CASSAZIONE SENT. n. 1272/2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4 del 2014, proposto da:
Ni. De Ma., rappresentata e difesa dall’avvocato An. Sa., con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via (…);
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Municipale, domiciliata in Napoli, piazza (…).
per l’annullamento
– della disposizione dirigenziale n. 485/A del 23 settembre 2013 con cui è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate in Napoli, via (omissis), consistenti nella realizzazione di due soppalchi, rispettivamente di 20 e 16 mq, impostati a 2,00 m dalla copertura e 2,00 dal calpestio;
– di ogni altro atto connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2018 il dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente Ni. De Ma., in qualità di proprietaria del terzo piano dell’immobile sito in Napoli, via (omissis), ha impugnato l’ordine ripristinatorio n. 485/A del 23 settembre 2013 emanato dal dirigente del Comune di Napoli, con il quale si ingiunge di eliminare le opere abusive ivi realizzate (realizzazione di due soppalchi, rispettivamente di 20 e 16 mq, impostati a 2,00 m dalla copertura e 2,00 dal calpestio), articolando censure di
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violazione del procedimento amministrativo e della normativa edilizia (in tema di irrogazione delle sanzioni alternative), nonché per eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti.
L’amministrazione comunale si è costituita in giudizio ed ha chiesto l’inammissibilità dell’impugnazione perché il provvedimento è collegato ad altro atto già impugnato in sede straordinaria e il rigetto del ricorso per infondatezza.
All’udienza pubblica del 21 febbraio 2018 il ricorso è trattenuto in decisione. DIRITTO
1. Il ricorso non merita accoglimento, onde può tralasciarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione della regola dell’alternatività fra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale.
1.1. Occorre premettere che a seguito di accertamenti da parte dei vigili urbani del 13 agosto 1996 si è constatato che la ricorrente, senza alcun titolo edilizio, nel corso di lavori di manutenzione del suo immobile, ha proceduto, fra l’altro, alla realizzazione due soppalchi, rispettivamente di 20 e 16 mq, impostato a 2,00 m dalla copertura e 2,00 dal calpestio.
1.2. Avverso l’ordine di sospensione dei lavori (ord. n. 1775 del 28.11.1996) ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, rigettato con parere del Consiglio di Stato n. 3095 del 2004 e con il d.P.R. del 4 ottobre 2012.
1.3. Il responsabile del Servizio Antiabusivismo, sul presupposto della esistenza di soppalchi di significative dimensioni (descritti in circa 36 mq di superficie complessiva), ne ha ordinato la demolizione, avendo valutato l’intervento quale realizzazione di una nuova superficie abitativa senza alcun titolo edilizio legittimante, ha doverosamente emesso l’ordine demolitorio.
2. Secondo la tesi della ricorrente, la misura demolitoria non terrebbe conto che il Tribunale del Riesame, X Sezione, con ordinanza n. 73448/96 R.G. e n. 1465/96 R.I. Trib. Ries., ha ritenuto l’opera non costituente reato, con il conseguente dissequestro dell’abuso in contestazione.
2.1. Premesso la valutazione dell’intervento edilizio effettuata in sede penale, a maggior ragione nel corso di una delibazione di una misura cautelare, non dispiega efficacia vincolante sul versante della valutazione dell’abuso edilizio in sede amministrativa, giova osservare, in linea generale, che la realizzazione di un soppalco non rientra nell’ambito degli interventi di restauro o risanamento conservativo, ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, qualora determini una modifica della superficie utile dell’appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico (T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II, 23-09-2011, n. 952; T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 11-07-2011, n. 1863; T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 21-03-2011, n. 1586; T.A.R. Campania Napoli Sez. IV Sent., 29-07-2008, n. 9518).
2.2. Osserva il Collegio che la realizzazione di un soppalco può ritenersi rientrare nel concetto di restauro o risanamento conservativo quando per le sue limitate caratteristiche di estensione e per le modeste dimensioni sia tale da escludere la possibilità di creare un ambiente abitativo e, quindi, di incrementare le superfici o il carico urbanistico.
Al riguardo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ritiene ad esempio che la costruzione di un soppalco di modeste dimensioni ad uso deposito o ripostiglio, all’interno di un locale per ottenere la duplice utilizzazione di un vano, è, di regola, opera che, non comportando aumento di volume, né aumento della superficie utile, né modifica della destinazione d’uso dell’immobile, non è riconducibile alla categoria della ristrutturazione edilizia, ricorrendo in tale ipotesi una fattispecie di restauro e risanamento conservativo in quanto si rivela rispettoso delle caratteristiche tipologiche, formali e strutturali dell’edificio e non comporta una destinazione d’uso con esse incompatibile.
2.3. In particolare nel caso in esame la peculiare conformazione strutturale del soppalco e la realizzazione di una superficie comunque rilevante della sopraelevazione (circa 36 mq complessivi) costituiscono elementi che denotano l’astratta vocazione abitativa del soppalco, con la conseguenza che l’opera non può essere considerata una superficie di servizio.
