Espropriazione: che fare se l’indennità non viene riconosciuta?


Indennità di espropriazione per pubblica utilità: mi è stata liquidata un’indennità di esproprio stimata come area agricola di mercato e nulla mi è stato riconosciuto per la richiesta di indennità aggiuntiva. Che posso fare?
Evidenziamo innanzitutto che:
- il ricorso per cassazione è proponibile [1] entro il termine di sessanta giorni che decorrono dalla notificazione della sentenza;
- nel caso prospettato, e sulla base dell’analisi della sola sentenza, un eventuale ricorso per cassazione sarebbe possibile per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Nel caso in questione, la stima dell’indennità è stata redatta dalla Commissione provinciale ragion per cui la citazione per impugnazione della stima effettuata dall’autorità risulta proceduralmente errata e sarebbe anche oggi sicuramente errato riproporla, atteso che una stima dell’autorità (cioè del Comune) non vi potrà più essere. Esiste, invece, la procedura che prevedeva l’impugnazione delle stime operate dalla Commissione provinciale entro il termine perentorio e decadenziale di giorni trenta decorrente dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio. Non resta (onde evitare che la sentenza della corte di appello passi in giudicato e diventi definitiva) che un eventuale ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte di appello. Le possibilità, però, di successo di un eventuale ricorso per cassazione sono legate innanzitutto alla dimostrazione che anche i vincoli insistenti sul bene espropriato da prima del 2000 (verde pubblico e parcheggio pubblico), diversamente da ciò che la corte di appello ha stabilito, non siano vincoli conformativi, ma vincoli espropriativi. La giurisprudenza [2] ha avuto modo di stabilire che sono vincoli espropriativi solo quelli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero diminuendone il valore di scambio. Non ogni prescrizione contenuta negli strumenti di pianificazione territoriale costituisce, pertanto, vincolo di tipo espropriativo; vi possono essere anche vincoli conformativi (che non danno luogo a indennità) come sono le destinazioni di zona anche di contenuto specifico (come sono i vincoli a verde pubblico e a parcheggio pubblico) a condizione che non precludano l’iniziativa privata o promiscua pubblico-privata. In sostanza, il vincolo a verde pubblico o a parcheggio pubblico sarà di tipo espropriativo solo se il concreto contenuto delle previsioni urbanistiche sia finalizzato alla localizzazione sull’area oggetto del vincolo di una vera e propria opera pubblica la cui realizzazione presupponga necessariamente ed esclusivamente l’intervento della pubblica autorità. Se, invece, le concrete previsioni urbanistiche non escludessero l’intervento sull’area del privato o misto pubblico-privato, il vincolo dovrà intendersi come conformativo. Pertanto, se si riuscisse a dimostrare (sulla base dell’analisi delle concrete prescrizioni urbanistiche e tenendo conto della giurisprudenza richiamata) che i vincoli esistenti sul bene espropriato dal 1950 al 2000 erano anch’essi di natura espropriativa (come quelli successivamente imposti sul bene dal 2000 in poi e riconosciuti come espropriativi dalla stessa corte di appello), vi sarebbe la concreta possibilità nel merito di un esito positivo per un ricorso per cassazione. Tuttavia, anche se si riuscisse ad avere ragione nel merito (dimostrando che pure i vincoli precedenti al 200 erano di natura espropriativa), bisognerebbe anche e soprattutto riuscire a superare l’eccezione relativa all’inammissibilità procedurale della domanda introdotta con atto di citazione.
Circa il non riconoscimento dell’indennità aggiuntiva per l’esercizio di attività agricola, la corte di appello evidenzia la mancanza di idonee prove allegate. Infine, per quanto attiene alla ctu, il giudice non è mai vincolato alle conclusioni del perito. Se ne può discostare ed, anzi, se ne deve discostare qualora le stesse conclusioni contrastino, a parere del giudice, con le regole di diritto che il giudice stesso applica nell’emettere sentenza.
Articolo tratto da una consulenza dell’avv. Angelo Forte
note
[1] Art. 325 cod. proc. civ.
[2] Cons. Stato sent. n. 4976 dello 06.10.2014.