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Gatti in condominio: regole

20 Febbraio 2018 | Autore:
Gatti in condominio: regole

Cosa prevede la legge se si dà da mangiare ai gatti randagi o se si tengono gatti negli appartamenti, nell’ascensore o nel cortile?

Una cosa è il sentimento di amore per gli animali, un’altra l’igiene e la pulizia che, comunque, deve rispettare anche l’animalista che intende dare da mangiare ai gatti randagi sotto il portone del condominio. Se poi il regolamento di condominio vieta di detenere gatti in casa, la clausola è valida solo se approvata all’unanimità da tutti i proprietari di appartamenti. L’affittuario, infine, è tenuto a non ospitare gatti solo a condizione che sia stabilito nel contratto di locazione regolarmente registrato. Sono queste alcune delle regole sui gatti in condominio, un problema spesso sottovalutato ma che origina non poco contenzioso nelle aule di tribunale. In questo articolo approfondiremo questi aspetti e comprenderemo cosa prevede la legge sui gatti in condominio, anche se lo stesso discorso può essere esteso a qualsiasi altro animale, soprattutto ai cani.

Gatti randagi

Quando si parla di gatti randagi ci si riferisce spesso alle cosiddette colonie feline (in realtà, per formare una colonia felina bastano anche solo due gatti che vivono in un determinato e circoscritto territorio). È una legge del 1991 [1] a regolamentare tale fenomeno e a stabilire una serie di obblighi e divieti tali da contemperare da un lato la tutela degli animali, dall’altro le esigenze di salubrità. Partiamo dai principi generali previsti dalla citata normativa.

È vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in libertà. I gatti che vivono in libertà sono sterilizzati dall’autorità sanitaria competente per territorio e riammessi nel loro gruppo. I gatti in libertà possono essere soppressi soltanto se gravemente malati o incurabili.

Si può dare da mangiare ai gatti randagi lasciando sotto il porticato del condominio piattini di plastica con avanzi di cibo, latte e acqua? La risposta data più volte dalla giurisprudenza è chiara e categorica: assolutamente sì, a condizione che si mantenga pulita la zona. Ben venga quindi la “gattara” che si prende cura della colonia felina, ma è necessario che la stessa provveda a “lasciare tutto com’era prima” e nulla in disordine o sporco.

Il codice civile [2] stabilisce che ciascun condomino può utilizzare gli spazi comuni a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne uso. Impiegare un piccolo angolo del cortile o del porticato per dare da mangiare ai gatti randagi non costituisce un comportamento illecito. È infatti consentita l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione – purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini –  purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari.

L’assemblea può deliberare a maggioranza il divieto di dare da mangiare agli animali randagi? Potrebbe farlo, ma solo a condizione che la decisione non sia dettata da una avversione per gli animali in sé. In pratica, la delibera deve essere attentamente motivata da ragioni di sicurezza e/o igiene. Ora, se le questioni di sicurezza potrebbero trovare fondamento solo in presenza di cani pericolosi (non è dato conoscere di episodi di colonie feline che abbiano attaccato l’uomo), le ragioni di igiene invece possono essere sempre presenti. Si pensi al caso di topi e insetti che attingano dal cibo lasciato dai gatti. In tal caso, però, se il condomino che occasionalmente si presenta con i croccantini da dare al gatto randagio provvede immediatamente dopo a “bonificare” la zona, non ci sono ragioni per impedirgli tale comportamento. Sicché sarà difficile per l’assemblea vietare di dare da mangiare ai gatti randagi. Pertanto la permanenza dei gatti nelle aree condominiali, siano esse cortili, garage o giardini, aree ospedaliere è da considerare assolutamente legittima. Onde escludere possibili disturbi per i condomini, la legge prevede che il loro numero sia tenuto sotto controllo attraverso la sterilizzazione e che gli animali siano nutriti nel rispetto dell’igiene dei luoghi.

