Il malato deve poter decidere se vuole essere curato o meno attraverso una terapia. Ma il consenso deve essere sempre dato per iscritto?
Il consenso informato è la manifestazione di volontà che il paziente, previamente informato in maniera esauriente dal medico sulla natura e sui possibili sviluppi del percorso terapeutico, dà per l’effettuazione di interventi di natura invasiva sul proprio corpo. Si tratta, in effetti, di un vero e proprio documento con valore legale, il cui scopo è quello di tutelare tanto il chirurgo quanto il paziente da errori o incomprensioni. Infatti la legge italiana prevede che i medici e gli operatori sanitari possono curare una persona solo se questa è d’accordo e dà il consenso informato perché il malato deve poter decidere se vuole essere curato per una malattia: ha il diritto/dovere di conoscere tutte le informazioni disponibili sulla propria salute, chiedendo al medico ciò che non è chiaro, e di scegliere, di conseguenza in modo informato, se sottoporsi ad una determinata terapia.
Indice
Consenso informato, cos’è?
Il diritto al consenso informato rappresenta un diritto fondamentale del paziente e deve essere sempre acquisito da parte del sanitario che si appresta ad eseguire una prestazione sanitaria. Il consenso informato può qualificarsi, dunque, come presupposto per la legittimità dell’attività medica. Non a caso, uno dei più importanti principi costituzionali recita che nessuno può essere sottoposto a trattamenti medici contro la propria volontà [1].
Non solo, sul punto la legge sancisce che ogni intervento medico, che risulti invasivo o meno, necessita dell’assenso consapevole dell’interessato [2], deve essere cioè preceduto da una adeguata informativa che illustri le caratteristiche, i rischi e le finalità dell’intervento. Il nostro ordinamento, inoltre, tutela il diritto all’autodeterminazione (vale a dire, la facoltà di operare scelte proprie) della persona e regola le modalità di ricezione delle informazioni, di espressione e documentazione del consenso [3].
Si può, dunque, affermare che il consenso informato è da intendersi quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico e pertanto deve necessariamente sussistere. Seppur concesso, il consenso può essere ritirato da parte del paziente in qualsiasi momento. Nel caso in cui l’interessato non sia nelle condizioni di esprimerlo consapevolmente, il sanitario dovrà richiedere il consenso a colui che è stato indicato come delegato. Se minorenne, invece, dovrà essere espresso dai genitori.
Consenso informato: che forma deve avere?
La legge non impone alcuna formula sacramentale per la manifestazione del consenso informato in ambito medico, anche se quella scritta resta la più agevole, soprattutto come prova.
Prassi vuole che il sanitario si avvalga, il più delle volte, di un modulo prestampato contenente le avvertenze della prestazione sanitaria che dovrà eseguirsi sul paziente. Sul punto, tuttavia, è bene precisare che, allorquando si ricorra a tale forma, il medico è onerato di accertarsi, prima della sottoscrizione, che il paziente abbia compreso il contenuto e che non abbia dubbi in merito.
Il consenso in ogni caso deve essere scritto nei casi in cui l’esame clinico o la terapia medica possono comportare gravi conseguenze per la salute e l’incolumità della persona. Se il consenso è rifiutato, il medico ha l’obbligo di non eseguire o di interrompere l’esame clinico o la terapia in questione. Il consenso scritto è anche obbligatorio, per legge, quando:
- si dona o si riceve sangue;
- il paziente partecipa alla sperimentazione di un farmaco;
- si effettua il trapianto di rene tra viventi;
- si compiono accertamenti di un’infezione da Hiv;
- si procede alla procreazione medicalmente assistita;
- si sceglie un’interruzione volontaria della gravidanza.
Negli altri casi il consenso può essere solo verbale ma deve essere espresso direttamente al medico.
Se il sanitario non provvede all’acquisizione del consenso informato ed esegue l’intervento sulla persona, la condotta non può che considerarsi illecita e perseguibile, seppur eseguita nell’interesse del paziente [4]. L’obbligo del medico, infatti, consiste nell’informare a dovere il paziente circa le prevedibili e possibili conseguenze del trattamento ed in ordine alla possibilità del verificarsi, in esecuzione dello stesso, di un eventuale aggravamento delle condizioni di salute. Tutto ciò, al fine di consentire al paziente di decidere liberamente se sottoporvisi o meno. L’informazione deve essere esaustiva, sia nell’indicazione della natura dell’intervento che della portata dei prospettabili risultati e delle possibili implicazioni. Il consenso deve essere acquisito dal sanitario sempre prima di eseguire un qualsiasi tipo di trattamento, ad eccezione dei casi di emergenza, in cui ciò non è possibile.
È importante che il consenso informato dato dal malato sia in ogni caso attuale, deve cioè riguardare una situazione presente e non una futura.
Le uniche eccezioni all’obbligo del consenso informato sono:
- le vaccinazioni obbligatorie, stabilite nei programmi nazionali di salute pubblica;
- le situazioni nelle quali la persona malata ha espresso esplicitamente la volontà di non essere informata;
- le condizioni della persona siano talmente gravi e pericolose per la sua vita da richiedere un immediato intervento “di necessità e urgenza” indispensabile. In questi casi si parla di consenso presunto;
- in caso di rischi che riguardano conseguenze atipiche, eccezionali ed imprevedibili di un intervento chirurgico, che possono causare ansie e timori inutili. Se, però, il malato richiede direttamente questo tipo di informazioni, il medico deve fornirle;
- i casi in cui si può parlare di consenso implicito, per esempio per quelle cure di routine, o per quei farmaci prescritti per una malattia nota. Si suppone, infatti, che in questo caso sia consolidata l’informazione ed il consenso relativo;
- i Trattamenti sanitari obbligatori (Tso), in caso di particolari disturbi psichici.
Cosa accade in caso di assenza di consenso informato?
Alla luce di quanto detto, risulta chiaro che la mancata informazione determina sul paziente la perdita della possibilità di esercitare consapevolmente una serie di scelte personali, come quella di sottoporsi o meno all’intervento. Questa preclusione, a sua volta, genera la privazione della libertà di autodeterminarsi e una sofferenza psichica, proiettata o ad impedirgli di predisporsi mentalmente alle possibili conseguenze o alla constatazione degli effetti negativi derivati da un intervento eseguito senza il suo consenso.
Ai fini del risarcimento dei danni predetti, aventi natura non patrimoniale, è bene apprendere che secondo una recentissima pronuncia delle Suprema Corte [5], gli stessi non necessitano di prova, a condizione che il paziente provi che se fosse stato correttamente informato dei rischi e delle complicanze, avrebbe fatto una scelta diversa rispetto a quella di sottoporvisi.
Pertanto, alla luce del principio di diritto enunciato, qualora si ritenga di essere stati sottoposti ad un trattamento sanitario senza essere stati prima ben informati in merito, è possibile chiedere il risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dall’esito negativo dello stesso, provando esclusivamente che se informati dei rischi, la decisione presa sarebbe stata altra, operando per i danni lamentati il diritto al risarcimento automatico.
note
[1] Art. 32 Cost.
[2] L. n. 145/2001.
[3] Art. 1 L. n. 129/2017.
[4] Cass. Civ., sent. n. 21748/2007.
[5] Cass. Civ., sez. III, ordinanza n. 11749/2018.
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