Tribunale di Taranto – Sezione I civile – Sentenza 4 aprile 2017 n. 1005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Taranto – Prima Sezione civile – nella persona del giudice dott.ssa Caterina Stasi, ha emesso, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 732/2014 R.G., avente ad oggetto: azione revocatoria, promossa da
Ba.Cr. – Ca.Ru. Società Cooperativa, rappresentata e difesa dall’avv. Mi.Pa.;
– attrice –
contro
Sa.Gi., rappresentato e difeso dall’avv. Se.Ar.;
– convenuta –
nonché
contro
D’I.Pa.;
– convenuto contumace –
nonché
contro
Ba.Po., Società Cooperativa per Azioni, rappresentata e difesa dall’avv. Ma.La.;
– terza intervenuta in causa –
FATTO E DIRITTO
La presente controversia ha ad oggetto l’azione revocatoria esperita da Ba.Cr. – Ca.Ru. Società Cooperativa nei confronti di Sa.Gi. e D’I.Pa. al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 c.c. della cessione dei beni immobili di cui agli accordi della separazione consensuale omologata dal Tribunale con decreto del 27.5.2013, trascritto presso l’agenzia del territori di Taranto del 28.6.2013 al reg. gen. n. 12981, registro particolare n. 10034, con cui il Sa. ha ceduto alla moglie cinque beni immobili siti in Martina Franca, meglio indicati nel ricorso introduttivo; ha premesso l’attrice di essere creditrice del Sa., socio fideiussore di El. S.r.l. della somma di Euro 80.696,08 oltre a spese legali, interessi e oneri accessori in virtù di
decreto ingiuntivo del 6.12.2013 e di aver infruttuosamente richiesto al Sa. il pagamento di quanto dovuto in virtù dei contratti di fido del settembre 2010.
Costituitosi in giudizio, Sa.Gi. ha chiesto il rigetto della domanda, contestando in fatto ed in diritto le pretese attoree, replicando che la cessione dei beni alla moglie risulta esser il corrispettivo per il contributo al suo mantenimento, avendo natura solutoria, che ad ogni modo appare successiva rispetto alla consapevolezza del Sa. dei debiti maturati dalla società di cui era il vicepresidente del consiglio di amministrazione solo a titolo formale.
Benché ritualmente citato in causa, D’I.Pa. non si è costituita ed il processo è continuato in sua contumacia.
Con comparsa di intervento volontario del 21.1.2016 si è costituita in giudizio Ba.Po., Società Cooperativa per Azioni, chiedendo la dichiarazione di inefficacia della cessione di cui alla separazione personale tra le parti convenute anche in proprio favore, deducendo di essere creditore del convenuto della somma di Euro 32.258,39 oltre ad interessi e spese di lite in forza di decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale n. 1419/2015 in forza di contratto di fideiussione sottoscritto dal Sa. in favore di El. S.r.l. in data 20.3.2008.
Istruita la causa a mezzo delle prove orali, all’udienza odierna la causa è stata trattenuta per la decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti costituite.
Com’è noto, la giurisprudenza di legittimità (e di merito) ammette pacificamente l’azione revocatoria ordinaria finalizzata alla declaratoria di inefficacia di atti a titolo gratuito quali le convenzioni matrimoniali e finanche gli accordi di separazione personale (Cass. n. 966/2007 per la costituzione del fondo patrimoniale, nonché in particolare, per l’assoggettabilità all’azione revocatoria anche alle convenzioni matrimoniali di separazione dei beni, Trib. Milano n. 2179/2011) tant’è che: “è ammissibile l’azione revocatoria ordinaria del trasferimento immobiliare, effettuato da un coniuge in favore dell’altro, in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata. In tale azione, la cognizione del giudice deve riguardare anche il contenuto obbligatorio degli accordi separativi, anche quando sia stato espressamente impugnato soltanto il contratto di cessione immobiliare” (Cass. n. 11914/2008).
Inoltre, occorre rammentare l’orientamento ermeneutico giurisprudenziale, pressoché consolidato, secondo il quale anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c. c., avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore, tanto che, secondo la Corte di Cassazione, “il giudizio promosso con l’indicata azione non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 cod. prov. civ. per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico – giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di
giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito” (Cass. n. 11573/2013, n. 1968/2009 e n. 9855/2014) e ciò in quanto, con l’art. 2901 c.c., viene accolta una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità (Cass. n. 1893/2012).
Secondo l’orientamento consolidato degli ermellini, inoltre, “gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della “donazione”, e – tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. – rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo – in quanto tale – da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto – quello della separazione personale – caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività), e dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza – o meno – nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio – compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale” (Cass. n. 5473/2006).
