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Coinquilino ha droga in casa: cosa rischio?

27 Gennaio 2019
Coinquilino ha droga in casa: cosa rischio?

Differenza tra detenzione per uso personale e spaccio: le sanzioni amministrative e penali per droghe leggere e pesanti.

Il sospetto si è trasformato infine in certezza: il tuo coinquilino fa uso di droghe. E probabilmente le spaccia. Te ne sei accorto troppo tardi: ormai è dentro casa e avete un accordo che devi rispettare. Nel frattempo, dopo aver trovato nel cassetto della sua camera alcuni spinelli e una bustina sospetta di polvere bianca, ti chiedi come devi comportarti. Il tuo terrore è che un giorno possa arrivare la polizia e chiederti chiarimenti. Se un agente trovasse la “roba” nel salotto – unica stanza insieme alla cucina che condividete – potresti essere ritenuto responsabile anche tu? Come farai a dimostrare che è roba sua e non tua? Ci sono delle pene per chi affitta o subaffitta una camera a un pusher? Così chiami un tuo amico che fa l’avvocato e gli chiedi: se un coinquilino ha droga in casa cosa rischio? Se il legale ha letto la sentenza della Cassazione dell’altro ieri [1] ti risponderà probabilmente nel seguente modo.

L’uso personale di droghe leggere è reato?

Chi detiene droghe leggere come cannabis e la quantità è tale da far ritenere che siano destinate solo a un uso personale non compie alcun reato ma subisce solo delle sanzioni di ordine amministrativo disposte dal Prefetto del luogo di sua residenza. Quindi nessun processo e nessuna fedina penale macchiata.

Se però la polizia dovesse ritenere che il quantitativo di sostanze stupefacenti è incompatibile con l’uso personale farebbe scattare una imputazione per spaccio di droga.

Come si fa a capire che la droga è per uso personale o per spaccio?

La legge non individua la quantità di droga oltre la quale si passa dall’uso personale alla detenzione per fini di spaccio. Il che pone tutta la decisione sul giudice, al quale quindi spetterà decidere se chiudere il processo penale e rinviare gli atti al Prefetto per l’applicazione delle sanzioni amministrative (uso personale) o se emettere una sentenza di condanna penale (spaccio). In quest’ultimo caso la pena è la reclusione da 2 a 6 anni. Invece per le droghe “pesanti” la pena è la reclusione da 8 a 20 anni.

Di solito, gli elementi su cui si basa il tribunale penale per ricostruire le intenzioni del possessore di droga sono:

  • la quantità di sostanza detenuta e del relativo principio attivo (THC);
  • la presenza di coltelli o arnesi da taglio, bilancini di precisione, materiali da confezionamento (domopak, pellicole) tali da far presumere che si voglia dividere la droga per singole porzioni da distribuire poi ai vari acquirenti;
  • la disponibilità di grosse somme di denaro in contante non giustificabili sulla base dei propri redditi.

Quindi non è solo la quantità di droga a spostare l’ago della bilancia dall’uno all’altro verso.

Di solito, volendo tracciare una media sulla base delle decisioni adottate dai tribunali, per esservi uso personale il principio attivo non deve superare circa 1 e 1,5 gr. di THC. Quindi per l’hashish e la marijuana la quantità di sostanza posseduta dovrà essere più o meno pari a 10-15 g con una percentuale di principio attivo intorno al 10%.

Sanzione amministrativa per droghe leggere

Vediamo qual è la sanzione amministrativa prevista per la detenzione di droghe leggere a uso personale. Il Prefetto convoca il responsabile a comparire presso di sé (se minorenne vengono chiamati anche i genitori). Viene effettuato un colloquio all’esito del quale il Prefetto può decidere se

fare solo un ammonimento a non usare più le droghe leggere

sospendere e ritirare un documento da 1 a 3 mesi come la patente, il passaporto, il porto d’armi, il permesso di soggiorno.

Cosa può fare la polizia se sospetta la presenza di droghe a casa

La polizia può, anche senza mandato del Magistrato, effettuare controlli, perquisizioni e ispezioni personali. Ci devono comunque essere fondati sospetti. Se viene trovata droga, le autorità devono stilare un verbale di sequestro che, entro 48 ore, deve essere convalidato dal PM. Il responsabile dovrà subito dichiarare che la droga è per uso personale.

