Colf, maggiordomi, babysitter, badanti e domestiche: il modulo sul trattamento dei dati e rispetto della privacy da far firmare per installare telecamere di videosorveglianza in casa.
Hai assunto da poco tempo una nuova colf: la donna farà le pulizie domestiche e, pur non essendo una badante, aiuterà di tanto in tanto tuo marito, quando non sei a casa, per le eventuali necessità quotidiane. Hai già assunto informazioni sul suo conto e ti è stato garantito che si tratta di persona onesta. Tuttavia la prudenza non è mai troppa e, prima di fidarti completamente, vuoi metterla alla prova. Hai così deciso di installare una telecamera che possa controllare cosa avviene nell’appartamento in tua assenza. A lei dirai che si tratta di un impianto di videosorveglianza già installato, prima del suo arrivo, contro i ladri e i possibili furti. Ti chiedi tuttavia se un controllo del genere sia lecito o meno, se vai incontro a reati e se puoi essere denunciata per violazione della privacy. Insomma, il tuo problema è come controllare cosa fa la colf in casa senza perciò violare la legge.
Di tanto parleremo qui di seguito. Ti ragguaglieremo su ciò che dice lo Statuto dei lavoratori in materia di controlli a distanza dei dipendenti, di quanto ha argomentato la Corte Costituzionale in merito al lavoro domestico e di ciò che una circolare dell’Ispettorato nazionale del Lavoro ha previsto proprio per l’ipotesi di telecamere installate per controllare la domestica. In ultimo ci riferiremo alle raccomandazioni del Garante della Privacy che ha spiegato – essendo di propria competenza – come vanno trattati i dati altrui (anche le videoriprese) e per quanto tempo possono essere conservati.
Ma procediamo con ordine e vediamo come controllare cosa fa la colf in casa.
Lo Statuto dei lavoratori vieta di installare telecamere?
Saprai di certo che una norma dello Statuto dei lavoratori [1] vieta al datore di installare, all’interno della propria azienda, telecamere volte a controllare come lavorano i dipendenti. La videosorveglianza può essere installata solo per prevenire furti o pericoli derivanti agli stessi lavoratori o a terzi dall’attività svolta (si pensi a un macchinario pericoloso); tuttavia in questo caso c’è bisogno del previo consenso dei sindacati o, in alternativa, dell’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro. In ogni caso, i dipendenti devono essere messi al corrente della presenza della telecamera che li inquadra.
Solo i controlli su tablet e cellulari aziendali, sulle auto in uso al personale (col GPS) e sui sistemi di rilevamento delle presenze (badge) possono essere effettuati senza neanche l’autorizzazione sindacale o dell’Ispettorato.
Il divieto dello Statuto dei lavoratori si applica anche al lavoro domestico?
A questo punto ti chiederai se il divieto imposto dallo Statuto dei lavoratori si possa applicare anche a casa tua che, per quanto si tratti di una abitazione privata, è pur sempre il luogo di lavoro di colf, maggiordomi, baby sitter, badanti e domestiche. A tal fine, però, è intervenuta una sentenza della Corte Costituzionale [2] che ha escluso tale equiparazione. «Non v’è dubbio che il rapporto di lavoro domestico per la sua particolare natura si differenzia, sia in relazione all’oggetto, sia in relazione ai soggetti coinvolti, da ogni altro rapporto di lavoro: esso, infatti, non è prestato a favore di un’impresa avente, nella prevalenza dei casi, un sistema di lavoro organizzato in forma plurima e differenziata, con possibilità di ricambio o di sostituzione di soggetti; sibbene di un nucleo familiare ristretto ed omogeneo, destinato, quindi, a svolgersi nell’ambito della vita privata quotidiana di una limitata convivenza».
In ragione di tali caratteristiche, la stessa Corte ha escluso l’operatività al lavoro domestico di gran parte delle norme dello Statuto dei lavoratori [3].
In casa posso tenere delle telecamere contro i ladri?
Sicuramente non ci sono divieti a mantenere in casa telecamere contro i ladri. Le si può installare anche sul pianerottolo esterno, a condizione che l’angolo di incrinatura dell’obiettivo non finisca in prossimità della porta altrui, delle scale, dell’ascensore o del pianerottolo in modo da controllare anche gli altri condomini. Insomma, l’obiettivo deve essere puntato solo in direzione del proprio zerbino.
Telecamere private, volte a prevenire il rischio di furti, non richiedono né l’autorizzazione del condominio, ne la comunicazione preventiva alla questura o ad altra autorità di pubblica sicurezza.
