Il non voto incide sul risultato elettorale?


Elezioni del 4 marzo: ci chiedono se c’è un modo per fare un voto di protesta senza dare un vantaggio ai partiti. Ecco i rischi di annullare una scheda.
Un lettore ci scrive: «Volevo sapere se vi è la possibilità, alle votazioni del prossimo 4 Marzo, che il mio voto, di protesta, non vada a nessuno, neppure alla maggioranza in caso di voto nullo. Mi pare ci sia la possibilità per questo (ma non ho la «traccia» o facsimile che dir si voglia, da presentare al seggio e senza andare in Cabina), potete voi fornirmela? Se si ditemi cosa costa e le modalità di pagamento».
Con tutti i dovuti rispetti, caro lettore, benvenuto nel mondo delle favole.
Vede, il bello della democrazia è che ciascuno può scegliere di scegliere e anche scegliere di non scegliere, lasciando, in quest’ultimo caso agli altri la facoltà di scegliere.
Ora: pretendere di annullare la propria capacità di scegliere con una «traccia» o un facsimile fornito dallo Stato o da chiunque, anche a pagamento (posto che quello fornito da chiunque avrebbe lo stesso valore di un Bitcoin nella Corea del Nord), senza che una formazione politica ci guadagni sopra, è pretendere un po’ troppo. Sarebbe come se un figlio dicesse ai genitori che vuole andare via di casa perché li non sopporta più e chiedesse al padre un appartamento, le chiavi della macchina e 10.000 euro giusto per le prime spese. Probabilmente l’unica cosa che otterrebbe dal genitore sarebbe un calcio in quel punto dove i cetrioli diventano più amari.
Di modi per avvalersi dalla facoltà di non scegliere (o di scegliere il «non voto» alle elezioni del 4 marzo ce ne sono, per carità. Uno, è quello di non andare a votare, cioè di aderire al «partito dell’astensione». Un altro, è quello di rifiutare la scheda al seggio dopo essersi registrati. Infine, c’è quello di andare in cabina, aprire la scheda e annullarla con una scritta più o meno originale (la fantasia non la limiti, purtroppo o per fortuna).
Siccome la matematica non è un’opinione ed il sistema elettorale si basa su una percentuale di voti validi e non su una percentuale di votanti (questo viene richiesto soltanto ai referendum dov’è necessario il quorum, cioè il voto del 50% più uno degli aventi diritto al voto), paradossalmente basterebbe un solo voto per fare un Parlamento: risulterebbe che quel partito ha preso il 100% dei voti (Dio ce ne scampi, che il vincitore sia di destra, di centro o di sinistra). Lei dirà, caro lettore, che un solo italiano non può decidere per gli altri 60 milioni. Ed ha perfettamente ragione. Ma non presentarsi alle urne non impedisce a chi prende il maggior numero di voti di prendersi anche il potere. Mentre annullare una scheda potrebbe incidere sul risultato elettorale rendendo più forte il partito sconfitto, cioè sarebbe come votare per lui. In democrazia, che piaccia o no, funziona così.
Certo che visto l’andazzo della politica, a uno viene voglia ogni tanto di dire: «Facciamo tutti un voto di protesta, così capiscono che il popolo ne ha fin sopra la cima dei capelli di questi personaggi». Soprattutto di fronte ad una tornata elettorale (quella del 4 marzo, appunto) in cui si ha l’impressione – per non dire la certezza – che non ci sarà un vincitore netto e che si avrà, per l’ennesima volta, un Governo pasticciato, frutto di un accordo sottoscritto a tavolino anche da chi ha perso (in percentuale) le elezioni. Questo succede perché non c’è una legge elettorale in grado di evitare questa possibilità il che, a sua volta, succede perché la legge elettorale viene fatta da chi deve essere eletto e non vuole perdere la ghiotta occasione di occupare un posto di potere nelle successive legislature. Forse un sistema come quello delle presidenziali francesi o, più semplicemente, come quello delle amministrative nei Comuni con più di 15mila abitanti servirebbe ad esorcizzare la prospettiva del cosiddetto «inciuccio»: i due partiti che prendono più voti vanno ad un ballottaggio e chi vince governa. Almeno si avrebbe la certezza che chi prende il potere in mano ha il consenso della maggioranza degli elettori. E se, a fine, legislatura, non ha fatto bene, lo si manda a casa. Ma è chiedere troppo, evidentemente.