Quali responsabilità per il coinquilino che detiene droga?

Se hai un coinquilino che viene trovato in possesso di droga non sei automaticamente responsabile. La polizia deve prima acquisire una prova della tua diretta disponibilità della sostanza stupefacente. Il semplice fatto di aver dato la disponibilità dell’alloggio e l’uso dell’armadio non possono concretizzare il concorso di persone nel reato contestato.

Ribadisce la Suprema Corte che in mancanza di prove non si può ritenere corresponsabile anche il coinquilino o chi ha dato in subaffitto una camera e convive con il possessore/consumatore. Al riguardo, è necessario sottolineare che in caso di mera presenza sul luogo del reato, il soggetto agente è punibile a titolo di concorso nel reato solo nell’ipotesi in cui abbia partecipato o facilitato la realizzazione del fatto illecito, anche con un consapevole rafforzamento della volontà criminosa dell’esecutore.

Convivente con droga in casa: cosa si rischia?

In caso di detenzione o coltivazione di sostanze stupefacenti all’interno dell’abitazione del convivente, quest’ultimo non è imputabile per concorso nel reato se non viene dimostrato il suo apporto alla condotta criminosa del partner, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso, configurandosi in tal caso una mera connivenza non punibile. Questo è quanto si desume dalla sentenza della Corte d’appello di Roma [2].

Secondo i giudici non si è in presenza di un concorso nel reato, bensì di una cosiddetta connivenza non punibile, ovvero quella situazione nella quale un soggetto è a conoscenza della commissione di un reato ma non arreca alcun contributo alla sua realizzazione, né sotto il profilo causale né sotto il profilo psicologico.

In altri termini, spiega il Collegio, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità proprio con riferimento ai reati in materia di stupefacenti, si configura una connivenza non punibile «a fronte di una condotta meramente passiva, consistente nell’assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell’illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si offra un consapevole apporto – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito». Ciò posto, nel caso di specie, secondo i giudici, non è ben spiegato dall’accusa il tipo di apporto che la donna può aver dato alla consumazione del reato da parte del compagno, non potendo essere confusa la titolarità dell’immobile in cui è stata rinvenuta la sostanza stupefacente con una partecipazione effettiva all’azione criminosa.


note

[1] Cass. sent. n. 3588/19 del 24.01.2019.

[2] C. App. Roma, sent. n. 6346/2019.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 – 24 gennaio 2019, n. 3588

Presidente Andreazza – Relatore Semeraro

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza del 10 maggio 2018, ha confermato la condanna inflitta il 22 giugno 2017 a A.S.S. , all’esito del giudizio abbreviato, dal Tribunale di Prato per il reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, commi 3, 4 e 6 alla pena di un anno ed otto mesi di reclusione ed Euro 4.000 di multa per la detenzione di kg. 2,593 di hashish e 4 gr. di marijuana, commessa in concorso con B.A.H. e Ay.Be.Ja. . I fatti sono stati accertati il (omissis) .

2. Il difensore di A.S.S. ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 10 maggio 2018.

2.1. Dopo aver ricostruito il fatto e l’iter del procedimento, con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) per il mancato rispetto del principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio.

Gli indizi a carico dell’imputato non sarebbero gravi, precisi e concordanti, sicché non sarebbe superata la soglia del ragionevole dubbio.

La condanna sarebbe intervenuta perché l’imputato era il sub conduttore della stanza, occupata insieme ai coimputati, nel cui unico armadio è stato ritrovato il trolley contenente la sostanza stupefacente.

Il concorso di persone nel reato sarebbe stato ritenuto esistente solo perché il quantitativo rilevante, detenuto in uno spazio ristretto, comportava logicamente ed organizzativamente il concorso di persone.

La Corte di appello avrebbe dovuto indicare perché la condivisione dello spazio comune significava anche condivisione della detenzione, non essendo indicato di chi fosse il trolley.