Non c’è dubbio quindi che si possa verificare l’ipotesi in cui la colf entri in una casa con un impianto di videosorveglianza già installato oppure il caso di chi, proprio a seguito dell’assunzione della colf, intenda installare le telecamere a circuito chiuso. Si può fare?
Posso tenere accese le telecamere in casa mentre c’è la colf?
Alla fine del discorso appena fatto possiamo concludere che il proprietario di casa può tenere, all’interno del proprio appartamento, delle telecamere accese mentre la colf sta lavorando. In questo modo, può controllare il suo operato senza bisogno prima di ottenere il consenso né dai sindacati né dell’Ispettorato del lavoro (visto che la norma dello Statuto dei lavoratori non trova applicazione al lavoro domestico). Tantopiù ciò vale se la telecamera resta spenta.
Tanto è stato confermato da una circolare dell’Ispettorato del lavoro [4] che ha ribadito il pensiero della Corte costituzionale: il rapporto di lavoro domestico è sottratto alla tutela dello Statuto dei lavoratori poiché in questo caso, il datore di lavoro è un soggetto privato non organizzato in forma di impresa.
L’utilizzo di telecamere in casa per controllare la colf è dunque possibile ma, nel rispetto della normativa sulla privacy, è necessario rispettare una sola condizione: bisogna informare la colf della presenza della telecamera nell’appartamento e chiederle il consenso al trattamento dei dati.
Non dimentichiamo infatti che la legge sulla privacy [5] stabilisce che «Nell’ambito del rapporto di lavoro domestico e del telelavoro il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale. Il lavoratore domestico è tenuto a mantenere la necessaria riservatezza per tutto quanto si riferisce alla vita familiare».
Il modulo con l’informativa sulla privacy per controllare cosa fa la colf in casa
Veniamo quindi all’ultimo passo di questa guida dedicata a come controllare cosa fa la colf in casa: l’informativa sulla privacy che va consegnata alla colf e che va da quest’ultima firmata (a dimostrazione dell’avvenuta conoscenza). Alla domestica va quindi detto per iscritto:
- che all’interno dell’appartamento vi è una o più telecamere per il controllo a distanza di ciò che ivi avviene;
- che l’angolo di inquadratura della telecamera comprende le stanze [… ovviamente non si potrà mettere la telecamera nel bagno];
- che i dati sono trattati solo a fini di sicurezza e per la prevenzione di furti o altri rischi per gli inquilini dell’immobile;
- che il titolare del trattamento dei dati è [di norma il proprietario di casa o il datore di lavoro della domestica];
- che i dati vengono conservati nel seguente modo [… indicare le modalità di archiviazione dei dati e i sistemi di sicurezza eventualmente utilizzati per prevenire l’impossessamento illecito degli stessi da parte di terzi];
- che i dati vengono cancellati dopo … giorni;
- che la colf, qualora lo chieda, può sempre accedere ai dati per verificare la corretta tenuta degli stessi e la liceità dell’impiego.
Avvisare la badante o la colf della presenza di un sistema di telecamere a circuito chiuso all’interno dell’appartamento, oltre a essere necessario per legge, è anche un buon modo per scongiurare il pericolo che la donna di servizio rubi o non faccia il suo dovere.
Attenzione: l’informativa sulla privacy non richiede il consenso dell’interessato. In altre parole si tratta di una comunicazione che la colf, la badante o la baby sitter deve conoscere, ne deve prendere atto, senza che possa esprimere il proprio consenso in merito o trattare su determinati punti. La sua firma sul modulo con l’informativa sulla privacy serve solo a dimostrarne la presa conoscenza e non l’accettazione (come avverrebbe nel caso in cui si trattasse di un contratto).
Chiaramente, se la domestica non intende sottoscrivere l’informativa, il datore di lavoro potrà risolvere immediatamente il contratto in tronco, senza neanche preavviso.
Altri modi per sapere cosa fa la colf
La videosorveglianza non è l’unico modo per conoscere le abitudini di vita della badante. In alternativa il datore di lavoro potrebbe incaricare un’agenzia investigativa per acquisire informazioni sul conto della domestica, conoscerne le abitudini di vita e le frequentazioni.
La prova contro la badante
Le registrazioni ottenute con la telecamera installata dentro l’appartamento possono valere come prova nei confronti di questa per punire eventuali crimini come furti o maltrattamenti agli anziani. La giurisprudenza ha infatti riconosciuto il valore di prova documentale alle registrazioni video.
note
[1] Art. 4 Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970).
[2] C. Cost. sent. 11-23 dicembre 1987 n. 585.
[3] C. Cost. sent. n. 27 del 1974.