Secondo il Tribunale di Milano [3] è vero che il giardino è un’area comune e chiunque la può usare purché non ne alteri la destinazione d’uso, ed è anche vero che il cortile non nasce per lasciare cibo ai randagi, ma è innegabile – sostengono i giudici milanesi – che l’occupazione, da parte di un condomino, di uno spazio comune – mediante installazione di piccole costruzioni per gatti (rifugi) del tutto temporanei – non configura un abuso.

In definitiva, dare da mangiare a cani e gatti randagi non è vietato, ma questo non deve costituire elemento di danno per gli altri condomini: ossia non si deve sporcare per terra, né deturpare l’estetica del giardino e gli animali non devono costituire molestia per le persone, che entrano ed escono dal palazzo.

Secondo il Tar Sicilia [4], chi accoglie nel proprio giardino o nel cortiletto del condominio i gatti del circondario, lasciando loro gli avanzi di cibo e i piattini di plastica ricolmi di latte, deve però accollarsi l’obbligo di tenere pulita l’area, evitando il rischio di cattivi odori, sporcizia e l’arrivo di altri animali (topi, formiche, ecc.). Leggi sul punto Dare da mangiare ai gatti randagi e sporcare il cortile è vietato.

Se poi il proprietario non si adegua all’ordine del giudice di tenere pulita l’area può essere denunciato per il reato [5] di «mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice» [6]. 

Secondo quanto chiarito dal TAR Ancona [7], è illegittimo il divieto, imposto dal Comune, di somministrare alimenti a cani e gatti randagi con contenitori sulle aree pubbliche. La differenza, dunque, rispetto alla sentenza del TAR Sicilia è il luogo ove avviene la “somministrazione” del cibo ai gatti: è chiaro, infatti, che negli spazi privati, sebbene non si possa impedire l’uso della cosa comune a tutti i condomini, è anche vero che tale uso non deve pregiudicare gli altrui diritti.

C’è infine da verificare, oltre al regolamento di condominio e alle successive delibere assembleari, l’eventuale esistenza di ordinanze del sindaco che vietino di offrire alimenti ai gatti randagi. L’amministrazione comunale, però, per adottare tale divieto, deve dimostrare l’effettiva esistenza di un pericolo per la salute pubblica e deve aver chiesto un parere all’Asl [8].

Gatti di proprietà 

La riforma del 2012 ha stabilito che nessun regolamento di condominio può vietare ai condomini di tenere animali in casa [9]. Ivi compresi quindi i gatti. Chi è allergico al pelo di gatto difficilmente potrà opporsi a che uno dei proprietari faccia salire il proprio micio in ascensore. Se il regolamento di condominio contiene divieti per animali domestici di usare ambienti comuni tipo ascensori o scale, può essere annullato con ricorso al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla delibera.

La giurisprudenza ha però chiarito che, se il regolamento dovesse essere approvato all’unanimità – ossia con il consenso di tutti i condomini – il divieto di tenere animali in appartamento potrebbe essere legittimamente imposto. Il regolamento è approvato all’unanimità anche quando accettato da tutti gli acquirenti, in separata sede rispetto alla riunione di condominio, all’atto dei rispettivi rogiti di acquisto degli appartamenti.

Invece, per quanto riguarda l’eventuale affittuario, a questi si può vietare di tenere gatti in casa, anche in assenza di una specifica clausola nel regolamento, solo se previsto nel contratto di locazione, contratto che – lo ricordiamo – per essere valido, deve essere registrato all’Agenzia delle Entrate. Se il contratto è “in nero”, tutti gli impegni assunti a voce o anche per iscritto possono essere violati senza perciò subire lo sfratto.


note

[1] Legge n. 281/1991.

[2] Art. 1102 cod. civ.

[3] Trib. Milano sent. n. 23693 del 30.09.2009.

[4] Tar Sicilia, sent. n. 3 del 12.01.2016.

[5] Art. 388 cod. pen.

[6] Trib. S. Maria Capua Vetere, sent. n. 2488/2014 del 21.08.2014.

[7] Tar Ancona, sent. n. 753/2012.

