Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 4 dicembre 2017 – 29 gennaio 2018, n. 2089
Presidente Amendola – Relatore Tatangelo
Fatti di causa
L.S.M. ha proposto opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., nel corso di una procedura esecutiva promossa nei suoi confronti dall’amministratore di sostegno e legale rappresentante di F.M. sulla base di una sentenza penale di condanna al risarcimento dei danni derivanti dal reato di circonvenzione di incapace. Nel giudizio si è costituita F.M. , in proprio, aderendo alle ragioni dell’opponente, in favore del quale ha dedotto di avere rimesso il debito azionato. Il Tribunale di Torino ha rigettato l’opposizione.
La Corte di Appello di Torino, rilevata l’inammissibilità del gravame con riguardo ai motivi di opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), ha confermato la decisione di primo grado in relazione al’opposizione all’esecuzione proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c..
Ricorre il L.S. , sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso il tutore della F. , G.A. .
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.
È stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.
Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “illegittimità della procedura esecutiva sia per la violazione dell’art. 404 c.c., dell’art. 407 c.c. e dell’art. 410 c.c. che dei principi cardine dell’istituto dell’amministrazione di sostegno”.
Con il secondo motivo si denunzia “improcedibilità della procedura esecutiva a causa del mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione di cui al D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28”.
I primi due motivi del ricorso sono manifestamente inammissibili.
Le censure in essi esposte non sono rivolte direttamente e specificamente nei confronti della sentenza impugnata, limitandosi il ricorrente ad affermare (peraltro in modo del tutto generico) l’illegittimità e l’improcedibilità della procedura esecutiva, senza neanche chiarire, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., se le relative questioni erano state poste nei gradi di merito, se erano state decise dal giudice di primo grado e se (ed in che termini) la decisione era stata eventualmente oggetto di gravame.
Non è possibile pertanto scrutinare nel merito detti motivi di ricorso, per l’evidente difetto di specificità dell’impugnazione.
2. Con il terzo motivo si denunzia “incompatibilità dei giudici secondo l’art. 51 c.p.c.”.
Anche questo motivo è manifestamente inammissibile, oltre che manifestamente infondato.
È sufficiente osservare che il ricorrente non chiarisce neanche se era stata proposta istanza di ricusazione dei giudici di appello, nei termini previsti dall’art. 52 c.p.c..
Inoltre il dedotto obbligo di astensione è ricondotto ad una circostanza (pronunzia della sentenza di interdizione della F. ) assolutamente non documentata, in palese violazione degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., e che comunque non integra alcuna delle fattispecie previste dall’art. 51 c.p.c..
3. Il quarto motivo è così rubricato: “in ordine all’estinzione della pretesa creditizia per la sopraggiunta rimessione del debito dispositivo dell’art. 1236 c.c.”.
Il motivo è manifestamente inammissibile.
Il ricorrente deduce che l’atto di rimessione del debito posto a base della sua opposizione all’esecuzione sarebbe stato erroneamente ritenuto, nella sentenza impugnata, oggetto di annullamento da parte del GT (e cioè del giudice tutelare, presumibilmente) in data 9 maggio 2011, e poi di successiva conferma da parte della corte di appello in data 8 giugno 2012.
Il motivo non coglie la ratio decidendi della pronunzia impugnata, nella quale non si afferma affatto che l’atto di rimes-sione del debito da parte della F. è stato annullato dal giudice tutelare, ma si dichiara espressamente la nullità e l’assoluta inefficacia dello stesso, sia in quanto ritenuto incompatibile con le disposizioni dettate in sede di apertura dell’amministrazione di sostegno, sia perché nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, in quanto frutto del reato di circonvenzione di incapace.
Le effettive ragioni poste dalla corte di appello alla base della decisione non risultano specificamente censurate, e dunque anche il motivo di ricorso in esame non può ritenersi ammissibile.
4. Con il quinto motivo si denunzia “mancato rispetto della previsione di cui all’art. 156 disp. att. c.p.c. e di cui all’art. 497 c.p.c. da parte dell’esecutante”.
Anche quest’ultimo motivo è manifestamente inammissibile. Esso riguarda motivi qualificabili come opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., in quanto attinenti a questioni di regolarità della procedura esecutiva.
In relazione a detti motivi la corte di appello non si è affatto pronunziata nel merito, essendosi limitata a dichiarare (del tutto correttamente) inammissibile il gravame, in ragione della esclusiva proponibilità del ricorso straordinario per cassazione avverso le sentenze in materia di opposizione agli atti esecutivi.
Dunque, anche sotto questo aspetto, il ricorso non coglie la ratio decidendi della pronunzia impugnata ed è di conseguenza manifestamente inammissibile.
5. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve inoltre farsi luogo alla condanna prevista dalla disposizione di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c..
Il ricorso è stato infatti giudicato manifestamente inammissibile (oltre che, almeno in parte, manifestamente infondato), e dunque l’impugnazione risulta proposta da parte ricorrente con colpa grave, dovendosi certamente ritenere in una siffatta ipotesi percepibile dal legale abilitato all’esercizio presso le giurisdizioni superiori (professionista del cui operato la parte risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c.: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016, Rv. 642925 – 01), sulla base della diligenza cui è tenuto per la prestazione altamente professionale che fornisce, la circostanza di perorare tesi palesemente infondate, e comunque di avanzare una impugnazione di legittimità non suscettibile di accoglimento.
La Corte stima peraltro equo contenere tale condanna nella misura di Euro 10.000,00 (importo pari a quello liquidato per le spese del giudizio di legittimità), in favore della parte controri-corrente.
Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge; condanna il ricorrente a pagare in favore della parte controricorrente l’ulteriore importo di Euro 10.000,00, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.