Ebbene, appare indubbio che, nella presente fattispecie, siano individuabili le primarie condizioni per l’esercizio dell’actio pauliana, ovvero: l’esistenza di un valido rapporto di credito e l’effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale della Ba.Cr.: va precisato che, in tema di azione revocatoria ordinaria, ai fini dell’integrazione del profilo oggettivo dell’eventus damni, non è necessaria la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore e dunque la impossibilità del creditore di conseguire aliunde la prestazione, ma basta che con il compimento dell’atto si sia reso più incerto o difficile il soddisfacimento del credito (ex multis: Cass. n. 12678/2001 e n. 20813/2004), dovendosi far riferimento esclusivamente alla menomazione della garanzia patrimoniale del debitore nei confronti del creditore, poiché a determinare l’eventus damni è sufficiente anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del creditore (Cass. n. 966/2007).
Per cui, una volta che il creditore che agisce in revocatoria abbia provato il concretizzarsi di una variazione, quantitativa o anche qualitativa, del patrimonio del debitore, è onere di quest’ultimo, per sottrarsi agli effetti dell’azione revocatoria, fornire la prova che il patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Cass. n. 7767/2007, n. 15265/2006 e n. 5972/2005), ciò che, nella specie, non appare verificatosi.
Nel caso di specie, è provato per tabulas, oltre che non contestato, che Sa.Gi. abbia prestato fideiussione per le concessione dei fidi ottenuti dalla El. S.r.l. con contratti del 1.9.2010 e del 30.9.2010 e che sia il destinatario del decreto ingiuntivo del 6.12.2013 emesso dal Tribunale.
Il credito vantato dalla parte istante, pertanto, è senz’altro da ritenersi antecedente rispetto alla separazione consensuale di cui al decreto di omologa del 27.5.2013.
Ancora, è da dirsi che sia in sede di comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente hanno dichiarato di svolgere rispettivamente la professione di falegname il Sa. e di educatrice la D’I.; del resto, come ammesso dalla medesima e confermato dai testimoni, la convenuta risultava dipendente sin dal 1999 della società cooperativa An. trovandosi ad essere disoccupata e priva di reddito solo da dicembre 2014 – oltre un anno dopo la separazione dal marito – benché nel 2013 fosse in cassa integrazione guadagni (testimone An.Ma.).
Chiarito che si tratta di atto di disposizione successivo al sorgere del credito, il suddetto trasferimento degli immobili in sede di separazione consensuale, sebbene appaia essere sostenuto da spirito solutorio – compensativo nel senso precisato dalla sopra richiamata giurisprudenza, tuttavia non resiste alle censure mosse da parte attrice: infatti, è vero che apparentemente il Sa. avesse ceduto gli immobili indicati nel ricorso a titolo di contributo al mantenimento della moglie – ciò di cui le parti danno atto nei loro accordi – ma tale rappresentazione non sembra affatto veritiera, in primo luogo perché la D’Ignazio, all’epoca dei suddetti accordi, svolgeva la professione di educatrice, evidentemente percependo un reddito; inoltre, poiché non si comprende quale potesse essere la differenza reddituale tra i coniugi, tale da giustificare un eventuale obbligo di carattere assistenziale del Sa., che, secondo la prospettazione di parte convenuta, attraversava un periodo di difficoltà economiche, viste le vicissitudini che hanno condotto al fallimento della El., di cui si dirà a breve.
Ancora, la circostanza per la quale il Sa. si sia spogliato di tutti i suoi beni, cedendoli alla moglie, non riservando nulla per sé, rappresenta un ulteriore elemento dal quale presumere che si tratti, in realtà, del mero tentativo di sottrarre gli immobili dall’aggressione dei creditori e che, pertanto, non abbia alcun carattere della cessione a titolo oneroso, ovvero che sia servito a fornire i necessari mezzi di sostentamento per il coniuge favorito: non è dato sapere, per esempio, se tali immobili siano stati locati a terzi o siano in altro modo messi a frutto dalla D’Ignazio, elementi di valutazione che spettava a parte convenuta fornire per comprovare la tesi difensiva assunta.
E se, per un verso, il requisito della cd. scientia damni deve considerarsi sussistente in re ipsa, poiché “l’azione revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e, quindi, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore” (Cass. n. 12045/2010, n. 5072/2009 e n. 13343/2015), quanto all’ulteriore elemento del consilium fraudis, questo può dirsi ampiamente provato per presunzioni, dati i rapporti di coniugio tra le parti convenute, che inducono certamente ad escludere l’ignoranza della D’Ignazio relativamente alle circostanze fattuali in cui si è collocato il trasferimento dei cespiti
immobiliari, ovvero circa l’esistenza della fideiussione prestata dal marito ben tre anni prima della separazione nonché dei mutui contratti – e non onorati – dalla società amministrata dal Sa. medesimo.
A tal proposito, occorre precisare che non convince la prospettazione del Sa., il quale sostiene non solo di essere stato del tutto estromesso dalla gestione della società El., ma anche di essere tenuto all’oscuro della situazione contabile della società fino all’estate 2013, guarda caso un mese dopo la sottoscrizione degli accordi di separazione.
