Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 1 marzo – 22 maggio 2018, n. 12610
Presidente Frasca – Relatore De Stefano
Fatto e diritto
rilevato che:
G.S. ricorre, affidandosi ad un motivo con atto notificato il 27/03/2017, per la cassazione della sentenza n. 171 del 23/01/2017 del Tribunale di Taranto (notificata il 03/02/2017), con cui, per quel che in questa sede ancora rileva, è stato rigettato il suo appello avverso la condanna, pronunziata dal Giudice di pace di Grottaglie nei suoi confronti ed in favore di C.M. , per il risarcimento dei danni da lui cagionati per avere investito, a bordo del proprio velocipede, l’autovettura della controparte invadendo la corsia di pertinenza di questa;
l’intimata non espleta attività difensiva in questa sede;
è formulata proposta di definizione – per manifesta infondatezza – in camera di consiglio ai sensi del primo comma dell’art. 380-bis cod. proc. civ., come modificato dal comma 1, lett. e), dell’art. 1-bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. dalla I. 25 ottobre 2016, n. 197;
considerato che:
il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata;
il ricorrente si duole di “violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 cod. civ. in relazione all’art. 360, n. 3) e n. 5) c.p.c.”, lamentando la carenza di accertamento sull’irreprensibilità della condotta di guida del conducente del veicolo antagonista (invocando sul punto Cass. 24860/10), invece da escludersi in base ad una più attenta valutazione del materiale istruttorio;
ora, si osservi che il Tribunale ha nei fatti escluso l’evitabilità dell’impatto da parte della C. , là dove ha valutato che ella non avrebbe potuto impedire la collisione mentre stava percorrendo il proprio senso di marcia e così casualmente incrociando l’autovettura che il ciclista, con estrema avventatezza, aveva deciso di sorpassare senza che le condizioni di sicurezza imposte dalle norme espressamente richiamate glielo consentissero (v. pag. 3, secondo capoverso, della sentenza impugnata);
ora è noto che, in tema di responsabilità civile per i sinistri occorsi nella circolazione stradale, la presunzione di colpa prevista in egual misura a carico dei conducenti dall’art. 2054, comma 2, cod. civ., ha funzione meramente sussidiaria, operando solo quando è impossibile determinare la concreta misura delle rispettive responsabilità, sicché, ove risulti accertata l’esclusiva colpa di uno di essi, l’altro conducente è esonerato dalla presunzione, né è tenuto a provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (Cass. 22/09/2015, n. 18631; Cass. ord. 16/02/2017, n. 4130);
infatti, la regola di diritto invocata dal ricorrente non impone di considerare uguale l’apporto causale colposo di ciascuno dei conducenti dei mezzi coinvolti in uno scontro solo perché non sia stato provato che uno dei due abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma consente invece che la colpa presunta di uno dei due possa concorrere con quella accertata dall’altro anche con apporto percentuale diverso da quello paritetico (per tutte: Cass. 12/10/2011, n. 20982; Cass. 14/06/2012, n. 9729): in altri termini, la presunzione di eguale concorso di colpa stabilita dall’art. 2054 cod. civ., comma 2, ha funzione sussidiaria, operando soltanto nel caso in cui le risultanze probatorie non consentano di accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso e di attribuire le effettive responsabilità del sinistro (tra le altre: Cass. 05/12/2011, n. 26004);
così, l’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti libera l’altro dalla presunzione della concorrente responsabilità di cui all’art. 2054 cod. civ., comma 2, nonché dall’onere di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno; e la prova liberatoria per il superamento di detta presunzione di colpa non deve necessariamente essere fornita in modo diretto – e cioè dimostrando di non aver arrecato apporto causale alla produzione dell’incidente – ma può anche indirettamente risultare tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo dell’evento dannoso con il comportamento dell’altro conducente (Cass. 22/04/2009, n. 9550; Cass. 27/04/2011, n. 9425; Cass. 07/06/2011, n. 12277);
alla ricostruzione in fatto, che il ricorrente pretende di rivalutare in questa sede, deve poi riconoscersi l’incensurabilità nel giudizio di legittimità, a maggior ragione dopo la novella del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. Un. nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014), rimanendo comunque gli apprezzamenti di fatto – se scevri, come lo sono nella specie, da quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle or ora richiamate pronunzie delle Sezioni Unite – istituzionalmente riservati al giudice del merito (tanto corrispondendo a consolidato insegnamento, su cui, per tutte, v. Cass. Sez. Un., n. 20412 del 2015, ove ulteriori riferimenti);
pertanto, non solo correttamente è stata esclusa, nella specie, la concorrente responsabilità del conducente dell’autovettura, ma tale ricostruzione è incensurabile ed il relativo mezzo di doglianza è inammissibile e, con esso, il ricorso nel suo complesso; ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, per non avervi svolto attività difensiva l’intimata;
infine, si deve pure dare atto – senza possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso da lui proposto, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.