Fecondazione assistita: il padre consenziente può poi disconoscere il figlio?


Sono sposato da 24 anni, non ho figli e vivo una vita serena con mia moglie. Tre anni fa ho avuto una relazione segreta al di fuori del matrimonio con una donna di 47 anni. Dal momento che voleva un figlio da me, non riuscendoci in modo naturale, siamo ricorsi ai centri di inseminazione artificiale, prima in Italia con esito negativo poi in Spagna, dove è rimasta incinta con la donazione del mio seme trasportato in Spagna e gli ovociti dati da una donatrice spagnola rimasta anonima, come previsto dalla legge. Il nascituro nascerà in Italia e io non voglio riconoscerlo. Questa donna minaccia di portarmi davanti al tribunale per il riconoscimento. Cosa prevede la legge italiana a tal proposito? Sono tutelato?
Un caso del tutto analogo a quello in esame è stato affrontato recentemente dalla Corte di Cassazione (ordinanza n. 30294 del 18 dicembre 2017): due coniugi si recavano presso un istituto spagnolo per effettuare un’inseminazione eterologa; il marito successivamente comunicava la revoca del proprio consenso, che era stato espresso nel contratto con detto istituto. Alla fecondazione assistita si procedeva ugualmente e il figlio nasceva. Egli quindi conveniva in giudizio il figlio, in persona del curatore speciale, e la moglie, perché venisse dichiarato che non era il padre. La Corte di Cassazione dà torto all’uomo sulla scorta delle seguenti osservazioni.
La disciplina della fecondazione assistita è contenuta nella legge 19 febbraio 2004, n. 40; l’art. 9 dispone che, qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità, nemmeno quando sia affetto da impotenza; mentre la possibilità per il coniuge o il partner di revocare la volontà manifestata è prevista dall’art. 6, che però individua nel momento della fecondazione dell’ovulo il limite temporale oltre il quale tale facoltà cessa. La Cassazione osserva come permettere la revoca del consenso, anche in un momento successivo alla fecondazione dell’ovulo, sembrerebbe incompatibile con la tutela costituzionale degli embrioni, più volte affermata dalla Consulta (v., tra le altre, Corte Cost. 151/2009 e 229/2015). Così testualmente: «Va ancora ricordato l’insegnamento della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 347 del 1198) e di questa Corte (Cass. N. 2315 del 1999), secondo cui l’attribuzione dell’azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo ed assistenziale, stante l’impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota; e, ancora, questa Corte (Cass. N. 5653 del 2012) ha precisato che non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta la preminenza della verità biologica rispetto a quella legale».
Nella fattispecie affrontata dalla Cassazione il marito revocava il proprio consenso in un momento successivo alla data in cui era iniziato il trattamento embrionale e non veniva poi dimostrato che la revoca fosse intervenuta prima dell’attivazione della tecnica di preparazione dell’embrione ovvero della fecondazione dell’ovulo destinato all’impianto.
Nel caso specifico, tra l’altro, il lettore non può disconoscere il nascituro anche per una ragione biologica, poiché dal quesito si desume che questi abbia volontariamente donato il seme e abbia prestato il consenso alla fecondazione eterologa. Il caso affrontato dalla Cassazione, pur negando il disconoscimento, riguardava l’ipotesi in cui il seme donato fosse di un terzo, estraneo al rapporto.
In sintesi, a parere dello scrivente non è possibile agire nel senso dal lettore desiderato.
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Mariano Acquaviva