I testimoni sentiti, invero, hanno tutti dichiarato – con le medesime locuzioni e riferendo gli stessi dettagli, ciò che già induce a sospettare della genuinità delle deposizioni, anche perché hanno dichiarato di essere amici e/o colleghi del Sa. da circa trent’anni – che il Sa. non fosse a conoscenza delle difficoltà economiche e dell’esposizione debitoria della società El. fino al luglio 2013; in tale data ci sarebbe stata una discussione nel laboratorio di falegnameria in quanto gli operai – tra cui occorre annoverare il Sa., che svolgeva mansioni di falegname con orari di lavoro identici agli altri – si sarebbero lamentati del fatto che non percepivano gli stipendi da 4/5 mesi e che il Sa., appresa tale circostanza, sarebbe corso a chiedere spiegazioni all’altro socio, Aq.Si. (testimone Ma.Co.).
Simile ricostruzione del fatti non persuade.
È del tutto inverosimile che per quattro – cinque mesi nessuno degli operai che lavoravano gomito a gomito tra loro e con il Sa. da trent’anni si fosse lamentato della mancata corresponsione degli stipendi; è del tutto inverosimile che, per di più, l’unico operaio retribuito dalla El. fosse proprio il Sa.; è del tutto inverosimile che il Sa., socio della El. S.r.l. e vicepresidente del consiglio di amministratore, nonché non sapesse della esposizione debitoria della società per la quale aveva ripetutamente concesso fideiussione nei confronti dell’istituto di credito attore – anche alla luce degli stretti rapporti personali che intercorrevano con gli altri due soci, già soci del Sa. in un precedente rapporto societario.
Conclusivamente, deve ritenersi provato anche il presupposto relativo all’elemento soggettivo preteso dall’art. 2901 c.c.
In considerazione di tale realtà processuale, deve ritenersi che tale comportamento posto in essere dai convenuti vada soggetto alla dichiarazione di inefficacia a mezzo di azione revocatoria ordinaria, poiché ha reso i beni conferiti difficilmente aggredibili dal creditore realizzando la riduzione della garanzia patrimoniale a suo tempo assicurata dal Sa. alla banca creditrice, odierna attrice.
Pertanto, alla luce di questa disamina, deve conclusivamente ritenersi che l’atto di trasferimento da parte di Sa.Gi. in favore di D’I.Pa., di cui alla separazione consensuale tra le parti omologata con decreto del Tribunale del 27.5.2013 trascritto presso l’agenzia del territorio di Taranto il 28.6.2013 al reg. gen. n. 12981, registro particolare n. 10034, con cui il Sa. ha ceduto alla moglie cinque beni immobili siti in Martina Franca, meglio indicati nel ricorso debba essere dichiarato inefficace nei confronti di Ba.Cr. – Ca.Ru. soc. coop.
Per quanto concerne l’intervento della Ba.Po. occorre svolgere un ulteriore ordine di considerazioni.
La più recente giurisprudenza di legittimità ha precisato che “come già chiarito (Cass. n. 15787/2005), se la formulazione della domanda costituisce l’essenza stessa dell’intervento principale e litisconsortile, “la preclusione sancita dall’art. 268 cod. proc. civ. non si estende all’attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti, perciò, non è operante il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento “fino all’udienza di precisazione delle conclusioni”, configurandosi solo l’obbligo, per l’interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie” (Cass. n. 25798/2015), da cui “consegue che è ammissibile la formulazione da parte del terzo di domande nuove ed autonome rispetto a quelle già proposte dalle parti originarie, in quanto attività coessenziale all’intervento stesso” (Cass. n. 11681/2014).
Tuttavia, poiché il terzo si è costituito allorquando erano già definitivamente scaduti i termini perentori per formulare le istanze istruttorie e per la produzione documentale – in ossequio agli artt. 183 e 268 c.p.c. – la domanda svolta non può ritenersi provata, poiché i documenti depositati dalla parte, giustificativi delle ragioni addotte, sono inammissibili; ne consegue il rigetto della pretesa.
Le spese, quanto alle parti principali, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 55/2014; quanto all’intervento della terza intervenuta, data l’assenza di attività difensiva nei confronti della medesima, possono essere integralmente compensate.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, ogni ulteriore contraria istanza disattesa:
– accoglie la domanda attorea e, per l’effetto, dichiara la inefficacia, nei riguardi di Ba.Cr. – Ca.Ru. Soc. Coop. dell’atto di trasferimento da parte di Sa.Gi. in favore di D’I.Pa. di cui alla separazione consensuale omologata con decreto del Tribunale del 27.5.2013, trascritto presso l’agenzia del territorio di Taranto il 28.6.2013 al reg. gen. n. 12981, registro particolare n. 10034 della proprietà degli immobili descritti nel ricorso introduttivo;
– condanna i convenuti, con vincolo della solidarietà, al pagamento in favore di parte attrice delle spese e competenze di lite, liquidate in complessivi Euro 6.234,26, di cui Euro 734,26 per spese e Euro 5.500,00 per compenso professionale, oltre al rimborso al 15% delle spese forfetarie, IVA e CPA come per legge;
– rigetta la domanda della società intervenuta in causa;
– compensa le spese tra le parti principali e la società intervenuta. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Taranto il 4 aprile 2017.
Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2017.