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Spese legali: quanto costa una causa?

7 Giugno 2018 | Autore:
Spese legali: quanto costa una causa?

Una causa civile costituisce un grosso impegno economico sia per chi la promuove sia per chi deve resistervi

Le spese legali per intraprendere una causa o per resistervi sono numerose e salvo i casi di esenzione vanno anticipate dalle parti che potranno recuperarle – in caso di vittoria – all’esito del procedimento. Vediamo dunque quanto costa una causa e quali sono le spese. Tra queste, in primo luogo rintracciamo il compenso del difensore, ma ci sono molti ulteriori pesi economici: gli adempimenti fiscali come il contributo unificato e l’ imposta di registro, quelle per l’attività compiuta da soggetti come i consulenti tecnici e altre spese di varia natura.

Spese legali: il contributo unificato

Come anticipato, l’introduzione di una causa comporta per le parti una serie di spese c.d. di giustizia, ossia quelle dovute all’amministrazione giudiziaria. Tra queste, incontriamo in primo luogo il contributo unificato, ossia il successore di quelli che una volta erano i bolli e le tasse di iscrizione a ruolo. Il contributo unificato è dovuto ogni volta che una parte (sia persona fisica che giuridica) dà inizio ad un processo civile e deve essere pagato per ciascun grado di giudizio. È dovuto altresì per l’esercizio dell’azione civile nel processo penale, ovvero quella che notoriamente è detta “costituzione di parte civile“. La legge prevede tuttavia alcuni casi di esenzione dal pagamento del contributo in ragione del tipo procedimento giudiziario ed in dipendenza dal reddito della persona che lo promuove.

L’importo del contributo unificato varia in base valore della causa, al grado di giudizio ed al tipo di procedimento iniziato. In sostanza, agire per chiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo di poche migliaia di euro non richiede il versamento di un contributo unificato di pari valore a quello del caso in cui il credito sia di importi molto elevati e allo stesso tempo l’azione per ottenere un decreto ingiuntivo in sé non richiede lo stesso contributo unificato dovuto nel caso in cui si avvii una causa per ottenere l’accertamento dell’usucapione.

In concreto, per determinare l’importo del contributo, la parte che agisce in giudizio (e per essa il suo avvocato) deve fare quella che viene chiamata dichiarazione di valore: nelle conclusioni dell’atto introduttivo della causa, appunto, l’avvocato deve indicare il valore della causa così da rendere evidente che il contributo unificato pagato è corretto in relazione al valore della causa.

Per intenderci: ad ogni scaglione di valore di causa è dovuto un determinato contributo unificato (ad esempio, nelle cause civili di valore fino a 1.100 euro il contributo è di 43 euro in primo grado; di 64,50 euro in appello e di 86 euro in cassazione). Dunque, la dichiarazione di valore serve a rendere evidente che l’attore, in relazione al valore della sua pretesa giudiziaria, ha correttamente pagato il contributo unificato. Tale dichiarazione è fondamentale, tuttavia la sua mancanza non determina conseguenze sul piano del processo ma una irregolarità fiscale.

È da dire, inoltre, che l’importo del contributo unificato è soggetto all’aumento nel caso in cui l’avvocato omette di fare la dichiarazione di valore o omette di indicare nell’atto introduttivo del giudizio [1] il proprio numero di fax, la propria pec e il codice fiscale della parte che assiste: in questi casi la legge impone che il contributo sia aumentato della metà [2].

Spese legali: imposta di registro

Se il contributo unificato è una spesa da affrontare all’inizio della causa, al suo esito è dovuta l’imposta di registro. Infatti, alcuni provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria – come ad esempio le sentenze – sono soggetti a registrazione presso l’Agenzia delle entrate e tale registrazione richiede, appunto, il pagamento dell’imposta di registro.

