L’anatocismo è un particolare fenomeno giuridico che riguarda la produzione di interessi su interessi a loro volta scaduti.
Quando si contrae un’obbligazione, nel nostro sistema giuridico, o si stipulano particolari tipi di contratti o polizze, una parte può essere tenuta al versamento ed alla restituzione del capitale e degli interessi maturati sulla somma. Dover versare gli interessi non è una prassi inusuale, né tantomeno non consentita, ma esistono particolari situazioni in cui il computo degli interessi, a seconda del tipo di interessi stessi, non è consentito dal nostro ordinamento. Stiamo parlando del fenomeno dell’anatocismo, che può essere di varie tipologie – come vedremo – e che, in linea generale e fatte salve specifiche eccezioni, non è consentito dal nostro sistema legale. Vediamo quindi assieme cosa significa anatocismo, quali tipi di anatocismo esistono e, in particolare, cosa si intende per anatocismo bancario.
Indice
Anatocismo: cosa significa
Prima di entrare nel dettaglio e delineare cosa significa anatocismo bancario, occorre avere presente cosa si intende per anatocismo in generale, e quali tipologie di anatocismo sono previste – e vietate – dal nostro ordinamento. L’anatocismo è quel fenomeno in base al quale gli interessi producono a loro volta interessi: affinchè questo si verifichi, occorre che gli interessi siano scaduti, e che si tratti di una obbligazione pecuniaria (in ambito giuridico, quelli che vengono definiti debiti di valuta). L’anatocismo quindi, già in via definitoria, non può verificarsi nei casi dei debiti di valore, che sono quelli derivanti, ad esempio, dalle obbligazioni che hanno ad oggetto un risarcimento danni. Il nostro codice civile vieta che si possano computare interessi su interessi scaduti, creando quindi quegli interessi che vengono definiti composti, e vietando pertanto di conseguenza gli interessi anatocistici
Anatocismo: tipologie
Come abbiamo anticipato, l’anatocismo non è un fenomeno unitario, in quanto esistono varie tipologie di anatocismo. Anche se la capitalizzazione degli interessi non è consentita, secondo le previsioni del codice civile, tuttavia il legislatore ha stabilito alcuni casi [1] in cui è possibile che si verifichi l’anatocismo, per quanto riguarda gli interessi scaduti e dovuti da almeno sei mesi: anatocismo convenzionale, anatocismo giudiziale ed anatocismo usuale.
Anatocismo convenzionale
L’anatocismo convenzionale è quel tipo di anatocismo nel quale c’è stato un accordo, al riguardo, fra le parti, e quindi una apposita convenzione contenente un accordo – successivo alla scadenza degli interessi – che sancisce come gli interessi scaduti potranno a loro volta produrre interessi.
Anatocismo giudiziale
L’anatocismo giudiziale, come dice l’aggettivo stesso, indica quel tipo di anatocismo ammesso per legge che si realizza a seguito di una domanda giudiziale – successiva alla scadenza degli interessi – relativa nello specifico al riconoscimento e quindi all’ottenimento di interessi di tipo anatocistico in corso di causa. Giudiziale dunque perchè gli interessi anatocistici verrebbero eventualmente riconosciuti in ambito giudiziale, dal giudice chiamato a pronunciarsi su quella specifica questione controversa.
Anatocismo usuale
Col i termini anatocismo usuale ci si riferisce all’anatocismo regolato dagli usi. Gli usi possono essere di due tipi, normativi o negoziali, a seconda che siano norme giurdiche o siano rilevanti solamente per l’integrazione degli effetti del contratto. Secondo quanto previsto dal nostro codice civile, è fatto salvo l’anatocismo se regolato da usi definiti contrari, che sono quelli normativi. Gli usi normativi sono quelli caratterizzati da un comportamento costante dei consociati, che si reitera e ripete nel corso del tempo perchè ritenuto corretto e doveroso.
Anatocismo bancario
Una particolare tipologia di anatocismo è quello che viene definito anatocismo bancario. Con la dicitura anatocismo bancario si intende la prassi degli istituti bancari di computare, capitalizzandoli, gli interessi trimestrali dovuti dai clienti che abbiano in essere un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente. La disciplina dell’anatocismo bancario è stata alternante nel corso del tempo, in quanto sono intervenute al riguardo numerose pronunce della corte di cassazione e diversi decreti e leggi.