Il «non voto», dunque, è – per quanto rispettabile – palesemente rischioso quando viene espresso per non favorire un candidato. Vediamo meglio perché, facendo anche qualche esempio.
Indice
Voto di protesta: registrarsi al seggio e non votare
È la scelta che potremmo chiamare «del protestante burocrate». Consiste nel presentarsi al seggio il giorno delle elezioni, farsi registrare, rifiutare poi di ritirare la scheda e, infine, chiedere di verbalizzare le ragioni della protesta. Più diffusa di quanto si possa pensare, visto che, in passato, il Ministero dell’Interno ha sentito il bisogno di intervenire e di dare delle direttive ben precise ai presidenti dei seggi.
Quello che il Viminale ha chiesto è che, per evitare di rallentare le operazioni di voto, venga verbalizzata in modo veloce e sintetico la protesta dell’elettore, le cui generalità saranno allegate al verbale insieme ad eventuali documenti scritti (magari a casa, così gli altri votanti riescono ad arrivare a casa per mangiare a una certa ora) e presentati al seggio dal cittadino. Questo significa che il «protestante burocrate» è uno che non teme di mostrare la propria faccia e che vuole sottoscrivere, con tanto di nome e cognome, il motivo del proprio dissenso.
Perché questo «non voto» non incide sul risultato elettorale? Perché, ai fini delle rilevazioni statistiche sulla affluenza alle urne, i cittadini che vorranno aderire alla singolare protesta non saranno conteggiati tra i votanti della sezione elettorale, bensì saranno considerati come «non votanti». Insomma, è come se fossero rimasti a casa.
Il «protestante burocrate», però, non demorde, è uno che fa le cose per principio, ed è anche un sognatore: è convinto che qualcuno, a Palazzo, leggerà il motivo della sua protesta. Dimostra, in questo modo, la fiducia nei politici che non ha avuto alle urne.
Diverso il caso di chi si rifiuta di andare in cabina ma prende la scheda in mano e la riconsegna immediatamente. In questo caso verrà conteggiato tra chi ha votato «in bianco». Ma la sua protesta non verrà verbalizzata. Non sarà un «protestante burocrate», ma un «protestante nulladicente».
Voto di protesta: annullare la scheda in cabina
È la scelta del «protestante viscerale». Consiste nel ritirare la scheda al seggio, andare in cabina, armarsi di matita e scrivere le frasi più improbabili rivolte ai politici per annullare la scheda. C’è chi consiglia ai candidati di andare a farsi un giro in posti poco ortodossi, chi esprime il proprio dissenso scrivendo di essere stanco di loro, chi augura ai politici di non soffrire più di stitichezza. Leggere quelle schede è un po’ come leggere le scritte sulle porte dei bagni pubblici dei licei o delle vecchie osterie.
Tutto inutile? Non proprio, se si ha la pretesa che questo «non voto» possa incidere sul risultato elettorale: è probabile che il gesto del «protestante viscerale» abbia un effetto boomerang e che faccia un favore a chi ha ottenuto meno voti. Facciamo un esempio.
Partito A contro partito B. Sei elettori alle urne.
Prima ipotesi: l’elettore 1 non sa per chi votare ma considera il partito A il male minore.
Gli elettori 1, 2, 3 e 4 votano per il partito A.
Gli altri due (gli elettori 5 e 6) votano per il partito B.
La vittoria del partito A è netta e otterrà molti più seggi rispetto al partito B.
Seconda ipotesi: l’elettore 1, decide di annullare la scheda in cabina.
Gli elettori 2, 3 e 4 votano sempre per il partito A.
Gli ultimi 2 (gli elettori 5 e 6) votano per il partito B.
L’elettore 1 ha fatto, in questo modo, una cortesia al partito B, che, accorciando le distanze rispetto al partito A, ottiene più seggi. In sostanza, è come se l’elettore 1, che riteneva il partito A il male minore, avesse votato per il partito B.
