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Procedimento disciplinare a carico del dipendente pubblico

2 Gennaio 2019 | Autore: Barbara Conti
Procedimento disciplinare a carico del dipendente pubblico

Responsabilità, colpe, sanzioni del dipendente e l’avvio del procedimento disciplinare a suo carico. Quando parte il procedimento disciplinare nei confronti del dipendente pubblico? Quali i motivi che lo fanno sorgere?

Il dipendente pubblico ha diritti e doveri, responsabilità e obblighi da rispettare, per cui può incorrere in sanzioni pesanti che, addirittura, possono dare vita al procedimento disciplinare che parte nei suoi confronti.
Quando si considerano le responsabilità e le sanzioni per il dipendente pubblico, non si può non parlare di procedimento disciplinare a carico del dipendente pubblico. Ma di cosa si tratta nello specifico? In cosa consiste con precisione? Vediamo meglio nei dettagli di capire. Innanzitutto, il procedimento disciplinare non comprende il rimprovero verbale, secondo i dettami di legge [1]. Vediamo, ora, soprattutto come si struttura un procedimento disciplinare in tutte le sue fasi.

Il procedimento disciplinare ordinario e semplificato

In primis occorre precisare che, nel tempo, i poteri disciplinari e le loro responsabilità in merito a parte dei dirigenti sono diventati più forti: si sono rafforzati, ma soprattutto, si sono allargati e sono aumentati (in maniera direttamente proporzionale alle loro responsabilità relative appunto).

Inoltre il procedimento disciplinare può essere ordinario oppure semplificato. Il primo dura il doppio rispetto al secondo, ma non è l’unica e sola differenza fra i due. Ovviamente, per reati più lievi, l’iter è stato semplificato. I due procedimenti vengono svolti da organi competenti diversi a erogare la sanzione: quello semplificato spetta al dirigente responsabile della struttura dove opera il dipendente pubblico coinvolto nel procedimento disciplinare; quello ordinario, invece, al contrario all’ufficio procedimenti disciplinari (UPD) dell’amministrazione (ogni amministrazione ne ha uno).

Il procedimento disciplinare semplificato, poi, riguarda casi in cui il massimo della pena previsto può essere la sospensione dal servizio con sottrazione dello stipendio fino a dieci giorni; quello ordinario, invece, vede come sanzione ultima estrema una pena più grave, quale la sospensione dall’incarico per più di dieci giorni senza retribuzione.

Le fasi pre-istruttoria e istruttoria del procedimento disciplinare

Per quanto riguarda le fasi del procedimento disciplinare, poi, c’è da precisare che sono uguali, le medesime sia per il procedimento disciplinare ordinario che semplificato. Vediamo quali sono allora.

La fase pre-istruttoria parte quando c’è la segnalazione e/o la contestazione di un atteggiamento non conforme, anche in assenza di contraddittorio, senza che sia rilevante la circostanza grazie alla quale si è appreso tale comportamento sbagliato. Partirà un’indagine per raccogliere maggiori informazioni e dettagli, al fine di stabilire se occorra fissare una sanzione apposita o meno.

Nel procedimento disciplinare semplificato la fase di pre-istruttoria non può eccedere i venti giorni, a partire dalla comunicazione del comportamento scorretto; mentre, nel procedimento disciplinare ordinario, tale tempistica è raddoppiata e arriva sino al limite massimo di ben 40 giorni. Se tali margini di tempo non vengono rispettati, l’intera procedura decade.

Ovviamente il diretto interessato deve essere debitamente informato delle accuse a suo carico da parte del responsabile della struttura presso cui lavora. Dopo di che è l’organo responsabile a stabilire se il dipendente è reo e deve essere sottoposto a sanzione disciplinare o meno, e quindi in caso di colpevolezza fa partire il procedimento disciplinare a tutti gli effetti con l’avvio della fase della contestazione degli addebiti, formale e scritta.

L’aspetto rilevante è quello che costituisce il cosiddetto principio di immutabilità della contestazione stessa, ovvero quelli che sono stati gli addebiti rivolti a carico del dipendente pubblico non potranno più essere modificati durante l’intero procedimento disciplinare anche qualora dovessero trapelare elementi nuovi e subentrare ulteriori addebiti e accuse. Fatti sanzionabili nuovi, infatti, di cui si dovrà certamente tener conto, andranno a confluire a parte in un’altra pratica di contestazione diversa. All’interno di quest’ultima vi sarà l’atto formale di convocazione del dipendente davanti all’organo disciplinare competente che presiederà e valuterà il suo caso.

