La transazione fiscale: cos’è, quando si applica, come funziona, chi può utilizzarla, perché conviene.
Hai un’impresa commerciale e sei oberato di debiti? La tua azienda è in crisi e non riesci a pagare le tasse? Esiste un rimedio: è la transazione fiscale, con la quale puoi evitare il fallimento e ridurre i tuoi debiti fiscali. La transazione fiscale è una particolare procedura di accordo tra Fisco e contribuente che si utilizza nelle procedure fallimentari ed offre notevoli vantaggi alle imprese in crisi perché potranno pagare meno e a rate. L’impresa che si trova in stato di crisi ed è stata ammessa al concordato preventivo o a un accordo di ristrutturazione dei debiti può “rinegoziare” con il Fisco il proprio debito proponendo all’Amministrazione finanziaria una transazione fiscale. Si potranno prevedere scadenze di pagamento più lunghe e dilazionate nel tempo e si potrà anche, in determinati casi, ottenere una diminuzione dell’importo dovuto. Questo istituto, che deroga ai normali e rigidi principi secondo cui i debiti fiscali vanno pagati per intero (salvo condoni), ha lo scopo di consentire all’impresa di continuare la sua attività e di risanarsi, liberandosi dal pesante fardello dei debiti fiscali accumulati che, se dovessero essere pagati tutti per intero e subito, porterebbero con ogni probabilità l’azienda a chiudere.
Indice
Quando è ammessa la transazione fiscale?
La possibilità di transazione fiscale è ammessa solo nei casi di imprese che si trovino in stati di insolvenza e di crisi meno gravi di quelli che portano al fallimento vero e proprio: potranno accedervi le società che sono state ammesse al concordato preventivo o a un accordo di ristrutturazione, e per le quali, quindi, il tribunale ha compiuto una valutazione positiva sulla possibilità dell’impresa di continuare la sua attività anziché di fallire.
Le imprese che possono beneficiare della transazione fiscale sono considerate dalla legge come malate ma non gravi e quindi si confida che potranno tornare sane con le opportune cure: tra queste è previsto proprio l’alleggerimento dei debiti fiscali maturati nel pregresso, che, se considerati nel loro insieme, potrebbero costituire un macigno da cui l’impresa difficilmente potrebbe risollevarsi.
In questo modo, lo Stato in via eccezionale (perché altrimenti il credito fiscale non può essere ridotto o rinunciato se non nei casi espressamente previsti dalla legge) acconsente a ridurre la propria pretesa, ad esempio acconsentendo a farsi pagare da queste imprese in crisi la somma di 60 anzichè 100, e in un determinato numero di rate posticipate, anziché in un’unica soluzione.
Nella pratica, però, il meccanismo di funzionamento è piuttosto complesso e sorgono problemi interpretativi e pratici di vario genere:
- a quali tributi si applica la transazione fiscale? a tutte le imposte o solo ad alcune? sono compresi o no i contributi previdenziali? e possono essere tutti ridotti oppure soltanto dilazionati?;
- come si può accedere al beneficio e a quali condizioni? come va presentata la domanda? Va allegata documentazione a sostegno e se sì quale? chi è a stabilire la riduzione o la dilazione? il contribuente o il Fisco? cosa succede se gli Uffici si oppongono? Si può intervenire per negoziare le condizioni?;
- come si innesta la transazione fiscale nella procedura di concordato preventivo che dovrà essere omologata per intero e dunque tenere conto anche di altri creditori diversi dal Fisco e delle loro ragioni di essere pagati?.
Vediamo in dettaglio tutti questi aspetti.
Quali debiti fiscali possono andare in transazione?
Sono compresi tutti i tributi amministrati dalle agenzie fiscali (prima fra tutte l’Agenzia delle Entrate che gestisce la fetta più grossa, ma anche Dogane e Monopoli, ecc.): quindi vi rientrano l’IRPEF, l’IRAP, l’IRES, l’imposta di registro, le imposte ipotecarie e catastali, l’imposta di bollo, le imposte di successione e di donazione, ed anche tutte le sanzioni e gli interessi di mora che sono riferiti a queste imposte.