Conviene davvero il «non voto»?
Il Cancelliere di ferro tedesco Otto von Bismark diceva più di cent’anni fa: «Non si mente mai tanto come prima delle elezioni, durante la guerra e dopo la caccia». Nessuno ad un comizio avrebbe il coraggio di Totò, alias Antonio La Trippa che, nel film Gli onorevoli, denunciò i politici che volevano corromperlo per sistemare i loro affari.
Tuttavia, lamentarsi senza avere la voglia di cambiare le cose serve a ben poco. Astenersi dal voto, rifiutare una scheda o annullarla significa respingere l’unico strumento che la democrazia ci consente per tentare di ribaltare una situazione che non ci piace. In altri Paesi ci invidiano perché abbiamo questa possibilità.
Giusto per restare nel campo delle citazioni, da una parte aveva ragione la rappresentante americana dei Democratici Carlyn Warner quando diceva: «Anni fa, le fiabe iniziavano con ‘c’era una volta’, oggi sappiamo tutti che iniziano con ‘se sarò eletto…’». Dall’altra, però, è innegabile quello che sosteneva il compianto scrittore francese Robert Sabatier: C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto al voto al cittadino, e consiste nel togliergli la voglia di votare». Sta al cittadino dimostrare che nessuno ha il potere di farlo e di negargli, eventualmente un domani, il diritto di potersi lamentare per aver scelto di scegliere male, piuttosto che di non scegliere.
Finalmente delle spiegazioni chiare ed esaustive.
Mah?! Avevo sempre sostenuto che il voto avrebbe, forse, cambiato qualche cosa. Poi ho scoperto che le liste elettorali non le fanno i cittadini, ma le segreterie dei partiti che a loro volta sono definite dai centri di potere economico-finanziario. Se il voto valesse qualcosa e potesse veramente cambiare qualcosa NON ci farebbero votare, è solo lo zuccherino prima dell’amaro, tanto dolce che lo accettiamo fino alle prossime elezioni. Quindi votare NON serve a nulla se non dare allo stupido cittadino l’idea che potrà cambiare quello che nessuno cambierà. La libertà e la democrazia è una pianta che di tanto in tanto necessita di essere alimentata con il sangue.
gent.no Paolo, ho riflettuto un po’ su queste cose ed ho anche scritto qualcosa in merito che se vorrai sarò felice di inviarti. Sulla questione che poni, il fatto che le liste le facciano i segretari di partito potrebbe anche andarmi bene se i partiti fossero una casadi vetro con le porte spalancate con una sala dove non ci sono sedie piu’ importanti a priori e senza meriti riconosciuti. Purtroppo i partiti (te lo dico per esperienza diretta) non sono questo e quindi il cittadino ha ragione di lamentarsi. Ma dovrebbe farlo piu’ in generale per tutta la gestione dei partiti, diventati ormai solo comitati elettorali. Cordialmente
Dato che i seggi sono in numero fisso, saranno sempre coperti anche da non-voti ripartiti secondo le percentuali dei voti validi. Quindi i non-voti non modificheranno i rapporti numerici tra i partiti che hanno ricevuto voti e seggi, ma modificano il valore politico delle elezioni. Emblematica la prima, pur improbabile ipotesi. formulata nell’articolo (un voto valido basta per fare un Parlamento…) E’ COSI’? Secondo me il numero dei seggi deve essere in proporzione ai voti validi. GRAZIE DEL COMMENTO
Poichè il numero dei seggi parlamentari è fisso, esso è coperto anche, in parte dalla quota dei non-voto che si ripartiscono secondo le percentuali dei voti validi rivevute dai partiti destinatari di seggi. Quindi il risultato del rapporto numerico tra i vari partiti non cambia sostanzialmente, ma cambia ilsignificato politico di quell’elezione. Emblematica è l’ipotesi, anche improbabile, offerta all’inizio dell’articolo :”Basta un voto per fare un Parlamento”..Secondo me sarebbe piu’ giusto, anche in rapporto ala questione della “rappresentanza” che il numero dei seggi fosse proporzionale ai voti validi. GRADISCO COMMENTI. GRAZIE