Il diritto ad essere dimenticati dal web


Ciascuno ha diritto a dimenticare il proprio passato, anche solo virtualmente. Ma come si fa? Come si esercita in diritto ad essere dimenticati?
Dietro al diritto ad essere dimenticati dal web ci sono tantissime storie, storie spesso di gente comune. C’è l’imprenditore che ha evaso le tasse, il giudice che ha partecipato ad incontri a luci rosse, il forestale denunciato per aver appiccato incendi dolosi, il funzionario coinvolto in storie di corruzione, la clinica sanitaria protagonista di un caso di malasanità e così via. Ogni volta che viene inserito il nome di un soggetto in rete ritorna a galla tutto il suo passato. Il web, in pratica, ha una memoria sterminata e non dimentica.
In questa situazione si trovano tantissime persone. Sia che si tratti di collegamenti a fatti di reato, sia che più semplicemente si tratti di episodi poco edificanti, sono moltissime le persone che vogliono cancellare il proprio passato da Internet. Dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea del 2014 [1], di cui abbiamo già parlato in Diritto all’oblio: come esercitarlo? , il diritto all’oblio è riconosciuto a tutti i cittadini europei. Ciò significa che Google, su richiesta dell’interessato, deve eliminare le notizie a lui relative nei casi in cui il suo diritto alla privacy prevale sull’interesse pubblico alla notizia.
Così sono in tanti che si rivolgono agli avvocati esperti della questione per ottenere la cancellazione del proprio passato da internet. Solo ciò che non si trova su Google è destinato all’oblio. Si pensi in proposito che dopo la sentenza della Corte europea, Google ha ricevuto circa 50mila richieste di oblio in un mese, per la maggior parte relative a notizie riportate da giornali e stampa.
Indice
Che cos’è il diritto all’oblio?
Il diritto all’oblio è il diritto ad essere dimenticati e si realizza, in concreto, mediante la rimozione di tutti quei link e riferimenti che rimandano ad un contenuto online lesivo.
La reperibilità di informazioni attraverso i motori di ricerca si basa sul fenomeno della cosiddetta “indicizzazione”: basta inserire una parola chiave nel motore di ricerca e tra i risultati compaiano i vari “link” (= collegamenti) a siti internet e, di conseguenza, alla notizia. Il meccanismo inverso, che invece consente la rimozione di tali link dai motori di ricerca e, di conseguenza, l’impossibilità di trovare agevolmente certi contenuti presenti in rete, è detto “deindicizzazione”. La deindicizzazione, che tecnicamente consente il diritto all’oblio, non equivale all’eliminazione della notizia dalla rete: infatti per eliminare definitivamente un contenuto ritenuto lesivo della propria persona, occorrerà rivolgersi direttamente al titolare del trattamento ovvero al responsabile del trattamento di quel dato e chiederne la cancellazione dal proprio sito internet.
Come nasce il diritto ad essere dimenticati?
L’origine del diritto all’oblio si deve ad un caso giudiziario. Un quotidiano nazionale indisse un gioco a premi che consisteva nella ripubblicazione di vecchie “prime pagine” di cui i lettori dovevano indovinare la data sulla base delle notizie contenute. Un giorno, una di queste prime pagine conteneva la notizia di un omicidio, con l’indicazione del nome del colpevole. Il diretto interessato che vide spuntare il proprio nome dopo diversi anni fece causa al giornale e vinse.
Ora, se nella carta stampata episodi simili sono davvero rari, sul web, invece, la lesione del diritto all’oblio è facilmente realizzabile.
Diritto all’oblio: la normativa
Fino a pochissimo tempo fa il diritto all’oblio non aveva un riferimento normativo. Esso era il frutto della elaborazione giurisprudenziale, avvenuta dapprima in ambito europeo ad opera della Corte di Giustizia Ue, e poi recepito dalle corti nazionali. Il diritto all’oblio ha avuto molta risonanza a seguito della detta sentenza della Corte europea nella quale Google è stato condannato alla deindicizzazione di alcuni siti internet che riportavano notizie lesive della sfera privata e della dignità di un cittadino europeo di origine spagnola.
In Italia, negli ultimi anni la questione è stata affrontata da diversi Tribunali [2] e dalla Corte di Cassazione [3] che con diverse sentenze hanno espressamente riconosciuto questo diritto. Allo stesso modo si è pronunciato anche il Garante della Privacy [4], che ha condannato Google a deindicizzare link non soltanto europei ma anche extra Ue, riconoscendo così all’interessato tutela anche oltre i confini dell’Europa.
Con il nuovo Regolamento europeo sulla privacy [5], poi, il diritto ad essere dimenticati dal web è stato disciplinato in maniera organica.
Come si chiede l’oblio?
Quando un soggetto, sia esso una persona fisica o anche una società, vede il proprio nome associato ad un fatto per così dire negativo, può fare richiesta al giornale o al sito web affinché provveda alla sua rimozione. Ma se neanche con la diffida il sito provvede alla rimozione del contenuto segnalato ci si può rivolgere a Google, affinché lo elimini dal motore di ricerca. Google ha messo a disposizione un modulo per le richieste dei cittadini europei di deindicizzazione, pertanto la domanda può essere formulata direttamente da qualunque cittadino dell’Unione Europea. Tuttavia, le cose spesso si rivelano più complicate di come appaiono e per questo motivo la maggior parte degli interessati si affida ad un avvocato. Questo perché i giornali ed i siti web in generale ricevono moltissime richieste di oblio al giorno e non riescono a gestirle, lasciandone finire molte tra le montagne di pratiche inevase.
Le storie che circolano in rete sono veramente tante, di gran lunga superiori alla normale immaginazione: ecco perché il diritto all’oblio è giusto ed importante. Sul web si consumano lampanti casi di violazione della privacy anche in assenza dei presupposti del diritto di cronaca. Talvolta si diffondono notizie su una persona che sono in realtà vere e proprie “bufale”, ma che si diffondono con estrema facilità e pervicacia, rimanendo in rete per anni e anni.
Oblio e deindicizzazione
È bene precisare, però, che la richiesta che viene formulata a Google o a qualsiasi altro motore di ricerca può essere – ed è – solo una richiesta di deindicizzazione. Ciò vuol dire nascondere da internet le notizie che riguardano una persona, ma non cancellarle. Se la richiesta di deindicizzazione viene accolta la ricerca su Google non darà più nei risultati quei link che sono stati segnalati, ma gli stessi continuano ad esistere nel web. L’unico modo per cancellarli definitivamente la notizia è attraverso il sito stesso che la riporta: se quest’ultimo nega la cancellazione, non resta altro che rivolgersi al giudice.
Il danno all’immagine commerciale
Nell’ipotesi in cui il cittadino eserciti un’attività economica o professionale potrà chiedere al giudice, oltre al diritto all’oblio, anche il risarcimento del danno all’immagine commerciale, fornendone idonea documentazione. Il che potrà essere dimostrato dando prova dell’eccessivo lasso di tempo entro cui la notizia è rimasta online nonostante la richiesta di cancellazione.
A favore del richiedente giocano, invece, altri fattori come il pregiudizio grave (e dimostrabile) che la notizia può arrecare se ulteriormente diffusa, interesse che in genere prevale sul diritto di informazione.
note
[1] Corte di Giustizia, sent. del 13.05.2014, C- 131/2012.
[2] Trib. Roma, sent. n. 23771/2015.
[3] Per tutte Cass. Civ., sent. n. 13161/16.
[4] Provvedimento n. 557 del 21.12.2017 del Garante Privacy.
[5] Regolamento Ue, n. 679 del 27.04.2016.