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Proroga pensione opzione donna

4 Novembre 2018 | Autore:
Proroga pensione opzione donna

Il ministro Di Maio ha recentemente confermato che le risorse per la proroga dell’opzione donna ci sono: l’intervento dovrebbe essere attuato a breve.

La proroga dell’opzione donna si farà: è quanto assicurato dal ministro del lavoro di Maio lo scorso 29 settembre dinanzi ad una delegazione dei Gruppi Uniti, prima riunitasi in piazza Montecitorio e poi giunti fino al Campidoglio. Il ministro, in particolare, ha confermato alla portavoce del Movimento Opzione Donna, Lucia Rispoli,  che la proroga dell’opzione sarà presente nella prossima Legge di Bilancio: la proroga di opzione donna è stata difatti inviata al Mef (ministero dell’Economia e delle Finanze) come finanziata, in quanto le risorse a copertura dell’intervento sono già presenti. La proroga, nello specifico, è fissata alla data del 31 dicembre 2018: in pratica, potrà pensionarsi dal lavoro con opzione donna chi compie 57 anni (58 anni  se lavoratrice autonoma), più gli adeguamenti alla speranza di vita che saranno ritenuti applicabili, e matura 35 anni di contribuzione alla data del 31 dicembre 2018.  Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto sulla proroga pensione opzione donna: come si esce dal lavoro col regime sperimentale per le donne, quali sono gli attuali requisiti e come potrebbero cambiare nel caso in cui l’intervento sia prorogato.

Aggiornamento: in base a quanto emerso dal decreto previdenza, potranno accedere a opzione donna le nate entro il 31 dicembre 1960, se dipendenti, o entro il 31 dicembre 1959, se autonome, nel caso in cui raggiungano 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2018. Leggi tutto l’aggiornamento: Proroga opzione donna 2019.

Che cos’è l’opzione donna?

L’opzione donna, o regime sperimentale per le donne, è una particolare pensione di anzianità agevolata introdotta dalla Legge Maroni [1]. Grazie al regime sperimentale, le donne possono pensionarsi anticipatamente in cambio del ricalcolo contributivo della pensione.

Quali sono i requisiti per l’opzione donna?

Per potersi pensionare oggi con opzione donna devono essere rispettati precisi requisiti:

  • per le lavoratrici dipendenti, è necessario aver raggiunto 57 anni di età e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2015; dalla data di maturazione dell’ultimo requisito alla liquidazione della pensione è prevista l’attesa di un periodo, detto finestra, pari a 12 mesi;
  • per le lavoratrici autonome, è necessario aver raggiunto 58 anni di età e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2015; dalla data di maturazione dell’ultimo requisito alla liquidazione della pensione è prevista l’attesa di un periodo di finestra pari a 18 mesi.

In pratica, possono ottenere la pensione le dipendenti che hanno compiuto 57 anni e le autonome che hanno compiuto 58 anni entro il 31 dicembre 2015, se possiedono 35 anni di contributi entro la stessa data.

Con la proroga di opzione donna, i requisiti restano gli stessi, più gli adeguamenti alla speranza di vita che saranno ritenuti applicabili (se scatteranno gli adeguamenti, dal 2019 i requisiti di età passeranno, rispettivamente, a 58 e 59 anni), ma possono essere maturati sino al 2021.

La pensione con opzione donna è penalizzante?

In cambio dell’uscita anticipata dal lavoro, il trattamento spettante con opzione donna è calcolato col sistema contributivo: questo metodo di calcolo è basato sui contributi effettivamente accreditati e risulta normalmente sfavorevole rispetto al sistema di calcolo retributivo, che invece si basa sulla media degli ultimi stipendi o redditi.

Non esiste una penalizzazione fissa, perché il calcolo della pensione dipende da numerose variabili, tuttavia si parla di un taglio della pensione pari al 25-30% (raramente si supera il 30%, in alcuni casi il calcolo contributivo può addirittura risultare vantaggioso), rispetto al trattamento calcolato col sistema retributivo.