E l’IVA? Fino al 2016 essa non rientrava tra i debiti oggetto di transazione (poteva solo essere dilazionata, ma non ridotta), ma con una riforma legislativa [1] dal 1 gennaio 2017 è diventato possibile comprenderla al pari degli altri tributi.
La stessa cosa è avvenuta per i contributi previdenziali e assistenziali: anche questi, a partire dal 1 gennaio 2017, potranno essere ridotti attraverso la transazione fiscale, e non solo rateizzati.
In effetti la legge originale è stata modificata, comprendendo anche l’IVA e le ritenute previdenziali, perché ci si era accorti che in molte crisi di impresa queste voci pesavano moltissimo, e non sarebbe stato possibile pagarle per intero: la società debitrice sarebbe quindi fallita, mentre la norma che aveva istituito la possibilità di transazione fiscale ha il precipuo scopo di salvare le imprese in crisi garantendone la continuità e evitandone per quanto possibile il fallimento.
Sono, invece, rimasti esclusi dall’ambito di applicazione dell’istituto tutti i tributi locali come la tassa automobilistica, l’IMU, la TARI, la TARSU e la TOSAP, i contributi consortili di bonifica, i canoni di scarico e depurazione acque reflue, ecc.; neppure con la riforma operata dalla Legge di stabilità 2017 si è arrivati ad inserire questi tributi nel novero di quelli ammessi alla transazione fiscale.
Chi può accedere alla transazione fiscale?
Possono utilizzare la transazione fiscale tutti i soggetti che possono fallire, e quindi sono esclusi tutti coloro che non esercitano attività commerciali ed i piccoli imprenditori, come i coltivatori diretti o gli artigiani. Vi rientrano quindi sia gli imprenditori individuali sia le società di qualsiasi tipo purché esercitino un’attività commerciale ed abbiano i requisiti dimensionali sufficienti a non farli rientrare nella categoria dei piccoli imprenditori, che non possono fallire.
Per la precisione, per essere fallibili bisogna aver avuto nei tre anni precedenti un attivo di bilancio inferiore a 300.000 euro e ricavi non oltre 200.000 euro ed inoltre occorre che i debiti complessivi siano minori di 500.000 euro. Chi è al di sotto di queste soglie non potrà fallire e dunque nemmeno accedere alla transazione fiscale, che è riservata solo a chi supera tali valori.
Una particolare disciplina è prevista per gli imprenditori agricoli: essi possono andare in transazione fiscale solo se fanno un accordo di ristrutturazione (che è consentito alla loro categoria), mentre sono esclusi dal concordato preventivo (che gli è precluso in quanto non sono fallibili).
Oltre a questo, occorre anche per tutti coloro che vogliano accedere alla transazione fiscale la presenza di un serio stato di crisi, anche se non ha raggiunto il livello di vera e propria insolvenza, cioè di incapacità di pagare regolarmente i propri debiti. Sarà dunque possibile accedere alla transazione fiscale se si raggiunge la soglia di allarme necessaria per realizzare un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione del debito, che infatti sono i due istituti nei quali la transazione fiscale si innesta.
Pertanto, solo chi può fallire è ammesso alla transazione, mentre ne rimangono esclusi tutti coloro che non hanno i requisiti per andare in fallimento. Questa limitazione sembra a prima vista paradossale, ma in effetti lo scopo della norma non è quello di offrire un paracadute o un vantaggio a tutti i contribuenti indistintamente (per i quali soccorrono altri istituti, in specie se privati o famiglie a basso reddito), bensì quello di assistere le imprese che si trovano, per le più varie situazioni, in stato di seria crisi: solo per esse è prevista la possibilità di transazione fiscale, in modo da consentire loro di continuare l’attività aziendale ed evitarne il fallimento, alleggerendole di una parte del carico fiscale da cui esse sono gravate.