Sarà fissata una prima udienza, in cui lui potrà comparire ed essere ascoltato, di cui verrà informato con un preavviso di almeno dieci giorni rispetto alla data dell’audizione (il cosiddetto principio del contraddittorio), a cui egli potrà decidere di partecipare alla presenza di un rappresentante sindacale. Tuttavia la sua adesione non è obbligatoria.

Lui avrà due opzioni fra cui poter scegliere: decidere di non partecipare appunto oppure partecipare e inviare una sua memoria scritta all’organo disciplinare preposto. Qualora volesse prendervi parte, ma fosse impossibilitato da un serio e giustificato motivo, può fare richiesta (motivata appunto) di rinvio dell’audizione a sua difesa: ciò potrà avvenire solo una volta e la data non potrà slittare di un periodo oltre i dieci giorni.

Dopo la fase pre-istruttoria, c’è la cosiddetta fase istruttoria. Questa è una fase molto importante. Durante tale fase vengono raccolti elementi utili alla definizione della situazione, a conoscerla ed approfondirla meglio, per valutare in modo più esatto la fondatezza o meno dell’atto di accusa a carico del dipendente pubblico. Anche se durante tale fase possono essere acquisite informazioni e notizie rilevanti da altre amministrazioni, ciò non porta mai alla sospensione del procedimento disciplinare stesso né al differimento dei relativi termini.

Infine una nota: durante tale fase il lavoratore stesso, protagonista del procedimento, può accedere agli atti e a tutti i documenti relativi del procedimento, per prendere conoscenza della sua evoluzione e di tutti gli aspetti che gli sono contestati.

La fase dell’archiviazione del procedimento o dell’emissione della sanzione

Dopo le fasi pre-istruttoria e istruttoria, sia il procedimento disciplinare ordinario che semplificato proseguono con la fase successiva che è quella più importante poiché porta a stabilire se archiviare il caso perché non sussistono i fatti imputati e decadono gli addebiti contestati oppure se il procedimento disciplinare ha avuto ragion d’essere e la realtà delle circostanze verificate richiede necessaria l’applicazione di una sanzione disciplinare congrua e adeguata.

Sia per emettere la sanzione disciplinare (con l’irrogazione della stessa) che per l’archiviazione degli addebiti contestati, vi sono dei tempi da rispettare molto rigidi e fissi, immutabili: innanzitutto sono perentori e non possono essere modificati. Ovviamente, però, essi cambiano a seconda che si tratti di un procedimento disciplinare ordinario o semplificato. Così come accadeva per la loro reciproca durata, così vale per il periodo entro il quale ci si deve pronunciare al termine della fase istruttoria: si tratta di un arco di 60 giorni per il procedimento semplificato, il doppio (ovvero 120 giorni) per quello ordinario.

In ambo i casi occorre che ci sia una motivazione ponderata della decisione finale presa, con connessi presupposti di fatto e ragioni giuridiche inerenti che l’hanno scaturita e che sono derivate dall’evolversi della fase istruttoria. Ovviamente se viene irrogata una sanzione, a maggior ragione le motivazioni dovranno essere più forti, precise, puntuali e congrue, ossia in linea con il principio di proporzionalità della pena applicata: cioè essa deve essere direttamente proporzionata al reato e all’illecito commesso di cui si è accusati e di cui si è colpevoli.

Dopo che l’autorità competente si è pronunciata in merito, c’è l’ultima fase: quella dell’assunzione dell’atto da parte dell’organo disciplinare, con l’adozione e l’impugnazione della sanzione.

Ciò ci fa comprendere che, dunque, la comunicazione all’interessato non è compresa né considerata come parte integrante del procedimento disciplinare stesso, ma esula dal medesimo ed è ritenuto un atto puramente ricettivo, di sola ricezione e presa d’atto di quest’ultima. Così come un eventuale trasferimento del dipendente pubblico o le sue eventuali dimissioni che abbia presentate non inficiano né influenzano l’eventuale evolversi e lo sviluppo del procedimento disciplinare. Né tanto meno contano a livello della sua ‘colpevolezza’ o sulla gravità e peso degli addebiti che gli sono contestati.

