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Fondo patrimoniale: come funziona la revocatoria

1 Novembre 2017
Fondo patrimoniale: come funziona la revocatoria

Chi costituisce un fondo patrimoniale per tutelare la casa dai creditori deve attendere cinque anni per rendere il fondo inattaccabile.

Sebbene il fondo patrimoniale sia una misura di tutela della casa che sta perdendo interesse e utilità (leggi Abolito di fatto il fondo patrimoniale), i bassi costi dell’atto notarile lo rendono tutt’oggi uno strumento utilizzato da molte famiglie, non fosse altro per frapporre un’ulteriore barriera ai creditori e disincentivare l’azione legale per piccoli debiti.

Ma, come noto, il fondo patrimoniale può essere oggetto di revocatoria nei primi cinque anni e, oltre a ciò, nei primi 12 mesi è ancor più facilmente aggredibile senza neanche bisogno di revocatoria. Peraltro il termine dei cinque anni non decorre dall’atto notarile, ma da quando il fondo viene annotato all’atto di matrimonio; con la conseguenza che se il notaio ritarda o dimentica di eseguire tale adempimento, la casa è pignorabile. A chiarirlo è stata la Cassazione in una recente sentenza [1] che ci offre l’occasione per fare il punto dei rapporti tra fondo patrimoniale e revocatoria. Ma procediamo con ordine.

Come noto il fondo patrimoniale è un vincolo imposto soprattutto sui beni immobili (case, terreni, ecc.) che vengono così destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Per la coppia di coniugi scatta:

  • il divieto di vendere i beni inseriti nel fondo se non c’è il consenso di entrambi;
  • l’obbligo di impiegare i beni del fondo e/o i loro frutti (ad esempio i canone di affitto di un appartamento) per il soddisfacimento delle necessità nel nucleo. Non si può ad esempio usare l’affitto di un appartamento del fondo per fare una vacanza.

A fronte di questi limiti, i coniugi ottengono un grosso beneficio: nessun creditore può pignorare i beni inseriti nel fondo patrimoniale salvo che il debito sia stato contratto per far fronte ad esigenze di carattere familiare. In pratica, i beni del fondo e i relativi proventi non sono aggredibili dai creditori per debiti che questi sapevano essere estranei ai bisogni della famiglia. Possono invece soddisfarsi sul fondo i creditori – anche se successivi alla costituzione dello stesso – sorti per bisogni familiari (le spese scolastiche dei figli, la manutenzione della casa, le spese condominiali, le imposte sul reddito per lo Stato, ecc.) [2].

Quando il fondo viene costituito con il preciso proposito di frodare i creditori, ossia di sottrarre loro le garanzie per un eventuale pignoramento, esso è passibile di revocatoria. Cosa significa? Che il creditore può contestare il fondo e renderlo inefficace nei suoi confronti; la conseguenza è che la casa diventerà pignorabile solo per il creditore che ha esercitato l’azione revocatoria e non per tutti gli altri. Ma tant’è: ciò basta per vedere il proprio tetto messo all’asta.

Come fa un creditore a dimostrare che il fondo patrimoniale è stato stipulato per frodarlo? Non potendosi entrare nella testa del debitore, bisogna guardare i fatti: se il debitore ha messo nel fondo patrimoniale gran parte dei propri beni, rendendo così impossibile ai creditori trovarne di altri “liberi” su cui soddisfarsi, è chiaro il suo intento fraudolento. Se invece, ad esempio, il debitore ha tre case e solo una di queste viene inserita nel fondo, un creditore che agisce per 100mila euro potrà soddisfarsi sulle altre due. Con la conseguenza che il fondo non sarà revocabile.

La revocatoria può essere esercitata entro 5 anni dall’annotazione del fondo a margine dell’atto di matrimonio. Dopo tale termine, il fondo resta aggredibile – come appena detto – solo in caso di debiti contratti per esigenze familiari.

