Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 20 marzo – 11 luglio 2018, n. 18260
Presidente Bronzini – Relatore Balestrieri
Rilevato che
Con ricorso 6.3.06, Fr. Ra., dipendente di Poste Italiane s.p.a., adiva il Tribunale di Napoli lamentando la sua perdurante adibizione a mansioni inferiori rispetto a quelle svolte in precedenza, ed accertate dalla precedente sentenza n. 5890\00 del medesimo Tribunale (attività di installazione, manutenzione e disattivazione di apparecchiature anche complesse; meccanizzazione postale), e chiedendo la condanna della società al risarcimento del danno alla professionalità subito.
Il Tribunale, con sentenza del 20.12.07, accoglieva la domanda, condannando la società Poste al risarcimento del danno richiesto. Avverso tale sentenza proponeva appello Poste; resisteva il Ra.. Con sentenza depositata il 3.7.12, la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame, ritenendo del tutto inferiori le mansioni affidate al Ra. a seguito della citata sentenza n. 5890\00 del Tribunale di Napoli e provato, quanto meno in via presuntiva, il lamentato danno alla professionalità.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società Poste, affidato a quattro motivi, cui resiste il Ra. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato
Che con il primo motivo la società ricorrente denuncia la omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c), lamentando che la sentenza impugnata aveva ritenuto erroneamente non contestate le mansioni da ultimo assegnate al lavoratore, in tesi dequalificanti, laddove la società aveva dedotto in sede di costituzione in appello, che a fronte: delle dedotte mansioni tecniche svolte dal lavoratore prima dell’8.2.1999, quelle di ripartizione della corrispondenza svolte sino al 21.5.2006 riguardavano in realtà la video codifica; che successivamente il Ra. era stato assegnato alla soppressione dell’ex ETM e con decorrenza 8/2/1999 alle seguenti mansioni: CMP Napoli: dal 5/2/1999 al 21/5/2006 ripartizione della corrispondenza meccanizzata; CMP Napoli: dal 22/5/2-006 attività di videocodifica.
2.- Che con il secondo motivo la società denuncia una insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.), lamentando che la sentenza impugnata non valutò l’impossibilità di affidare al Ra. le mansioni da questi precedentemente svolte, causa la riorganizzazione aziendale e la soppressione di tali mansioni.
2.1- Che i primi due motivi, esaminabili congiuntamente stante la loro connessione, sono inammissibili: il primo perché denuncia come vizio motivo (art. 360, co.1, n. 5) una violazione di norme processuali (co.1. n. 4 c.p.c); in ogni caso, entrambi, in quanto diretti a censurare la congrua motivazione al riguardo adottata dalla Corte di merito, e prima ancora dal Tribunale, senza chiarire adeguatamente le ragioni per cui essa sarebbe erronea.
Che la Corte di merito ha in particolare evidenziato che il Tribunale aveva accertato che le mansioni successivamente assegnate al Ra. erano deteriori rispetto a quelle precedentemente svolte sino all’8.2.99, e che le relative deduzioni del ricorrente non erano state adeguatamente contestate da Poste in primo grado. A nulla rileva pertanto quanto la società deduce di aver esposto nella memoria di costituzione in appel.lo, né le generiche circostanze in tesi dedotte con la memoria di costituzione in primo grado, atti che peraltro non risultano depositati ex art. 369, co.2, n. 4 c.p.c.
Che in ogni caso non è adeguatamente esposto dalla società perché le mansioni indicate come svolte dal Ra. dal febbraio 1999 fossero equivalenti a quelle svolte nel periodo precedente.
Che entrambe le censure, e segnatamente la seconda, sono poi redatte mediante assemblaggio di parti espositive e riproduzione fotostatica dei precedenti scritti difensivi, affidando alla Corte la selezione delle parti rilevanti e così una individuazione e valutazione dei fatti, preclusa al giudice di legittimità (Cass. 7 febbraio 2012 n.1716)
3.-Che con il terzo e quarto motivo la società denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., quanto al risarcimento del danno riconosciuto, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.)., quanto al riconoscimento del danno professionale lamentato.
Che i motivi, che possono congiuntamente esaminarsi stante la loro connessione, sono infondati. Deve infatti innanzitutto evidenziarsi che nella specie non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 2697, che ripartisce l’onere della prova e non già i risultati di essa. Nella specie la sentenza impugnata ha applicato i principi enunciati nel a nota sentenza resa a S.U. da questa Corte (n.6752\06, e successiva conforme giurisprudenza), secondo cui il danno alla professionalità deve essere provato dal lavoratore, non esistendo nell’ordinamento un danno normativo o in re ipsa, e tuttavia tale danno può essere provato anche in via presuntiva, essendo le presunzioni un valido strumento di prova, di rango non inferiore a quella testimoniale o documentale, che possono essere impiegate anche in via esclusiva dal giudice per la formazione del suo convincimento (cfr. altresì Cass. n. 13819/2003; Cass. n. 9834/2002, .etc), tenendo conto in particolare della durata e gravità del demansionamento. Nella specie la sentenza impugnata ha infatti accertato, alla stessa stregua del Tribunale, che il Ra., dapprima e per lunghi anni addetto a mansioni specializzate di installazione, manutenzione e disattivazione di apparecchiature anche complesse ed in particolare di manutenzione di impianti di meccanizzazione postale necessitanti corrispondenti ed elevate cognizioni tecniche, dal febbraio 1999 venne adibito a mansioni elementari e ripetitive.
Che la Corte ha anche valutato la gravità dell’inadempimento, la sua lunga durata, per di più anche in presenza di provvedimenti giurisdizionali emessi a tutela della professionalità del Ra. (sentenza n. 5890\00 del medesimo Tribunale di Napoli).
4. Che la sentenza impugnata resiste pertanto alle censure mossele, sicché il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, vanno distratte in favore del difensore del Ra., dichiaratosi antecipante.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro.200,00 per esborsi, Euro.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. G. Ru.. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.