Quindi per accedere a questo particolare istituto non basta avere notevoli debiti fiscali e non essere in grado di pagarli: bisogna essere imprenditori commerciali (individuali o in forma di società) e versare in stato di insolvenza o comunque di crisi, dunque non riuscire a far fronte al pagamento dei debiti (tutti i debiti, non solo quelli verso il Fisco ma anche verso banche, fornitori, ecc.) ed essere soggetti a fallimento.
Se invece sei un piccolo imprenditore, o un privato, non sarai assoggettabile al fallimento e quindi non potrai effettuare nessuna transazione fiscale, perché la legge riserva questa possibilità solo alla categoria dei soggetti – individui o società – che possono fallire. Potrai, invece, utilizzare altre possibilità che la legge riserva a privati, famiglie e piccole imprese, come la composizione delle crisi da sovraindebitamento [2] che consente di raggiungere un accordo con i creditori, tra cui il Fisco.
Come si fa ad ottenere la transazione fiscale?
Prima di tutto, bisogna sapere che l’impresa che si trova in uno stato di crisi e vuole evitare la dichiarazione di fallimento può proporre ai creditori un progetto di concordato preventivo.
Questo altro non è che un accordo tra il debitore e tutti i creditori, con il quale si stabiliscono le modalità di pagamento dei debiti: quanto e quando il debitore pagherà e con quali modalità a ciascuno dei creditori. In questo modo, sarà possibile per l’impresa proseguire la propria attività, che altrimenti, con il fallimento, sarebbe interrotta.
In alternativa al concordato, è possibile per l’impresa in crisi raggiungere un accordo di ristrutturazione dei debiti: si tratta di un patto che interviene tra il debitore e la maggioranza dei creditori (almeno il 60%) e anche in tal caso l’azienda potrà continuare la propria attività con il sollievo di aver evitato il fallimento e di aver raggiunto un accordo che le permette di pagare a poco a poco e con maggiore tranquillità i suoi creditori, perché ha ottenuto il loro consenso.
Tuttavia, nonostante questi due istituti di carattere generale, se mancasse la possibilità di fare una specifica transazione con il Fisco rimarrebbe scoperto proprio il versante dei debiti fiscali, che per loro natura sono indisponibili ed irriducibili, cioè lo Stato non potrebbe ridurne l’importo o ritardarne la richiesta di pagamento se non ci fosse una legge che preveda espressamente tale possibilità.
Per questo il legislatore nel 2006 ha voluto introdurre un’apposita norma [3] che ha previsto e regolamentato la transazione fiscale di cui ci stiamo occupando.
La norma, inizialmente, non prevedeva la possibilità di ridurre l’entità del debito, e dunque il suo ammontare, ma soltanto di dilazionarlo nelle scadenze e termini di pagamento. In seguito la norma è stata oggetto di vari interventi ampliativi e da ultimo, precisamente a decorrere dal 1 gennaio 2017, l’articolo di legge è stato modificato proprio per consentire di poter pagare i vari tributi parzialmente e in misura inferiore all’intero importo, al verificarsi di determinate condizioni che ora esamineremo.
Per accedere bisogna fare una apposita domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo oppure presentare una proposta di accordo di ristrutturazione del debito.
In entrambi i casi, è indispensabile munirsi di un valido piano di risanamento [5], redatto da un professionista, con il quale l’impresa deve dimostrare di essere in grado di risollevarsi dalla situazione debitoria e di poter ritornare in equilibrio finanziario, continuando ad operare la propria attività economica.
Come funziona la transazione fiscale
L’istituto è simile alla transazione ordinaria prevista dal Codice civile [4] ma se ne differenzia perché non ha lo scopo di dirimere una lite, bensì quello di ridurre o dilazionare i debiti tributari; ciò avviene nel quadro del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione e perciò la transazione fiscale richiede come necessario presupposto che sia stato instaurato o un concordato preventivo oppure un accordo di ristrutturazione dei debiti, altrimenti non può operare da sola.