Spese legali: liquidazione delle spese

Nel provvedimento conclusivo del giudizio (sentenza, decreto, ordinanza) il giudice liquida le spese e condanna una delle parti al pagamento delle stesse. La determinazione dell’importo delle spese da liquidare avviene generalmente sulla base della nota spese depositata dagli avvocati delle parti. L’avvocato, infatti, con l’ultimo atto del processo, deposita la nota spese nella quale indica distintamente il suo compenso, le spese effettivamente affrontate per l’attività difensiva. In mancanza di nota spese il giudice liquida le spese sulla base dei parametri forensi [3]. In ogni caso, nel determinare il compenso, il giudice fa una valutazione circa le caratteristiche dell’attività compiuta, l’urgenza e l’importanza dell’attività prestata, la sua difficoltà ed il suo valore, i risultati conseguiti, la complessità della questione trattata. Normalmente, il giudice condanna la parte soccombente – cioè quella a cui dà torto – a pagare tutte le spese del processo, comprese quelle anticipate dalla controparte che, come detto, ha diritto al rimborso. Nel caso di soccombenza reciproca (o anche se ricorrono altre particolari circostanze) il giudice può compensare le spese tra le parti, ossia prevedendo che nulla debba ciascuna parte all’altra.

Eccezione alla regola generale in tema di condanna alle spese si ha nei procedimenti di volontaria giurisdizione, dove mancando la parte soccombente e quella vittoriosa, il giudice non può condannare una di esse al pagamento delle spese processuali.

Spese legali: il gratuito patrocinio

Ciò detto, deve aggiungersi che la Costituzione italiana [4] garantisce a tutti i cittadini, anche a quelli meno abbienti, il diritto di difesa. Per questa ragione è stato istituito il Patrocinio a spese dello Stato, noto anche come gratuito patrocinio. Infatti, laddove un cittadino ritenga essere leso nei propri diritti ma non abbia i mezzi economici sufficienti per sostenere le spese giudiziarie, può contare sullo Stato che, attraverso avvocati iscritti negli appositi elenchi, gli garantisce il diritto di agire in giudizio per la tutela delle proprie ragioni. Attraverso l’ammissione al gratuito patrocinio, il soggetto in possesso dei requisiti di reddito, sarà esonerato da alcune spese, e verrà sostituito dallo Stato stesso per il pagamento di altre.

Chi ha diritto al gratuito patrocinio?

Per accedere al beneficio del gratuito patrocinio è necessario che il soggetto non abbia un reddito imponibile ai fini Irpef superiore agli 11.493,00 euro. Per reddito imponibile si deve intendere quello del nucleo familiare, ragion per cui ai fini che qui rilevano il reddito è quello complessivamente risultante dalla somma dei redditi di tutti i conviventi, che siano coniugi o familiari. Questa regola generale soffre una eccezione: quando sono in contestazione diritti della personalità (come nel caso della separazione personale), il reddito da prendere in considerazione è esclusivamente quello del soggetto istante. In ambito penale, invece, il limite di reddito è elevato di 1.032,91 euro per ognuno dei familiari conviventi.

Come presentare istanza di gratuito patrocinio?

Il gratuito patrocinio può essere attivato innanzi a tutte le giurisdizioni: civile, penale, amministrativa, contabile ecc., ma differiscono le regole per la presentazione della relativa istanza.

In ambito civile, infatti, l’istanza va presentata al Consiglio dell’Ordine degli avvocati del luogo in cui si svolge il processo, mentre in ambito penale va presentata all’ufficio del giudice del luogo in cui si svolge il processo.

Dopo la presentazione dell’istanza, l’organo competente per valutarla ha 10 giorni di tempo (non perentori) per valutare la fondatezza delle pretese e decidere se ammettere l’interessato al patrocinio oppure respingere la domanda.

Nel corso di un procedimento con patrocinio a spese dello Stato, l’avvocato può rinunciare al mandato così come il cliente può revocarglielo. La rinuncia al mandato oltre che al cliente va comunicata anche al Consiglio dell’Ordine, mentre in caso di revoca del mandato il cliente può recarsi presso il Consiglio dell’Ordine e chiedere la sostituzione dell’Avvocato con un altro presente sul medesimo albo.


note

[1] Art. 125, comma 1, Cod. Proc. Civ.

[2] Art. 13, comma 3bis, Dpr. n. 115 del 30.05.2002.

[3] D. m. n. 55 del 10.03.2014.

[4] Art. 24 Cost.

Autore immagine: Pixabay.com


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