Per evitare che siano “i praticanti a fornire sostegno economico all’avvocato” e non viceversa, l’Asla ha definito un protocollo di best practice.
In assenza di norme cerche che tutelino la figura del praticante avvocato, l’Asla (Associazione Studi Legali Associati) ha definito un documento di best practice con lo scopo di definire i diritti e i doveri dei collaboratori di studio. A cominciare dal tanto invocato diritto alla retribuzione, commisurata all’età, all’esperienza e ad altri indicatori predefiniti. Ma c’è anche una polizza infortuni e malattie. È prevista la tutela della maternità e il diritto alle assenze dallo studio per prepararsi all’esame di abilitazione professionale. Ma, dall’altro lato della medaglia, il praticante ha anche precisi doveri, come quello di formazione e di seguire un percorso di crescita professionale.
Si tratta, ovviamente, di un protocollo del tutto volontario, cui aderiscono già i grossi studi legali associati.
Non molti giorni fa si era proprio parlato della possibilità di creare la figura del “praticante dipendente” (leggi l’articolo “Avvocati: un albo speciale per tutelare i “senza clienti e praticanti”), segno questo della necessità, comunque, di trovare una collocazione più certa e meritocratica ai collaboratori di studio. Il protocollo risponde proprio a quest’ultima necessità. “Che senso ha – puntualizza criticamente il presidente dell’Asla – che un Presidente dell’Ordine del Sud, con 12 mila euro di reddito all’anno, abbia 18 praticanti? Forse, in quel caso, sono i praticanti a offrire un sostegno economico al titolare dello studio”.