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Mantenimento figlio maggiorenne studente che lavora

13 Gennaio 2019
Mantenimento figlio maggiorenne studente che lavora

Si deve mantenere un figlio studente universitario che ha un contratto di lavoro a tempo determinato (part-time)? Cosa rischia il genitore che non versa più l’assegno?

Tua figlia ha 24 anni. Sino ad oggi hai versato a sua madre – la tua ex moglie da cui hai divorziato diversi anni fa – l’assegno di mantenimento per farla studiare e vivere agiatamente. Seppure in ritardo rispetto ai tempi previsti per la laurea, la ragazza sta ultimando il proprio percorso di studi all’università; le mancano alcuni esami, i più importanti. Ora però ha ottenuto un posto di lavoro con un contratto part-time, circostanza però che la rallenterà ulteriormente nel raggiungimento dell’agognato titolo. Poiché non ti va di mantenerla vita natural durante, hai deciso di non versarle più il mantenimento. Ritieni infatti che, avendo lei scelto di accettare l’assunzione, deve assumersi anche gli oneri di tale decisione: è quindi arrivato il momento che pensi a sé stessa. Puoi farlo? Cosa prevede la legge in merito al mantenimento del figlio maggiorenne studente che lavora? La questione è stata decisa dalla Cassazione con una recente ordinanza [1]. 

La pronuncia è interessante perché annulla le contrarie decisioni del primo e del secondo grado, a dimostrazione di quanta confusione ancora ci sia, tra gli stessi giudici, in merito alle condizioni che fanno venire meno il diritto del figlio a essere mantenuto quando già “grande” e capace di trovare un lavoro da sé.

Di tanto parleremo qui di seguito. Nello spiegarti qual è stata la soluzione adottata dalla Cassazione nel caso concreto, risponderemo anche alle domande più frequenti e comuni che, di solito, vengono poste all’avvocato quando si tratta di stabilire il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Ma procediamo con ordine.

Fino a quando versare il mantenimento per il figlio maggiorenne?

Come noto, il raggiungimento dei 18 anni non determina la cessazione automatica del diritto al mantenimento per il figlio di una coppia divorziata. L’obbligo dei genitori è di provvedere alle sue necessità fino a quando questi non sia in grado di mantenersi da solo. Per la legge, il giovane è sempre in condizioni di incapacità salvo prova contraria (prova che, evidentemente, dovrà fornire il genitore tenuto a versargli l’assegno periodico). Questa presunzione però si attenua man mano che il ragazzo diventa adulto, fino ad arrivare a 35 anni: età in cui, secondo la Cassazione, si spezza la presunzione di incapacità economica e subentra invece una visione opposta, quella secondo cui l’assenza di un’occupazione è piuttosto determinata dalla sua inerzia nella ricerca. 

Figlio maggiorenne con un lavoro: va mantenuto?

Affinché il lavoro possa determinare il venir meno dell’assegno di mantenimento deve essere stabile. La reiterazione di lavori a tempo determinato è stata considerata una sufficiente condizione per chiedere l’annullamento del mantenimento. 

Nelle ultime sentenze la Cassazione sembra non interessarsi tanto dell’entità dello stipendio (complici anche le condizioni economiche del Paese), ritenendo che anche un contratto part-time possa far cessare l’obbligo dell’assegno periodico. Tale valutazione però è influenzata dal reddito del genitore. Difatti, poiché scopo dell’assegno di mantenimento al figlio è garantire a quest’ultimo «le stesse condizioni economiche» di cui godeva quando i genitori erano ancora separati, è conseguenza logica che chi è figlio di una coppia benestante ha diritto alla prosecuzione del mantenimento se ottiene uno stipendio minimo; non invece chi ha genitori che non versano in buone condizioni.

Cosa può fare il padre che versa il mantenimento al figlio?

C’è un errore che molti padri, tenuti a versare il mantenimento, commettono nel momento in cui vedono il figlio maggiorenne acquisire un lavoro: interrompono, di propria spontanea iniziativa, il versamento dell’assegno. In verità non possono farlo: devono prima farsi autorizzare dal giudice. Il che significa che devono proporre, per il tramite di un avvocato, un giudizio in tribunale per la revisione dell’assegno di mantenimento. 

Ciò che però è possibile fare senza l’ok del giudice è mutare il destinatario dell’assegno: non più la madre ma direttamente il figlio, a condizione che sia quest’ultimo a chiederlo.

Figlio studente con part-time: va mantenuto?

Veniamo alla sentenza in commento. Il figlio che ancora non si è laureato e sta ultimando il percorso di studi, ma che ciò nonostante decide di accettare un posto di lavoro part-time, perde il mantenimento. A detta della Cassazione sì; non è quindi possibile denunciare il padre per l’omesso versamento del mantenimento. Decisiva, secondo i magistrati, la constatazione che «la figlia è maggiorenne, non è inabile al lavoro» e quando il padre non le ha più versato il previsto mantenimento «svolgeva attività lavorativa con un contratto part-time».