Fino al 1999, gli istituti bancari applicavano norme bancarie uniformi, che prevedevano come abbiamo anticipato una capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti, e le facevano rientrare nella categoria degli usi normativi, che come visto sono compresi fra quegli usi contrari che, per legge, consentono di applicare interessi anatocistici. La corte di cassazione interviene una prima volta nel 1999 [2], stabilendo che in realtà le clausole contenute nei contratti bancari, e che prevedevano appunto la capitalizzazione trimestrale degli interessi, erano da qualificarsi quali usi negoziali e non normativi, e pertanto illegittime. Le clausole contenute nei contratti bancari erano quindi nulle in quanto aventi natura pattizia e negoziale, e non normativa.
Per evitare che fioccassero le richieste di restituzione delle somme versate dai clienti, intervenne il legislatore con un apposito decreto, chiamato non a caso salva banche [3], che prevedeva tra l’altro la validità delle clausole riguardanti la produzione di interessi anatocistici presenti nei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore di una delibera del Comitato Interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), che aveva avuto l’incarico di determinare quali clausole fossero efficaci a produrre interessi anatocistici nell’esercizio dell’attività bancaria. Dato che il CICR, in un secondo momento, ritenne con delibera che l’anatocismo bancario trimestrale fosse legittimo sia per i contratti già stipulati che per quelli futuri, intervenne la corte costituzionale [4] dichiarando incostituzionale il decreto salva banche e ripristinando la situazione secondo quanto già affermato dalla corte di cassazione: le clausole dei contratti bancari sono usi negoziali, quindi nulle.
Questo indirizzo è stato successivamente confermato dalla stessa corte di cassazione [5], che è inoltre intervenuta per chiarire [6] se la richiesta da parte dei correntisti della restituzione delle somme non dovute alla banca fosse soggetta a termini di prescrizione. I giudici di legittimità hanno stabilito al riguardo che per i rapporti di conto corrente svolti e chiusi in data antecedente al 22 aprile 2000 la prescrizione è decennale, e va contata a partire dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto corrente. Anche dopo questa sentenza il legislatore è intervenuto, sancendo con un decreto [7] che la prescrizione doveva ritenersi operante a partire non dalla chiusura del conto, ma dal giorno di ogni singola annotazione dei versamenti effettuati dai clienti per ripristinare gli interessi passivi già addebitati sul conto. Nuovamente, la corte costituzionale [8] ha dichiarato incostituzionale il decreto mille proroghe del 2010.
Con la legge di stabilità del 2014 [9], infine, viene ancora modificato il testo unico bancario, stabilendo come gli interessi capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori, sancendo quindi l’illegittimità delle pratiche anatocistiche e il principio generale del divieto di produzione di interessi su interessi. Le modifiche tuttavia non sono terminate, in quanto nuovamente nel 2016 [10] un ulteriore decreto salva banche ha modificato il testo unico bancario, mantenendo fermo il divieto generale di capitalizzazione degli interessi ma prevedendone la legittimità in caso di interessi moratori e di interessi maturati sul saldo passivo dei conti correnti.
note
[1] Art. 1283 cod. civ.
[2] Sent. Cass. n. 12507 dell’11 novembre 1999 e n. 2374 del 16 marzo 1999.
[3] D. Lgs. n. 342 del 4 agosto 1999.
[4] Sent. n. 425 del 17 ottobre 2000.
[5] Sent. Cass. Sez. unite n. 21095 del 4 novembre 2004.
[6] Sent. Cass. Sez. unite n. 24418 del 2 dicembre 2010.
[7] D.L. n. 225 del 29 dicembre 2010, convertito dalla L. n. 10 del 26 febbraio 2011.
[8] Sent. n. 78 del 5 aprile 2012.
[9] L. n. 147 del 27 dicembre 2013.
[10] D.L. n. 18 del 14 febbraio 2016 convertito con modificazioni dalla L. n. 49 dell’8 aprile 2016.
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