[8] Tar Venezia, sent. n. 6045/2010.

[9] Art. 1138 cod. civ.

LEGGE 14 agosto 1991, n. 281

Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo

Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 30 agosto 1991

1. Princìpi generali

1. Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente.

2. Trattamento dei cani e di altri animali di affezione

1. Il controllo della popolazione dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite viene effettuato, tenuto conto del progresso scientifico, presso i servizi veterinari delle unità sanitarie locali. I proprietari o i detentori possono ricorrere a proprie spese agli ambulatori veterinari autorizzati delle società cinofile, delle società protettrici degli animali e di privati.

2. I cani vaganti ritrovati, catturati o comunque ricoverati presso le strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4, non possono essere soppressi.

3. I cani catturati o comunque provenienti dalle strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4, non possono essere destinati alla sperimentazione.

4. I cani vaganti catturati, regolarmente tatuati, sono restituiti al proprietario o al detentore.

5. I cani vaganti non tatuati catturati, nonché i cani ospitati presso le strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4, devono essere tatuati; se non reclamati entro il termine di sessanta giorni possono essere ceduti a privati che diano garanzie di buon trattamento o ad associazioni protezioniste, previo trattamento profilattico contro la rabbia, l’echinococcosi e altre malattie trasmissibili.

6. I cani ricoverati nelle strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4, fatto salvo quanto previsto dagli articoli 86, 87 e 91 del regolamento di polizia veterinaria approvato con decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1954, n. 320, e successive modificazioni, possono essere soppressi, in modo esclusivamente eutanasico, ad opera di medici veterinari, soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità.

7. È vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in libertà.

8. I gatti che vivono in libertà sono sterilizzati dall’autorità sanitaria competente per territorio e riammessi nel loro gruppo.

9. I gatti in libertà possono essere soppressi soltanto se gravemente malati o incurabili.

10. Gli enti e le associazioni protezioniste possono, d’intesa con le unità sanitarie locali, avere in gestione le colonie di gatti che vivono in libertà, assicurandone la cura della salute e le condizioni di sopravvivenza.

11. Gli enti e le associazioni protezioniste possono gestire le strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4, sotto il controllo sanitario dei servizi veterinari dell’unità sanitaria locale.

12. Le strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4 possono tenere in custodia a pagamento cani di proprietà e garantiscono il servizio di pronto soccorso.

3. Competenze delle regioni

1. Le regioni disciplinano con propria legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’istituzione dell’anagrafe canina presso i comuni o le unità sanitarie locali, nonché le modalità per l’iscrizione a tale anagrafe e per il rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore.

2. Le regioni provvedono a determinare, con propria legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per il risanamento dei canili comunali e la costruzione dei rifugi per cani. Tali strutture devono garantire buone condizioni di vita per i cani e il rispetto delle norme igienico- sanitarie e sono sottoposte al controllo sanitario dei servizi veterinari delle unità sanitarie locali. La legge regionale determina altresì i criteri e le modalità per il riparto tra i comuni dei contributi per la realizzazione degli interventi di loro competenza.

3. Le regioni adottano, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le associazioni animaliste, protezioniste e venatorie, che operano in ambito regionale, un programma di prevenzione del randagismo.

4. Il programma di cui al comma 3 prevede interventi riguardanti:

a) iniziative di informazione da svolgere anche in ambito scolastico al fine di conseguire un corretto rapporto di rispetto della vita animale e la difesa del suo habitat;

b) corsi di aggiornamento o formazione per il personale delle regioni, degli enti locali e delle unità sanitarie locali addetto ai servizi di cui alla presente

legge nonché per le guardie zoofile volontarie che collaborano con le unità sanitarie locali e con gli enti locali.

5. Al fine di tutelare il patrimonio zootecnico le regioni indennizzano gli imprenditori agricoli per le perdite di capi di bestiame causate da cani randagi o inselvatichiti, accertate dal servizio veterinario dell’unità sanitaria locale.