Inoltre, se entro un anno dalla costituzione del fondo patrimoniale il creditore iscrive un pignoramento nei pubblici registri immobiliari, questi potrà ugualmente pignorare la casa anche senza agire con la revocatoria.

Si può quindi dire che, nel primo anno, il fondo è pressoché inutile e non svolge alcuna tutela. Ha poi una tutela limitata dal secondo al quinto anno perché è subordinato al mancato esperimento di revocatoria. Infine dopo il quinto anno si “stabilizza” e diventa aggredibile solo per i debiti assunti per necessità della famiglia.

In pratica:

  • in caso di debito sorto prima della creazione del fondo, è sufficiente che i creditori dimostrino che il costituente era consapevole di poter arrecare pregiudizio ai loro interessi;
  • in caso di debito sorto dopo la costituzione del fondo, il creditore deve provare anche l’intenzione di nuocere al soddisfacimento del credito.

Può esperire la revocatoria solo il creditore anteriore alla costituzione del fondo e non quello successivo. Si guarda il momento della nascita del debito e non della morosità. Ad esempio: Mario contrae un mutuo con la banca il 1° febbraio 2017 e il 1° febbraio 2018 stipula un fondo patrimoniale. Se Mario smette di pagare le rate a partire dal 1° febbraio 2019 la banca può agire in revocatoria del fondo in quanto l’obbligazione è sorta prima della costituzione del fondo stesso, anche se il debito è sfociato nell’inadempimento in data successiva.

Il fondo patrimoniale rientra nelle convenzioni matrimoniali che debbono a pena di nullità essere stipulate davanti a un notaio (ossia con il cosiddetto «atto pubblico»).

Per legge, le convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando a margine dell’atto di matrimonio non risultano annotati la data del contratto, il notaio rogante e la generalità dei contraenti. Secondo la Suprema Corte, condizione sostanziale di opponibilità ai terzi dell’avvenuta costituzione del fondo è quindi costituita dalla annotazione del fondo in calce all’atto di matrimonio. In giudizio, tuttavia, è necessario fornire la prova dell’adempimento di tale onere esibendo o producendo in atti l’atto di matrimonio, necessario adempimento dell’onere processuale della prova in giudizio.


note

[1] Cass. sent. n. 23955/17 del 12.10.2017.

[2] In pratica, un creditore può rivalersi sul fondo solo per debiti contratti dai coniugi per i bisogni della famiglia o per bisogni diversi che il creditore non sapeva essere estranei all’interesse familiare al momento in cui è sorta l’obbligazione. In tal caso, il creditore può, ad esempio, iscrivere ipoteca sui beni del fondo (Cass. 5 marzo 2013 n. 5385, Cass. 4 giugno 2010 n. 13622).

Resta ferma la possibilità per il coniuge di provare in giudizio che il suo debito è del tutto estraneo alle esigenze familiari e che il creditore ne è a conoscenza.

Autore immagine: 123rf com

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 maggio – 12 ottobre 2017, n. 23955
Presidente Vivaldi – Relatore D’Arrigo

