Un’anziana signora, da qualche tempo portatrice di Alzheimer progressivo ha due figlie: una la accudisce (ivi compreso il padre anch’egli inabile per anni ma ora deceduto) e l’altra, che abita a 300 km, se ne disinteressa da oltre vent’anni. Vi è ora necessità di rogitare un minuscolo mappale all’urbano facente parte della abitazione dell’anziana, usufruttuaria del medesimo immobile sul quale la sola figlia che la accudisce ha la nuda proprietà, per ribadirne a fronte di antichi errori di “geometri e catasto” la piena proprietà di confinanti terzi. La soluzione più logica sarebbe quella di ricorrere all’intervento del giudice per la nomina di un tutore, ma esiste un’alternativa a ciò? Oltre ai tempi lunghi vi sarebbero anche problemi burocratici conseguenti, in ragione soprattutto del fatto che la figlia lontana non si sa se sarebbe disponibile per firme di inizio procedimento e altro.
Se la signora affetta da Alzheimer versa in condizioni di infermità mentale grave e permanente che gli impediscano di provvedere ai propri interessi, farle sottoscrivere un atto espone quello stesso atto al rischio, assai serio, di essere annullato.
Infatti l’articolo 428 del Codice civile stabilisce che se una persona (non interdetta) compie un atto e si dimostra che nel momento in cui l’ha compiuto era incapace, per una qualsiasi causa, di intendere e volere e quell’atto è tale da arrecarle un grave pregiudizio, quella stessa persona o i suoi eredi o i suoi aventi causa possono chiedere l’annullamento dell’atto (entro il termine di cinque anni dal momento in cui l’atto è compiuto).
Per di più, se l’atto che questa signora deve compiere richiede l’intervento del notaio, c’è da considerare che la legge professionale notarile ed il relativo regolamento impone ai notai (articoli 47 della legge notarile e articolo 67 del connesso regolamento) di verificare che l’atto che andranno a confezionare sia effettivamente rispondente alla volontà di chi lo sottoscriverà e che questa volontà si sia manifestata liberamente.
Se, quindi, al notaio dovesse sembrare che la signora non sia capace di intendere e volere, anche se non interdetta, egli potrebbe o richiedere un accertamento medico legale prima di procedere al rogito, oppure, se l’infermità fosse evidente e non lasciasse dubbi, potrebbe direttamente rifiutarsi di rogare l’atto (ci potrebbe infatti essere una sua responsabilità professionale se, un domani, quell’atto fosse annullato con sentenza di un giudice in quanto compiuto da persona incapace di intendere e volere).
Da quanto si è detto emerge che far sottoscrivere un atto ad una persona effettivamente incapace di intendere e volere, anche se non ancora interdetta con sentenza definitiva, è un rischio in quanto quell’atto potrebbe in futuro, ai sensi dell’articolo 428 del Codice civile, essere annullato (o il notaio stesso potrebbe rifiutarsi di rogarlo).
L’alternativa, per evitare i rischi sopra evidenziati e soprattutto se le condizioni di infermità mentale della signora sono davvero serie, è quella di avviare l’iter della interdizione legale che prevede la nomina di un tutore.
Si noti che, durante il processo ed in attesa della sentenza che dichiara l’interdizione, è possibile, ai sensi dell’articolo 419 del Codice civile che il giudice, subito dopo l’esame della persona da interdire, nomini un tutore provvisorio in modo da non bloccare, in attesa dei tempi lunghi della sentenza, le attività connesse alla esistenza della persona da interdire.
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Angelo Forte
Nei confronti di un soggetto affetto da grave patologia (quale l’encefalopatia connatale da toxoplasmosi intrauterina con grave ritardo psicomotorio ed intellettivo e cecità bilaterale), la cui evoluzione nel tempo può essere solo peggiorativa, viene pronunciata l’interdizione, in quanto questa malattia comporta un’abituale infermità mentale tale da rendere il soggetto incapace di intendere e volere e quindi di provvedere autonomamente ai propri bisogni.