Ricordiamo che la sua finalità è quella di aiutare l’impresa a risollevarsi ed a evitare il dissesto, quindi non ha lo scopo di garantire le massime entrate possibili per l’Erario: proprio per questo è ammessa, entro certi limiti che ora andiamo ad esaminare, una riduzione del debito tributario che può essere consistente e quindi comportare un notevole risparmio d’imposta per l’impresa in crisi.
In pratica, quando si fa il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione, bisogna preoccuparsi di inserire anche i debiti tributari ed indicare in che misura e quando si vuole soddisfarli: ad esempio, si potrà proporre il pagamento del 60% dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA, comprese le relative sanzioni, in cinque anni a rate trimestrali costanti.
Il limite che la norma pone è che la percentuale di pagamento ed i tempi in cui esso avverrà non possono essere inferiori a quelli offerti agli altri creditori privilegiati diversi dal fisco (esempio banche assistite da garanzia ipotecaria, lavoratori dipendenti per retribuzioni o TFR non corrisposti): è la c.d. falcidia dei crediti muniti di privilegio, in base alla quale, se più creditori dello stesso grado concorrono e vantano, ad esempio, un ammontare complessivo di 200, ma la consistenza patrimoniale e finanziaria dell’impresa debitrice offre solo la possibilità di pagare 160, ciascuno di essi avrà una decurtazione del 20%.
In altre parole, ipotizzando che ciascuno dei due abbia un credito pari a 100, non sarà possibile pagare il primo per l’intero e il secondo soltanto per 60, ma dovranno essere soddisfatti per 80 ciascuno, in modo da subire tutti e due il medesimo “taglio” percentuale, in questo caso del 20% ciascuno.
Nel concreto, tutti questi calcoli dovranno essere fatti da un professionista abilitato e in possesso della qualifica di revisore legale contabile, dunque in grado di comparare tutte le diverse tipologie di credito – tra cui appunto quelli del Fisco – e di privilegi di cui sono muniti i creditori (chirografari, ipotecari, assistiti da pegno, ecc.) e assicurare una pari percentuale di soddisfazione per ciascuna classe, tenuto conto dell’ammontare disponibile per effettuare questi pagamenti.
Il professionista dovrà anche asseverare, con un’apposita relazione a sua firma, che la soddisfazione dei crediti tributari secondo la proposta di transazione non sia di valore percentuale inferiore al prezzo di mercato dei beni su cui l’Erario ha iscritto il proprio titolo di prelazione: ad esempio se Agenzia Entrate Riscossione avesse iscritto ipoteca pari a 100 su beni immobili, sarà il loro valore di mercato – poniamo di 75 – ad essere preso a base come limite sotto il quale non si potrà andare, e i debiti fiscali andranno pagati in misura almeno pari ad esso.
In questa prospettiva, per pagare i debiti che vanno in transazione sarà anche possibile ottenere apporti esterni all’impresa, come ad esempio finanziamenti da parte di istituti bancari o acquisti di beni aziendali da parte di soggetti interessati: tutte queste iniziative dovranno rientrare nel piano concordatario ed essere approvate.
L’Agenzia delle Entrate ha facoltà di interloquire sulla proposta di transazione fiscale avanzata dal debitore, e potrà esprimere le proprie osservazioni: gli Uffici finanziari seguono una particolare procedura istruttoria [6] che inizia con l’esame della domanda contenente la proposta di transazione dei debiti fiscali (e che dovrà indicare anche il piano concordatario o l’accordo di ristrutturazione in cui si inserisce) ove saranno indicati a cura del richiedente i tributi che si intende definire e le modalità con cui si intende pagarli.
E’ possibile infatti escludere dalla transazione fiscale alcuni debiti per i quali, ad esempio, vi sia un contenzioso tributario in corso e per il quale il contribuente ritiene elevate le probabilità di vittoria in giudizio: sarebbe irragionevole transare somme che si ritengono a ragione come non dovute.
