Controlli difensivi occulti: cosa sono?


Le aziende possono installare apparecchiature non visibili di videosorveglianza anche da parte di personale esterno, al fine di salvaguardare il patrimonio aziendale da comportamenti illeciti di dipendenti.
La Corte di Cassazione [1], si è nuovamente pronunciata in tema di videosorveglianza nei luoghi di lavoro, con particolare riferimento ai cosiddetti controlli difensivi occulti, confermando il proprio orientamento secondo il quale questi possono risultare legittimi anche in assenza di un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali” [2]. Di cosa si tratta? I controlli difensivi sono tutti quegli accertamenti, solitamente effettuati con strumenti audiovisivi, posti in essere dal datore di lavoro e diretti ad accertare comportamenti illeciti dei dipendenti, quali furti, danneggiamenti e così via. Essi possono essere anche “occulti” quando sono nascosti, ossia on visibili e non comunicati ai sindacati.
Come detto, questi tipi di controlli, ossia i “controlli difensivi occulti” non è necessitano di preventivo accordo con le organizzazioni sindacali.
Il caso che ha derivato la sentenza della Corte di Cassazione, di cui sopra, aveva ad oggetto il licenziamento disciplinare del dipendente di un ipermercato il quale si era reso colpevole di aver preso e utilizzato per uso personale alcuni prodotti dal reparto dolciumi del magazzino, violando gli obblighi connessi alla propria mansione e venendo meno al dovere di custodia dei prodotti aziendali. In poche parole, ha rubato dei prodotti.
Il comportamento del dipendente era stato accertato a seguito dell’installazione nel magazzino di una telecamera da parte di un’agenzia investigativa a tal fine appositamente assoldata dal datore di lavoro. Dalle registrazioni era emerso come i furti si fossero verificati in maniera reiterata in ben nove occasioni nell’arco di appena sei giorni. Ciò ha indotto il datore di lavoro a licenziare il soggetto.
La Corte d’Appello di Perugia aveva precedentemente rigettato in toto le domande dell’ex-dipendente tese ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli. Il lavoratore aveva quindi proposto ricorso per Cassazione avverso alla predetta sentenza di secondo grado, lamentando, fra l’altro, l’illegittimità dei controlli svolti dal datore di lavoro.
I giudici della Cassazione, dopo aver ripercorso l’evoluzione giurisprudenziale in tema di “controlli difensivi occulti”, ne ribadivano la «tendenziale ammissibilità», anche nel caso in cui questi vengano svolti da personale estraneo all’organizzazione aziendale, «in quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa […] ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti […] e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale» [3]. Tale interpretazione deve considerarsi il risultato di un ragionevole contemperamento tra le esigenze di tutela del diritto alla dignità e libertà del lavoratore nell’esercizio delle sue prestazioni e del libero esercizio dell’attività imprenditoriale.
In altre parole, i controlli difensivi occulti sono ammissibili se non mirano solamente al controllo della normale attività lavorativa dei dipendenti ma sono tesi principalmente alla protezione dell’azienda da comportamenti illeciti extralavorativi quali furti, danneggiamenti e così via.
Infatti, la Corte ha proseguito affermando che l’installazione di impianti e apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa, né risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori «non è soggetta alla disciplina dell’art. 4, comma 2 Statuto dei Lavoratori», questo in quanto «non risponderebbe ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore – in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente o con la sanzione espulsiva – una tutela alla sua “persona” maggiore di quella riconosciuta ai terzi estranei all’impresa».
Nel caso di specie, già in sede di appello la Corte d’Appello aveva stabilito che le modalità con cui la società investigativa aveva installato la telecamera (rivolta unicamente verso lo scaffale dei prodotti dolciari, le cui operazioni di movimentazione erano affidate ai fornitori e non ai dipendenti) erano pienamente «rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, non avendo “ad oggetto l’attività lavorativa più propriamente detta ed il suo esatto adempimento”» e risultando pertanto «non peculiarmente invasive».
Per questo motivo la Cassazione, ritenuta fondata e debitamente motivata la decisione emanata dalla Corte di Appello, ha rigettato il ricorso dell’ex-dipendente, rilevando inoltre la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato per processo inutile e costoso.
In ogni caso, dice la Corte, bisogna tenere presente che la vigilanza sul lavoro, anche qualora risulti necessaria ai fini dell’organizzazione produttiva, deve mantenere «una dimensione umana, e cioè non esasperata dall’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro».
note
[1] Cass. sent. n. 10636/2017.
[2] Cfr. art. 4, secondo comma della Legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori)
[3] Cfr. Cass. sent. n. 10955/2015.