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Milano, con sentenza pubblicata il 21 aprile 2015, ha rigettato l’appello proposto dai coniugi G.A. e Ge.Pi.Lu. avverso la sentenza del Tribunale di Varese del 20 aprile 2012 che, a sua volta, aveva ritenuto inopponibile al creditore procedente Nora Pavimenti s.r.l. un atto di costituzione in fondo patrimoniale di taluni beni immobili, pignorati dalla predetta società.
Avverso tale decisione il G. e la Ge. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi. La società intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il tribunale ha rigettato l’opposizione all’esecuzione osservando, fra l’altro, che gli opponenti non hanno dato alcuna prova dell’opponibilità al creditore procedente dell’atto di costituzione in fondo patrimoniale degli immobili pignorati; prova che si sarebbe dovuta fornire producendo in giudizio non soltanto il predetto atto notarile, ma anche l’atto di matrimonio attestante la data dell’annotazione del regime patrimoniale, poiché l’opponibilità invocata dagli opponenti dipende dall’eventuale anteriorità di tale annotazione rispetto alla data di trascrizione del pignoramento.
La corte d’appello ha rilevato che gli opponenti non hanno prodotto l’atto di matrimonio neppure nel secondo grado di giudizio, nonostante i puntuali rilievi del tribunale. In particolare, gli appellanti hanno ritirato il fascicolo di parte all’udienza di precisazione delle conclusioni (come da annotazione a margine del relativo verbale) e non l’hanno più depositato, così impedendo al giudice d’appello di verificare la fondatezza della deduzione secondo cui il tribunale avrebbe errato nell’affermare che il documento non era stato prodotto in giudizio.
Su questo capo della sentenza si impuntano le censure articolate nel primo motivo, con il quale si deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 162, quarto comma, cod. civ..
I ricorrenti osservano, anzitutto, che l’avvenuto ritiro del fascicolo di parte sarebbe avvenuto d’iniziativa dello “avv. Marco Manfrinati dello Studio dell’avv. Giuseppe Bellini di (omissis) (…) senza alcuna specifica istruzione del sottoscritto procuratore degli appellanti”.
Il dato è assolutamente irrilevante, oltre che indimostrato, in quanto – a prescindere dal fatto che non si chiarisce a che titolo tale avv. Manfrinati avrebbe partecipato all’udienza di precisazione delle conclusioni innanzi alla corte d’appello in rappresentanza degli appellanti non vi è dubbio che, quale che fosse l’incarico ricevuto, questi ultimi rispondono del suo operato quantomeno per culpa in eligendo.
Inoltre, in punto di diritto, i ricorrenti sostengono che l’art. 162, quarto comma, cod. civ. impone, quale condizione di opponibilità ai terzi, l’annotazione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale in calce all’atto di matrimonio, ma non anche la sua produzione in giudizio.
Il motivo è infondato.
Infatti, se è vero che la condizione sostanziale di opponibilità ai terzi dell’avvenuta costituzione del fondo patrimoniale è data dalla annotazione dell’atto costitutivo in calce all’atto di matrimonio, è pur vero che in giudizio occorre fornire la prova dell’adempimento di tale onere. L’esibizione in giudizio dell’atto di matrimonio recante l’annotazione, pertanto, non è condizione sostanziale di opponibilità dell’atto ai terzi richiesta dall’art. 162 cod. civ., ma costituisce necessario adempimento dell’onere processuale della prova in giudizio.
Correttamente, quindi, i giudici di merito hanno ritenuto che l’omessa produzione in giudizio dell’atto dovesse comportare il rigetto dell’opposizione.
Giova aggiungere che, in virtù del principio dispositivo delle prove, il mancato reperimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti, deve presumersi espressione, in assenza della denuncia di altri eventi, di un atto volontario della parte stessa, che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti; ne consegue che è onere della parte dedurre quella incolpevole mancanza e che il giudice è tenuto ad ordinare la ricerca o disporre la ricostruzione della documentazione non rinvenuta solo ove risulti l’involontarietà della mancanza, dovendo, negli altri casi, decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10224 del 26/04/2017, Rv. 643996).
Poiché nella specie gli opponenti non hanno provato, al di là di quella generica e inammissibile deduzione circa l’operato dell’avv. Manfrinati, l’involontarietà del ritiro del proprio fascicolo di parte, correttamente la corte d’appello ha ritenuto l’opposizione infondata.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 170 cod. civ. e dell’art. 229 cod. proc. civ..
La censura riguarda la parte della sentenza della corte d’appello in cui è stato rilevato che agli esecutati non sarebbe bastato soltanto dimostrare l’opponibilità del fondo patrimoniale ai terzi, ma anche che il debito era stato contratto per scopi estranei agli interessi della famiglia.
Trattandosi di una autonoma ratio decidendi, il motivo ad essa relativo è assorbito dal rigetto di quello concernente la motivazione principale del provvedimento impugnato, la quale da sola è sufficiente a reggere la decisione finale.
Nulla si dispone per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Sussistono invece i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, dal parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.


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