Una volta ricevuta la proposta, l’Agenzia delle Entrate – o l’INPS in caso di debiti previdenziali – avrà 30 giorni per esaminarla (il termine non è perentorio ma va rispettato in ragione della particolare celerità che richiede la procedura) e per emettere una certificazione ufficiale del debito tributario ad essa risultante. L’importo potrebbe anche essere superiore a quello indicato dal debitore nella domanda di transazione, ad esempio perché egli ha omesso alcuni tributi o contributi oppure perché ve ne sono altri accertati nel frattempo.
L’ufficio finanziario e quello previdenziale valutano, quindi, la fattibilità della proposta, ma in questa valutazione di merito dovrà tener conto principalmente non del soddisfacimento del proprio credito erariale bensì degli interessi di conservazione e di risanamento dell’impresa e quindi dovrà ritenere valida anche una soluzione che comprima in una certa misura l’importo della riscossione ma grazie al risparmio ottenuto dal contribuente garantisca la continuità dell’attività produttiva aziendale.
Al termine dell’istruttoria compiuta dall’ufficio e delle valutazioni operate, il rappresentante dell’Agenzia esprimerà il suo voto – che potrà essere favorevole o contrario – all’adunanza dei creditori che nel frattempo sarà convocata per l’approvazione della proposta di concordato preventivo in cui la transazione fiscale si inserisce.
Il concordato potrebbe essere omologato dal tribunale anche in presenza di un voto contrario espresso dall’Agenzia, e in tal caso essa sarà costretta a dare esecuzione alla proposta di transazione fiscale approvata nonostante il suo dissenso.
Se invece la proposta di transazione fiscale fosse formulata nell’ambito di un accordo di ristrutturazione, anzichè di concordato preventivo, il parere espresso dall’Agenzia avrebbe un peso maggiore perché in questo caso l’intervento dell’Autorità giudiziaria avverrebbe solo ad accordo già concluso, cioè all’esito delle trattative condotte interamente dalle due parti e del punto d’intesa da esse raggiunto consensualmente.
Quindi per dare validità ed efficacia alla transazione fiscale contenuta in un accordo di ristrutturazione dei debiti sarà indispensabile raggiungere un’intesa preventiva con gli uffici finanziari sul contenuto della transazione e quindi su quanto, quando e come pagare i debiti che si intende definire.
In effetti lo spazio per la negoziazione tra il contribuente e le amministrazioni, finanziaria e previdenziali, è maggiore proprio nei casi in cui la transazione fiscale si innesta in un accordo di ristrutturazione del debito anziché in un concordato preventivo, perché qui non vi sono i ristretti termini e spazi che quella procedura comporta: saranno perciò possibili trattative per modulare meglio l’entità del debito e le soluzioni di pagamento.
Una volta raggiunta la transazione, i pagamenti avverranno secondo le ordinarie modalità (ad esempio mediante F24 o F23) secondo gli importi ed alle scadenze stabilite.
Di Paolo Remer
note
[1] Art. 1 co. 81 L. n. 232/2016, c.d. Legge di stabilità 2017.
[2] L. n.3 del 27.01.2012, c.d. legge “salvasuicidi”.
[3] Art.182 ter Legge Fallimentare, introdotto dall’art. 146 del D.Lgs. n.5/2006, che segue gli articoli dedicati al concordato preventivo ed agli accordi di ristrutturazione, ai quali si aggancia, richiedendoli come presupposto.
[4] Art. 1965 cod. civ.
[5] Art. 67 Legge Fallimentare.
[6] Disciplinata dalla Circolare AE del 18 aprile 2008 n.40/E; se la transazione riguarda i debiti previdenziali e dunque coinvolge i relativi Istituti, v. Circolare INPS 15.03.2010 n.38 e 12.08.2015 n.148.