Screenshot: la stampa della schermata è prova?


La stampa di una schermata di un computer vale come prova, e la cassazione precisa in che termini.
Fare una foto o un screenshot dello schermo di un dispositivo mobile, oppure stampare una schermata di un computer, sono tutte attività che vengono compiute grossomodo giornalmente da quasi tutti, nelle relazioni personali come in quelle di natura professionale. L’utilizzo sempre più diffuso di questi screenshot, foto, e stampe ha quindi di necessità obbligato anche il mondo del diritto a rapportarsi con le nuove tecnologie, tenuto conto del fatto che la loro produzione in un giudizio, e quindi il loro utilizzo in un processo e la possibilità che possano essere fatte valere come prove non sono più questioni rare e lontane, ma oramai quotidiane. Vediamo quindi se la stampa di una schermata di un computer può essere fatta valere come prova in una causa e, se sì, cosa occorre e a quali condizioni.
Indice
Screenshot: cosa significa
Per comprendere quale sia il valore probatorio di uno screenshot, e cosa occorre fare per dimostrarne l’autenticità, occorre preliminarmente definire cosa si intende con screenshot. Nonostante la terminologia inglese, ormai anche in italiano si utilizza questa parola per identificare la fotografia istantanea dello schermo di un dispositivo mobile o di un computer, che poi può essere trasmessa a sua volta via posta elettronica o sulle chat di messaggistica istantanea e, naturalmente, stampata.
Una volta chiarito il significato del termine screenshot, vediamo se la stampa della schermata di una conversazione o in generale di uno screenshot può valere come prova.
Screenshot: a cosa potrebbe servire e valore probatorio
Data l’estrema diffusione dell’uso delle nuove tecnologie e, specialmente, dei telefoni cellulari, era inevitabile che gli screenshot entrassero anche a far parte del mondo del diritto, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo dello screenshot come prova in sede giudiziale. Si tratta infatti di strumenti particolarmente versatili, che consentono di estrarre e fotografare ad esempio conversazioni private fra le parti, da produrre in un giudizio per provare a dimostrare una determinata tesi. Le possibilità sono potenzialmente infinite, basti pensare ai casi di divorzio e screenshot di una relazione extraconiugale, o ancora ai processi per stalking, o molestie e minaccia, nei quali gli screenshot riportano le frasi offensive ed ingiuriose delle quali si è stati vittime, nonché il numero eccessivo di telefonate o sms ricevuti, con relative date ed corrispettivi orari. Insomma, uno screenshot può essere utile per provare la propria situazione e tesi in giudizio, dimostrando le condotte altrui, e quindi bisogna qualificarlo dal punto di vista tecnico – legale, inquadrandolo – se possibile e ammissibile – fra le prove che il nostro ordinamento già prevede, dal momento che, come è ovvio, non esiste una precisa regolamentazione per uno strumento informatico che soltanto di recente è diventato così diffuso ed utilizzato. Sotto il profilo probatorio, secondo la ricostruzione della corte di cassazione in un caso recente [1], dallo screenshot si evincono dati di carattere informatico che possono essere fatti rientrare fra le prove di tipo documentale, secondo quanto previsto dal nostro codice di procedura penale [2]. Estrarre questi dati, inoltre, è obiettivamente semplice, e pertanto questa attività può definirsi come un’operazione di tipo meramente meccanico, che si può svolgere senza necessità di specifiche procedure e che non costituisce un accertamento tecnico irrepitibile. Questo inquadramento, inoltre, comporta un’ulteriore conseguenza sotto il profilo dell’autenticazione dello screenshot stesso.
Screenshot e autenticazione del pubblico ufficiale
La giurisprudenza, in questo settore, non è ancora uniforme, e le sentenze in materia non hanno orientamenti costanti riguardo il valore probatorio di uno screenshot. Specialmente per quanto riguarda i profili probatori delle stampe delle schermate, da personal computer o da telefono cellulare, la nostra giurisprudenza continua ad aggiungere tasselli nuovi alla disciplina con elevata frequenza, delineando un quadro in continua evoluzione di cosa abbia effettivo valore legale e probatorio. È recentissima al riguardo una sentenza della corte di cassazione che ha riconosciuto valore legale alla stampa di una schermata di pc contenete alcuni articoli – a contenuto suppostamente diffamatorio – privi di autenticazione notarile. In altri termini, secondo la ricostruzione dei giudici di legittimità, non occorre che un pubblico ufficiale certifichi ed attesti l’autenticità della stampa e la sua corrispondenza alla videata originale del sito internet da cui la stampa è originata, in quanto i dati informatici costituiscono prova documentale ricavabile mediante quella che la corte di cassazione ha definito «un’operazione meramente meccanica eseguibile senza l’assistenza di particolari garanzie», cioè la stampa della schermata video.
L’eventuale contraffazione dello screenshot, o la possibile modifica del documento successiva attraverso appositi programmi informatici deve essere specificamente fatta valere durante il giudizio dalla parte che vuole far disconoscere l’autenticità del documento prodotto, in quanto non è sufficiente che manchi l’attestazione notarile per far considerare non probatoriamente valido il documento stampato prodotto a sostegno delle proprie ragioni. Come sottolineato nella decisione, infatti, qualsiasi documento che sia stato legittimamente acquisito agli atti di causa ha valore probatorio ed è liberamente valutabile dal giudice, anche se manca di certificazione ufficiale di conformità oppure se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto.
note
[1] Art. 234 cod. proc. pen.
[2] Sent. Cass. n. 8736 del 22 febbraio 2018.
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