Risultato: il genitore non commette reato [2] se manca di versare il mantenimento al figlio maggiorenne abile al lavoro, anche se ancora studente.


note

[1] Cass. ord. n. 1342/19

[2] Art. 570 co. 2. cod. pen. 

Autore immagine: 123rf com

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 dicembre 2018 – 11 gennaio 2019, n. 1342

Presidente Petruzzellis – Relatore Bassi

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza del 23 settembre 2014, con cui il Tribunale di Ascoli Piceno ha condannato alla pena di legge Ma. Li. per il reato di cui all’art. 570, comma secondo n. 2, cod. pen., per avere omesso di versare le somme stabilite dal giudice in favore della figlia.

2. Con atto a firma del difensore di fiducia, Ma. Li. ricorre avverso il provvedimento e ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo, la difesa eccepisce la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione per avere la Corte d’appello erroneamente omesso di riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 388 cod. pen.;

2.2. Con il secondo e terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione, per avere i giudici di merito errato nell’applicare il disposto dell’art. 570 cod. pen. A sostegno delle doglianze si evidenzia, per un verso, che l’imputato non ha mai tenuto alcun comportamento contrario all’ordine ed alla morale della famiglia, né si è mai sottratto agli obblighi di assistenza relativi alla responsabilità genitoriale; per altro verso, che la Corte d’appello ha ritenuto integrato il reato sebbene la figlia maggiorenne abbia abbandonato il domicilio domestico, per libera scelta, a seguito del decesso della madre. La difesa sottolinea inoltre come l’inadempimento abbia riguardato tre sole mensilità, rispetto alle quali avrebbe dovuto essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.; come, all’epoca del fatto, la persona offesa fosse maggiorenne ed avesse raggiunto una condizione di autosufficienza economica, sicché faceva difetto lo stato di bisogno; come l’imputato si trovasse in condizione di non poter adempiere agli obblighi ignorando il luogo di dimora della figlia – persona offesa.

2.3. Con il quarto motivo, l’impugnante rileva la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 124 cod. pen., per avere la Corte d’appello erroneamente omesso di dichiarare l’improcedibilità del reato per tardività della querela.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato in relazione al secondo ed assorbente motivo, con il quale il ricorrente si duole della ritenuta integrazione del reato contestato sul presupposto che la figlia beneficiaria dell’assegno di mantenimento fosse ormai maggiorenne all’epoca dei fatti.

2. Giova rilevare come, secondo il chiaro enunciato normativo, l’art. 570, comma secondo n. 2, cod. pen. punisca – con le pene stabilite dal primo comma applicate congiuntamente – colui il quale “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro (…)”.

2.1. Ne discende che non integra il reato in parola la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza a figli maggiorenni non inabili a lavoro, anche se studenti: l’onere di prestare i mezzi di sussistenza, penalmente sanzionato, ha infatti un contenuto soggettivamente e oggettivamente più ristretto di quello delle obbligazioni previste dalla legge civile, potendo sussistere la fattispecie delittuosa di cui all’art. 388 cod. pen. qualora ricorrano i requisiti previsti da tale norma (segnatamente il compimento di atti fraudolenti diretti ad eludere gli obblighi di cui trattasi) (Sez. 6, n. 895 del 25/11/1993 – dep. 1994, Cavallaro, Rv. 196946).

2.2. D’altra parte, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, l’inabilità al lavoro rilevante ai sensi del citato art. 570, comma secondo, impone al genitore l’obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza anche al figlio maggiorenne va intesa, in base alla definizione contenuta negli artt. 2 e 12 della I. n. 118 del 1971, come totale e permanente inabilità lavorativa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto insussistente il reato, in quanto al figlio maggiorenne, a cui l’imputato aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza, era stata riconosciuta una riduzione permanente della capacità lavorativa inferiore al 75%). (Sez. 6, n. 23581 del 13/02/2013, L. P, Rv. 256258).

2.3. Sulla scorta di quanto sopra, risulta di tutta evidenza l’insussistenza dei presupposti dell’incriminazione in oggetto.

Come si evince dalla sentenza, alla data dell’inizio del delitto permanente (17 ottobre 2009, giusta contestazione), la figlia era ormai maggiorenne (essendo nata il 4 dicembre 1985); d’altra parte, dalla ricostruzione in fatto tratteggiata in motivazione, risulta chiaro che la ragazza non era inabile al lavoro, tanto che svolgeva un lavoro con contratto part-time (v. pagina 4 della sentenza).

3. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non sussiste.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.


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