Come si calcola la pensione con opzione donna?

Nello specifico, il calcolo contributivo, utilizzato con opzione donna, non si basa sugli ultimi stipendi o retribuzioni percepite come il sistema retributivo, ma sui contributi effettivamente versati nel corso dell’attività lavorativa, rivalutati e trasformati in rendita da un coefficiente che aumenta all’aumentare dell’età pensionabile.

Il sistema di calcolo contributivo si divide in due quote:

  • la quota A, sino al 31 dicembre 1995 (si tratta di una quota contributiva di pensione prevista solo per chi ha optato per il calcolo interamente contributivo, oppure per il computo o per la totalizzazione);
  • la quota B, dal 1° gennaio 1996 in poi.

Per ricavare l’assegno di pensione corrispondente alla Quota B, bisogna:

  • accantonare, per ogni anno, il 33% della retribuzione lorda corrisposta dal 1996 (il 33% è l’aliquota valida per la generalità dei lavoratori dipendenti), oppure l’aliquota contributiva prevista dall’Inps per le altre categorie di lavoratori;
  • rivalutare i contributi accantonati ogni anno, in base alla media mobile quinquennale della crescita della ricchezza nazionale, ovvero all’incremento del Pil nominale, che comprende anche il tasso di inflazione che si registra anno per anno;
  • sommare i contributi rivalutati, ottenendo così il montante contributivo;
  • moltiplicare il montante contributivo per il coefficiente di trasformazione, una cifra espressa in percentuale che varia in base all’età, ottenendo così la quota B di pensione.

Per determinare la Quota A della pensione, quota che sussiste solamente in caso di opzione per il sistema contributivo, computo o totalizzazione, il procedimento è più complicato.

Il complesso meccanismo dovrebbe risultare più semplice spiegato in questo modo:

  • si prendono le 10 retribuzioni annue precedenti il 1996 (o le retribuzioni 1993-1995 per i dipendenti pubblici);
  • si applica l’aliquota contributiva pensionistica riferita all’epoca del versamento (quella del 1995, ad esempio, era pari al 27,12% per la generalità dei dipendenti);
  • si rivalutano i contributi così ottenuti, sulla base della media quinquennale del Pil nominale;
  • si ricava una media annua di contribuzione (capitalizzata) dividendo il totale della somma complessivamente accantonata per 10 (o per 3, per i dipendenti pubblici);
  • si moltiplica il risultato ottenuto per il numero complessivo degli anni di anzianità, valutati però ponderandoli con il rapporto tra l’aliquota contributiva vigente in ciascun anno e la media delle aliquote contributive vigenti nei 10 (o 3) anni precedenti quello in cui viene esercitata l’opzione;
  • si ottiene, così, il montante contributivo della quota A, che deve essere moltiplicato per il coefficiente di trasformazione per trasformarsi in quota A di pensione.

Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, il procedimento di calcolo della quota A presenta delle peculiarità, descritte nell’informativa Inpdap del 2001 [2].

Si possono, in alternativa, sommare i due montanti contributivi, della Quota A e della Quota B, per giungere al montante contributivo totale, che viene poi trasformato in rendita dal coefficiente di trasformazione, che varia in base all’età pensionabile.

Il procedimento può cambiare a seconda della particolare gestione previdenziale in cui si possiedono i contributi.

Domanda opzione donna

Chi ha raggiunto, entro le date indicate, i requisiti per l’opzione, può pensionarsi utilizzando questo particolare regime anche adesso: l’Inps ha difatti chiarito che anche a questo speciale regime si applica la cristallizzazione dei requisiti, un principio, generalmente valido in materia previdenziale, che consente di ottenere la pensione con un previgente regime se entro le date previste sono stati raggiunti i requisiti, anche se successivamente la legge è cambiata.


note

[1] L.243/2004.

[2] Informativa Inpdap n.65/2001, par. 3.1.


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