’altro).
Questo vale come regola generale: ci sono casi particolari in cui il mancato adempimento della promessa comporta delle conseguenze. La legge, a questo proposito, distingue tra «promessa semplice» e «promessa solenne».
La restituzione dei doni in caso di promessa semplice
La promessa semplice è, in poche parole, il «fidanzamento ufficiale» (quello fatto davanti a parenti e amici, senza che sia redatto alcun atto giuridico). Si tratta dell’impegno a frequentarsi seriamente, con l’obiettivo finale di convolare a nozze. Se uno degli sposi si tira indietro, l’altro può chiedere la restituzione dei doni fatti in occasione della promessa stessa (si pensi all’anello di fidanzamento). La richiesta, però, va fatta entro un termine specifico: un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio (o dal giorno della morte di uno dei nubendi) [3].
Il risarcimento del danno in caso di promessa solenne
La promessa solenne, invece, è quella «fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata» oppure «risultante dalla richiesta di pubblicazione». In questi casi la legge tutela l’affidamento del/la fidanzato/a che viene piantato in asso senza un giusto motivo. Le conseguenze della rottura della promessa, quindi, sono più rilevanti. Il soggetto che subisce il rifiuto può chiedere il risarcimento del danno per le spese fatte e le obbligazioni contratte a causa di quella promessa (ad esempio i costi di ristrutturazione o di costruzione del futuro appartamento coniugale).
Stessa cosa avviene se uno dei due, con propria colpa, ha dato giusto motivo all’altro per rifiutare la celebrazione: si pensi ad un tradimento o ad una circostanza importante (e decisiva per il consenso alle nozze) che uno dei partner abbia nascosto all’altro.
In ogni caso, la domanda di risarcimento può essere proposta entro un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio [4].
note
[1] Art. 99 cod. civ.
[2] Art. 79 cod. civ.
[3] Art. 80 cod. civ.
[4] Art. 81 cod. civ.