6. Per la realizzazione degli interventi di competenza regionale, le regioni possono destinare una somma non superiore al 25 per cento dei fondi assegnati alla regione dal decreto ministeriale di cui all’articolo 8, comma 2. La rimanente somma è assegnata dalla regione agli enti locali a titolo di contributo per la realizzazione degli interventi di loro competenza.

7. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione ai princìpi contenuti nella presente legge e adottano un programma regionale per la prevenzione del randagismo, nel rispetto dei criteri di cui al presente articolo.

4. Competenze dei comuni

1. I comuni, singoli o associati, e le comunità montane provvedono al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per i cani, nel rispetto dei criteri stabiliti con legge regionale e avvalendosi dei contributi destinati a tale finalità dalla regione.

2. I servizi comunali e i servizi veterinari delle unità sanitarie locali si attengono, nel trattamento degli animali, alle disposizioni di cui all’articolo 2.

5. Sanzioni

1. Chiunque abbandona cani, gatti o qualsiasi altro animale custodito nella propria abitazione, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire un milione.

2. Chiunque omette di iscrivere il proprio cane all’anagrafe di cui al comma 1 dell’articolo 3, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di lire centocinquantamila.

3. Chiunque, avendo iscritto il cane all’anagrafe di cui al comma 1 dell’articolo 3, omette di sottoporlo al tatuaggio, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di lire centomila.

4. Chiunque fa commercio di cani o gatti al fine di sperimentazione, in violazione delle leggi vigenti, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire cinque milioni a lire dieci milioni.

5. L’ammenda comminata per la contravvenzione di cui al primo comma dell’articolo 727 del codice penale è elevata nel minimo a lire cinquecentomila e nel massimo a lire tre milioni. [Comma abrogato]

6. Le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 confluiscono nel fondo per l’attuazione della presente legge previsto dall’articolo 8.

6. Imposte

1. Tutti i possessori di cani sono tenuti al pagamento di un’imposta comunale

annuale di lire venticinquemila.

2. L’acquisto di un cane già assoggettato all’imposta non dà luogo a nuove imposizioni.

3. Sono esenti dall’imposta:

a) i cani esclusivamente adibiti alla guida dei ciechi e alla custodia degli edifici rurali e del gregge;

b) i cani appartenenti ad individui di passaggio nel comune, la cui permanenza non si protragga oltre i due mesi o che paghino già l’imposta in altri comuni;

c) i cani lattanti per il periodo di tempo strettamente necessario all’allattamento e non mai superiore ai due mesi;

d) i cani adibiti ai servizi dell’Esercito ed a quelli di pubblica sicurezza;

e) i cani ricoverati in strutture gestite da enti o associazioni protezionistiche

senza fini di lucro;

f) i cani appartenenti a categorie sociali eventualmente individuate dai comuni. [Articolo abrogato dal D.L. 8/1993]

7. Abrogazione di norme

1. Sono abrogati gli articoli 130, 131, 132, 133, 134 e 135 del testo unico per la finanza locale approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 , e successive modificazioni, e ogni disposizione incompatibile o in contrasto con la presente legge.

8. Istituzione del fondo per l’attuazione della legge

1. A partire dall’esercizio finanziario 1991 è istituito presso il Ministero della sanità un fondo per l’attuazione della presente legge, la cui dotazione è determinata in lire 1 miliardo per il 1991 e in lire 2 miliardi a decorrere dal 1992.

2. Il Ministro della sanità, con proprio decreto, ripartisce annualmente tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano le disponibilità del fondo di cui al comma 1. I criteri per la ripartizione sono determinati con decreto del Ministro della sanità adottato di concerto con il Ministro del tesoro, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all’articolo 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

9. Copertura finanziaria

1. All’onere derivante dalla presente legge, pari a lire 1 miliardo per il 1991, lire 2 miliardi per il 1992 e lire 2 miliardi per il 1993, si fa fronte mediante utilizzo dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l’anno 1991 all’uopo utilizzando l’accantonamento «Prevenzione del randagismo».

2. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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