Il cosiddetto patteggiamento disciplinare della sanzione accordata

Infine ci si potrebbe chiedere: come in un qualsiasi processo civile e/o penale, è possibile per il dipendente pubblico (così come per ogni imputato) patteggiare la pena al fine di ridurla? Fino a qualche periodo fa sì; il lavoratore poteva richiedere il cosiddetto patteggiamento della sanzione disciplinare detto anche patteggiamento disciplinare.

Tramite di esso la sanzione disciplinare applicata e applicabile veniva ridotta di conseguenza, ma impediva poi di procedere con una successiva fase ulteriore: quella dell’impugnazione della sanzione. Tale procedimento veniva condotto in forma alternativa e sostitutiva a un eventuale ricorso ai collegi arbitrali di disciplina interni alle amministrazioni, ma oggi tale via non è più percorribile e non è più possibile ricorrervi poiché tali collegi sono stati soppressi e non esistono più.

Inoltre il patteggiamento veniva comunque ritenuto un’opzione e una soluzione assolutamente facoltativa a totale discrezionalità e scelta arbitraria da parte dell’amministrazione stessa. Tuttavia, aspetto ancor più rilevante, il patteggiamento non valeva e non era permesso in casi di licenziamento quale sanzione disciplinare somministrata.

Il patteggiamento tutt’al più può solo ridurre la sanzione, ma non mutarne il tipo stabilito.

Inoltre il lavoratore può sempre ancora comunque decidere di procedere all’arbitrato o di rivolgersi al giudice del lavoro, come è nei suoi diritti che gli sono riconosciuti per legge. Se il dipendente pubblico vuole ricorrere alla conciliazione o procedura conciliativa, ha non più di 30 giorni di tempo per farlo prima che vi sia la definitiva emissione della pena e a partire da quando gli vengono contestati gli addebiti.

La conciliazione comporta la sospensione temporanea del procedimento disciplinare, dal momento in cui essa viene avviata. Se non sarà positiva, costruttiva, proficua, portando a un accordo pertanto, e se la procedura conciliativa terminerà in un nulla di fatto, allora il procedimento disciplinare riprenderà regolarmente.

L’impugnazione della sanzione

Tuttavia, oltre ai collegi arbitrali di disciplina, è stata proibita anche la fase dell’impugnazione della sanzione. Resta pur vero il fatto che il dipendente pubblico ha ancora a disposizione, in via alternativa ai collegi arbitrali, i collegi di conciliazione e arbitrato.

Queste ultime istituzioni rappresentano una forma di tutela del lavoratore dipendente in tema di impugnazione della sanzione disciplinare, più veloce ed economica (in quanto a basso costo) rispetto al ricorso al giudice (iter giudiziale immediatamente attuabile e attuativo), in materia di impugnazione della sanzione che comporta una sua sospensione e l’avvio di un nuovo iter disciplinare di valutazione. Non è poco, riuscire a guadagnare tempo e risparmiare soldi, data l’enorme burocratizzazione (lunga e cavillosa) che caratterizza spesso il nostro Paese.

Per il dipendente pubblico resta valida l’opportunità di fare ricorso al giudice, ma è consigliabile e auspicabile che tenga a mente la possibilità di riferirsi – invece – entro 20 giorni (dall’emissione della sanzione disciplinare) ad un collegio di conciliazione e arbitrato. In questo il lavoratore può rivolgersi alla direzione provinciale del lavoro. In tal senso occorre sottolineare una cosa importante e rilevante che riguarda tutti i lavoratori: dipendenti pubblici privatizzati ed i privati stessi sono equiparati; pertanto, di conseguenza, vengono parificati anche i relativi procedimenti disciplinari e di conciliazione dell’impugnazione della sanzione che li riguardano.



Di Barbara Conti

note

[1] Secondo quanto disposto e regolamentato dagli artt. 55, 55 bis e 55-octies D. L. 165/2001 (modificato dal 150/2009) e dagli artt. 1339 e 1419 co.2 cod. civ.


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