Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 maggio – 13 giugno 2018, n. 27222
Presidente Di Tomassi – Relatore Barone
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 14 settembre 2017, il Tribunale di Padova condannava Be. Pi. alla pena di 500 Euro di ammenda per il reato di cui all’art. 660 cod. pen. (con le relative statuizioni civili in favore della parte civile costituita).
Secondo la contestazione l’imputato, col mezzo del proprio telefono cellulare molestava, per biasimevoli motivi, Gi. Ba., «inviandogli [in un arco temporale compreso tra l’I giugno ed il 10 agosto 2013] messaggi minatori ed ingiuriosi alla segreteria telefonica telefonandogli più volte senza parlare».
2. Avverso la sentenza proponeva appello il difensore di fiducia del Be., deducendo quanto segue:
2.1. Nullità dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. e conseguente invalidità derivata degli atti successivi e della sentenza impugnata.
2.2. Carenza degli elementi costitutivi del reato in quanto le condotte in contestazione, costituite da una sola telefonata “parlata” e altre “mute” possono al più integrare gli estremi della minaccia ma non della molestia, difettando i caratteri della petulanza e della insistenza (nessun confronto se non confutativo con la motivazione).
Eccepisce che in ogni caso la mancanza di prova certa della riconducibilità all’imputato della condotta in contestazione (generico non si confronta con la motivazione).
2.3. Erronea esclusione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen..
2.4. Eccessività della pena e delle statuizioni civili, per effetto anche della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (qualche dubbio perché sulle generiche nessun riferimento).
Considerato in diritto
1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
2. La questione relativa alla nullità dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. era stata già proposta nel corso del giudizio di merito e respinta dal tribunale (verbale di udienza del 31 gennaio 2017) in ragione del fatto che la comunicazione della modifica del domicilio dichiarato da parte dell’imputato non era stata formalizzata nelle forme richieste dall’art. 162 cod. proc. pen. e che, al riguardo, nessuna valenza poteva essere riconosciuta alla comunicazione del cambio di residenza che non conteneva alcun riferimento al domicilio dichiarato; priva di rilievo era, altresì, da considerare la rituale indicazione del cambio di domicilio dichiarato, contenuta nella nomina del nuovo difensore di fiducia, essendo questa intervenuta dopo l’avviso ai sensi dell’art. 415 bis cod. proc. pen..
Il ricorrente non contesta in punto di fatto la ricostruzione operata dal tribunale, ma ritiene che la comunicazione del mutamento di residenza, effettuata prima del compimento dell’atto di cui eccepisce la nullità, «palesava espressamente la volontà di ricevere le future notificazioni presso tale nuovo indirizzo».
La difesa richiama un datato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui è affetta da nullità la notificazione eseguita presso il difensore dell’imputato a norma dell’art. 161, comma quarto, cod. proc. pen., allorché sia noto, benché non comunicato formalmente, il nuovo domicilio dell’imputato (Sez. 2, n. 25671 del 19/05/2009, Sistro, Rv. 244167; Sez. 2, n. 45565 del 21/10/2009, Esposito, Rv. 245629).
L’assunto è infondato.
La Corte è, invero, ormai stabile nell’affermare l’opposto principio (cui correttamente si è conformato il Tribunale di Padova e al quale il Collegio intende dare seguito) secondo cui non è consentita alcuna deroga all’espressa previsione dell’art. 161, comma 1, cod. proc. pen., che impone l’obbligo di comunicare il mutamento del domicilio dichiarato o eletto stabilendo che, in caso contrario, la notifica sia eseguita mediante consegna al difensore; il diverso recapito o luogo di residenza è irrilevante ex art. 161, cit., ove non abbia formato oggetto di comunicazione, ex art. 162 cod. proc. pen.. (Sez. 5, n. 51613 del 11/10/2017, Pescatore, Rv. 271627; Sez. 5, n. 31641 del 01/06/2016, Leonardi, Rv. 267428; Sez. 5, n. 42399 del 18/09/2009, Dona, Rv. 245819).
3. Il secondo, il terzo e il quarto motivo sono aspecifici in quanto si esauriscono in una rilettura degli elementi di prova alternativa e confutativa di quella contenuta nella sentenza impugnata, senza, tuttavia, evidenziare di quest’ultima profili di illogicità.
Per converso, la decisione del tribunale appare ben argomentata, secondo una coerente e convincente disamina della piattaforma probatoria, dalla quale il giudice ha tratto il proprio convincimento in ordine
– alla sussistenza del reato in contestazione e della sua riconducibilità al Be. «essendovi, al riguardo, la prova documentale della provenienza dall’utenza telefonica di cui il predetto era, all’epoca dei fatti, reale utilizzatore e non essendo emersa alcuna ragione per dubitare delle dichiarazioni della persona offesa (del resto conformi alle risultanze documentali) nel loro complesso e specificatamente laddove ha riferito della telefonata con la quale il Be. si è identificato e scusato»;
– alla esclusione della invocata causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., ostandovi, in tal senso, il numero delle telefonate poste in essere dall’imputato in danno della persona offesa e le minacce profferite in talune di queste, incompatibili con una offesa che possa essere ritenuta tenue;
– alla determinazione della pena, calcolata dal giudice, rifuggendo dall’utilizzo di mere formule di stile, ma richiamando i criteri previsti dall’art. 133 cod. pen. ed in particolare l’entità del fatto rapportato alla durata della condotta ed il comportamento dell’imputato successivo al fatto. Coerente con questa parte del decisum il tribunale ha proceduto, altresì, alla liquidazione del danno subito dalla persona offesa.
Del tutto generica, infine, in quanto meramente assertiva, è da ritenere la doglianza del ricorrente in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.