Nel caso di specie si è in presenza di una chiara creazione di ulteriore superficie utile, con la conseguenza che, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, per l’esecuzione dei predetti interventi sarebbe stato sicuramente necessario il previo rilascio del permesso di costruire, trattandosi di opere idonee a incidere sulle superfici.
2.4. Deve, sul punto, essere evidenziato che gli interventi oggetto di causa sono stati realizzati prima della normativa che ha portato alla graduale liberalizzazione delle opere interne (cfr. art. 3 t.u. n. 380 del 2001 come modificato dall’art. 17, comma 1, lett. a), nn. 1) e 2), d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164), nella specie comunque non applicabile in ragione del principio tempus regit actum. Solo a seguito dell’entrata in vigore del citato art. 17 sono da considerarsi interventi di manutenzione straordinaria, ai sensi della novellata lett. b), dell’art. 3, comma 1, del d.p.r. 380/2001, anche quelli che, come nella specie, consistono “nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione di uso”.
2.5. Pertanto non sono ravvisabili elementi atti a configurare la denunziata erroneità dei presupposti, poiché l’ordine ripristinatorio contesta la assenza dei titolo edilizio, certamente necessario nel caso di specie.
Vale appena soggiungere che è onere del privato addurre elementi a giustificazione della legittimità del suo operato, mentre non è stata prodotta in giudizio neanche una denunzia di attività, occorrente anche a voler seguire per assurdo la tesi prospettata dallo stesso ricorrente e, d’altro canto, l’opera è stata realizzata ben prima della normativa che ha portato alla graduale liberalizzazione delle opere interne. In ogni caso la normativa sopravvenuta non potrebbe legittimare opere interne che, come nella specie, siano prive dei requisiti di idoneità degli ambienti abitativi per mancato rispetto delle altezze minime interne.
3. Anche le altre censure prospettate non meritano positivo apprezzamento. In particolare, quanto alla mancata indicazione delle norme urbanistiche violate, osserva il Collegio che la incontestata realizzazione di nuovi superfici, unitamente alla descrizione dell’abuso ed all’indicazione dell’assenza di idoneo titolo edilizio, rendono la motivazione del provvedimento impugnato perfettamente comprensibile dall’interessato.
4. Vanno poi disattese le residue censure che impingono in violazioni ordine procedimentale (violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, omessa comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento, violazione dei termini del procedimento autorizzatorio) che dequotano a mera irregolarità non invalidanti secondo lo schema di cui all’articolo 21 octies della legge n. 241/1990.
5. Né coglie nel segno l’evocato difetto di istruttoria relativamente al raffronto tra l’entità dell’abuso realizzato e la normativa urbanistica vigente, poiché, all’epoca dell’emanazione dell’atto gravato, doveva ritenersi necessario il permesso di costruire quando il soppalco, come nella specie, fosse di dimensioni non modeste e comportasse una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, ai sensi dell’art. 3 comma 1 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, mediante un incremento delle superfici dell’immobile e quindi anche un ulteriore possibile carico urbanistico (cfr. T.A.R. Campania, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 15871 e 27 giugno 2005, n. 8681);
6. Anche la denunziata sproporzione fra la sanzione demolitoria in luogo della sanzione pecuniaria, per la mancata valutazione della “possibilità” della demolizione senza pregiudizio per le parti legittime, non merita seguito.
Invero l’ordine demolitorio costituisce un doveroso passaggio del procedimento repressivo, mentre il giudizio circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria – in applicazione dell’art. 33 comma 2, DPR n. 380/2001 – può essere effettuato solo in una seconda fase, allorquando il destinatario dell’ingiunzione a demolire non vi abbia spontaneamente adempiuto.
7. Infine non è superfluo rammentare che l’amministrazione ha contestato un’ulteriore, ed insuperabile, ragione di contrasto del soppalco con le norme edilizie, consistente nella violazione delle altezze minime stabilite come richieste dal d.m. 5 luglio 1975 (come modificato dal d.M. 9.6.1999) e dall’art. 43, comma 2, della legge n. 457 del 1978, e cioè metri 2,70 tra pavimento e soffitto, per gli ambienti abitativi, e metri 2,40 per i vani accessori.
Tale riferimento normativo è esattamente quello richiamato nel regolamento edilizio del Comune di Napoli, il quale ammette una deroga per i soppalchi destinati a deposito (art. 15 co. 4) in relazione all’altezza massima della parte soppalcata (metri 1,80) ma rimanendo invariata quella del locale sottostante al soppalco.
Ne discende che le opere in contestazione, non rispettando i rapporti di altezza dei locali sottostanti al soppalco (come emerge dai verbali di sopralluogo in atti) sono comunque non legittime e non regolarizzabili.
8. In forza delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto perché infondato; le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciandosi sul ricorso, come in epigrafe proposto lo rigetta. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Napoli, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati: Umberto Maiello – Presidente FF
Michele Buonauro – Consigliere, Estensore
Luca Cestaro – Consigliere