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Sostituzione dipendente licenziato: è legittima?

22 Marzo 2022
Sostituzione dipendente licenziato: è legittima?

È valido un licenziamento se, subito dopo, c’è assunzione di altri dipendenti? 

Hai ricevuto una lettera di licenziamento. «Riduzione del personale e riassetto organizzativo dell’azienda» è la motivazione. In buona sostanza il datore di lavoro ritiene che le mansioni a cui tu sei stato sino ad oggi adibito debbano essere soppresse o, comunque, ridimensionate. Lo scopo è “spendere di meno” per il personale. Ciò che ti lascia maggiormente meravigliato però non è tanto che l’impresa continui a svolgere regolarmente la sua attività e, anzi, il fatturato non sembri affatto diminuito, quanto il fatto che, poche settimane dopo il tuo licenziamento, al tuo posto è stata assunta un’altra persona. In buona sostanza sei stato rimpiazzato con un altro mai visto prima. Sei intenzionato a far valere le tue ragioni e a contestare il licenziamento, a tuo avviso nullo. Quali sono i tuoi diritti? È legittima la sostituzione del dipendente licenziato? La questione è stata  trattata da una sentenza della Cassazione [1]. La pronuncia è particolarmente interessante perché segna lo spartiacque tra ciò che l’azienda può fare con ciò che invece è considerato illegale.

In questo articolo faremo la sintesi dello stato attuale della giurisprudenza in merito al cosiddetto licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quello cioè che trova causa non in un comportamento colpevole del dipendente (nel qual caso avremmo invece parlato di «licenziamento disciplinare») ma in una crisi o una ristrutturazione aziendale, nella cessione del ramo d’azienda, nella soppressione delle mansioni o, più semplicemente, nell’esigenza di razionalizzare e rendere più efficienti le risorse lavorative, anche nell’ottica di massimizzare il profitto.

Ci soffermeremo, poi, sulla possibilità che incontra il datore di lavoro di licenziare un dipendente ritenuto non più utile e, a fronte di ciò, sostituirlo con un altro appena assunto. In pratica, valuteremo se è possibile contestare un licenziamento in tribunale e ottenere il risarcimento del danno quando, a seguito di esso, il datore ha adibito alle stesse mansioni un’altra persona, così ammettendo che alcuna soppressione della posizione c’è in realtà mai stata.

Licenziamento per soppressione del posto: quando è possibile?

Il cosiddetto licenziamento per giustificato motivo oggettivo scatta per ragioni non collegate al comportamento del dipendente ma inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al corretto funzionamento di essa.

Le scelte imprenditoriali possono essere di carattere economico (ad esempio: riduzione dei ricavi, pericolo di crisi, collasso della domanda o semplicemente massimizzazione degli utili) o tecnico-produttivo (aumento dell’efficienza del lavoro attraverso l’introduzione di innovazioni produttive). In entrambi i casi, né il dipendente né il giudice possono criticare le scelte operate dall’impresa perché è nella libertà imprenditoriale sancita dall’art. 41 della Costituzione anche quella di decidere se e quanto personale destinare a determinate funzioni. Quindi, nessun Tribunale potrà mai sostituirsi al datore di lavoro per dirgli se ha fatto bene o ha fatto male a licenziare il dipendente. L’importante è che dietro le motivazioni addotte nella lettera di licenziamento non si nascondano delle “scuse”: in altri termini, le ragioni fornite alla base del licenziamento devono essere effettive e realmente sussistenti in quanto legate alle esigenze aziendali. Con la conseguenza che, se a seguito dell’indagine del giudice dovesse risultare la pretestuosità delle esigenze di licenziamento la risoluzione del rapporto lavorativo sarebbe illegittima.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: condizioni

Secondo la Cassazione, dunque, affinché il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia legittimo, il riassetto organizzativo deve essere:

  • effettivo (e non fittizio);
  • fondato su circostanze realmente esistenti al momento della comunicazione del recesso (e non riguardante circostanze future ed eventuali).

In più la scelta del dipendente da licenziare deve avvenire secondo correttezza e buona fede, senza porre in essere atti discriminatori. A tal fine, il datore non è completamente libero di scegliere chi licenziare in presenza di più dipendenti adibiti alla stessa mansione ma dovrà operare secondo gli stessi criteri di scelta previsti dalla legge per i licenziamenti collettivi (quindi optando prima per i dipendenti con un più leggero carico di famiglia e minore anzianità lavorativa).

In più, prima di procedere al licenziamento, il datore deve verificare che non vi sia possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni (cosiddetto repêchage o anche “ripescaggio”).

È sempre dovuto il preavviso.

L’assunzione di altri dipendenti dopo il licenziamento

Se il licenziamento si fonda su ragioni strutturali, è chiaro che non è compatibile con l’immediata assunzione di altri dipendenti da adibire alle stesse mansioni di colui che è stato mandato via. Ecco perché, se nel breve periodo successivo al licenziamento, l’azienda procede a nuove assunzioni per ricoprire mansioni equivalenti a quelle svolte dal dipendente licenziato, scatta una “presunzione di illegittimità” del licenziamento stesso [2]. In buona sostanza il licenziamento con sostituzione del dipendente licenziato si ritiene automaticamente invalido, salvo prova contraria del datore di lavoro. In cosa consiste questa prova contraria? Ad esempio, secondo la Cassazione, nell’ambito di una riorganizzazione aziendale, è possibile licenziare dei dipendenti per soppressione delle posizioni da questi ricoperte e assumerne di nuovi, qualora i nuovi assunti non vadano a ricoprire le posizioni lasciate vacanti dai dipendenti licenziati.

Non solo. Sempre secondo la Suprema Corte [1], il licenziamento per giustificato motivo oggettivo conseguente alla chiusura del reparto a cui l’ex dipendente era adibito è legittimo anche se il datore di lavoro, dopo il recesso, ricorre per tempi limitati a lavoratori interinali o a termine. Ben può il datore, per una gestione più economica dell’impresa a seguito di un protratto periodo di crisi di risultati e di difficoltà di mercato, ridimensionare l’organico, ridistribuendo le mansioni – quelle prima assegnate al dipendente licenziato – al personale residuo, oppure ricorrendo, per tempi assolutamente limitati, a risorse esterne.

L’impiego di risorse esterne all’azienda per lo svolgimento di mansioni che possono essere affidate al dipendente licenziato non costituisce una violazione dell’obbligo di ripescaggio, ma solo laddove ciò avvenga per tempi assolutamente limitati.

Infatti, il datore di lavoro che persegue un reale risparmio di costi ben può sopprimere alcune posizioni lavorative o a tempo indeterminato per ridistribuirne le mansioni tra il personale già in essere e, talvolta, usufruire delle prestazioni di lavoratori somministrati o a termine: ciò, si ribadisce, a condizione che il ricorso a tali risorse esterne avvenga limitatamente e comporti un esborso inferiore a quello dovuto per il mantenimento di unità di personale assunta a tempo indeterminato.


note

[1] Cass. sent. n. 19731/18.

[2] Cass. 11 dicembre 1997 n. 12548.

[3] Cass. 15 aprile 2005 n. 7832


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