[4] Ispettorato del lavoro, nota 8 febbraio 2017 prot. n. 1004
[5] Art. 115 L. 196/2003.
Ispettorato Nazionale del Lavoro
Nota 8 febbraio 2017 prot. n. 1004
Lavoro domestico – Privacy del lavoratore – Controllo a distanza del lavoratore – Impianto di videosorveglianza in un’abitazione privata – Riscontro
Oggetto: Richiesta chiarimenti per impianti di videosorveglianza. Riscontro.
Richiesta chiarimenti per impianti di videosorveglianza. Riscontro.
Si riscontra la nota in epigrafe, con cui codesto Ufficio ha chiesto alla scrivente Direzione un parere in merito alla possibilità di autorizzare l’installazione di un impianto di videosorveglianza collocato in un’abitazione privata all’interno della quale è presente un lavoratore domestico.
Al riguardo occorre premettere che si definisce “lavoro domestico” l’attività lavorativa prestata esclusivamente per le necessità della vita familiare del datore di lavoro (art. 1, legge 339/1958), che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico diretti al funzionamento della vita familiare.
Il collaboratore domestico svolge l’attività lavorativa nella casa abitata esclusivamente dal datore di lavoro e dalla sua famiglia, in quanto il rapporto di lavoro domestico non si svolge all’interno di un’impresa organizzata e strutturata, ma nell’ambito di un nucleo ristretto ed omogeneo, di natura per lo più familiare e risponde alle esigenze tipiche e comuni di ogni famiglia.
Nella sentenza 11-23 dicembre 1987 n. 585, la Corte Costituzionale ha affermato che “non v’è dubbio che il rapporto di lavoro domestico per la sua particolare natura si differenzia, sia in relazione all’oggetto, sia in relazione ai soggetti coinvolti, da ogni altro rapporto di lavoro: esso, infatti, non è prestato a favore di un’impresa avente, nella prevalenza dei casi, un sistema di lavoro organizzato in forma plurima e differenziata, con possibilità di ricambio o di sostituzione di soggetti, sibbene di un nucleo familiare ristretto ed omogeneo, destinato, quindi, a svolgersi nell’ambito della vita privata quotidiana di una limitata convivenza. In ragione di tali caratteristiche, proprie al rapporto, la Corte ha già
evidenziato, in via di principio, la legittimità di una disciplina speciale anche derogatoria ad alcuni aspetti di quella generale (sentenza n. 27 del 1974)”.
Il rapporto di lavoro domestico, in considerazione della peculiarità dello stesso, sin dall’origine ha goduto di una regolamentazione specifica, che, per l’appunto, tiene conto delle speciali caratteristiche che contraddistinguono la prestazione lavorativa resa dal lavoratore, l’ambiente lavorativo e, fattore non irrilevante, la particolare natura del soggetto datoriale.
Alla luce di siffatte considerazioni, è del tutto evidente che anche le fasi di estinzione del contratto di lavoro domestico sono disciplinate da un corollario normativo che, si può dire quasi fisiologicamente, si allontana dalle regole generali che assistono, ordinariamente, il momento di interruzione del legame negoziale fra le parti interessate.
All’interno quindi del perimetro normativo delineato, il rapporto di lavoro domestico è sottratto alla tutela dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970) poiché in questo caso, il datore di lavoro è un soggetto privato non organizzato in forma di impresa.
Di conseguenza è esclusa l’applicabilità dei limiti e dei divieti di cui all’art. 4 della legge n. 300/1970, che insieme agli artt. 2, 3 e 6 costituisce un corpus normativo tipico di una dimensione “produttivistica” dell’attività di impresa, differenziandosi, invece, a titolo esemplificativo, dalla natura estensiva dell’applicabilità dell’art. 8 dello Statuto, che pone il divieto di indagini su profili del lavoratore non attinenti alle sue attitudini professionali e che trova piena cittadinanza anche nell’ambito del lavoro domestico.
L’esclusione del lavoro domestico dall’applicabilità dell’art. 4 della legge n. 300/1970 non sottrae al rispetto dell’ordinaria disciplina sul trattamento dei dati personali, essendo confermata la tutela del diritto del lavoratore alla riservatezza, garantita dal d.lgs. n.196/2003, che dispone la necessarietà del consenso preventivo e del connesso obbligo informativo degli interessati.
Nell’ambito domestico, il datore di lavoro, anche nel caso di trattamento di dati riservati per finalità esclusivamente personali, incontra i vincoli posti dalla normativa sul trattamento dei dati personali a tutela della riservatezza e in particolare quanto previsto dall’art. 115 del d.lgs. n.196/2003.