La Corte di appello sarebbe poi incorsa nel travisamento della prova per omissione; avrebbe omesso di valutare che:

– il trolley poteva appartenere anche a Ay.Be.Ja. il quale, prima dell’imputato, aveva occupato la stanza due settimane prima del controllo della polizia giudiziaria, ed aveva confessato di aver svolto l’attività di cessione dello stupefacente, di cui la detenzione è condotta prodromica;

– nessuno dei coimputati aveva rivendicato la paternità della sostanza stupefacente;

– B.A.H. aveva dichiarato che la sostanza stupefacente rinvenuta fosse di Ay.Be.Ai. .

Inoltre, la Corte di appello avrebbe dato valore probatorio alla dichiarazione di D.P.D. sulla frequentazione dell’appartamento anche da parte di alcuni ospiti, già prima dell’arrivo dell’Ay. , poi intensificatesi, che invece non avrebbe i caratteri ex art. 192 c.p.p..

Il ragionamento sarebbe fondato su una mera supposizione, posto che nessun cliente è stato identificato e non sono stati svolti servizi di osservazione, tali da provare che il ricorrente sia un concorrente nel reato o un semplice connivente, posto che gli elementi di prova ove non univoci devono essere valutati in senso favorevole all’imputato.

La motivazione sarebbe poi logicamente viziata laddove ha ritenuto priva di valore probatorio l’assenza di strumenti per il peso ed il confezionamento della sostanza stupefacente, in quanto dal quantitativo rinvenuto non si può dedurre la conoscenza del contenuto e la volontà di partecipare alla condotta di detenzione.

L’unica prova sarebbe costituita dalla disponibilità della stanza insieme agli altri coimputati.

2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; il rigetto si sarebbe fondato sull’assenza di un apporto collaborativo del ricorrente e non hanno avuto rilievo l’età o la situazione familiare del ricorrente, a fronte della recidiva infraquinquennale.

La Corte di appello non avrebbe valutato il contributo di A.S.S. che avrebbe dichiarato che B.A.H. e Ay.Be.am. avrebbero ospitato delle persone nella stanza per fumare e fornito così un contributo al quadro indiziario; anche il contegno processuale e la giovane età avrebbero potuto essere valutate per la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Dopo i richiami giurisprudenziali sull’obbligo di motivazione, si afferma che la motivazione della sentenza non avrebbe indicato le ragioni del rigetto della richiesta di mitigazione della pena.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio della motivazione sulla dichiarazione di responsabilità del ricorrente, è fondato, con conseguente assorbimento del secondo motivo.

Al ricorrente è contestata una condotta di codetenzione della sostanza stupefacente rinvenuta in un trolley posto nell’armadio della stanza; armadio in uso alle tre persone che occupavano la stanza.

1.1. La motivazione della sentenza impugnata presenta infatti aspetti di contraddittorietà interna laddove da un lato valorizza la presenza di italiani nella stanza, il via vai descritto nella sentenza, la circostanza che avrebbero fumato evidentemente sostanza stupefacente si dice – nella stanza, e dall’altro afferma apoditticamente che nella stessa stanza sarebbero avvenute cessioni, verosimilmente, di quantitativi importanti di sostanza stupefacente: tale affermazione, che può giustificare l’assenza di strumenti per il confezionamento delle dosi, è però in aperta contraddizione con le “fumate”, che semmai implicano un uso immediato della sostanza stupefacente ceduta, in quantitativi però minimi.

1.2. Inoltre, la conclusione che i contatti con gli italiani, descritti dal teste D.P. , abbiano avuto ad oggetto la cessione della sostanza stupefacente, in concorso tra i tre occupanti la stanza, anche prima dell’arrivo dell’Ay. , è frutto di una motivazione apodittica, posto che l’unico ad aver ammesso di cedere le sostanze stupefacenti è Ay.Be.Ja. ed in assenza di altri elementi di prova che non siano i contatti. La Corte di appello non ha indicato neppure, al di là della presenza nella stanza e nella sua disponibilità, quale reale contributo avrebbe posto in essere il ricorrente alla ritenuta attività di cessione: attività di cessione su cui poi si fonda l’attribuzione della detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta nel trolley.

1.3. Soprattutto, la motivazione della sentenza impugnata, come rilevato dalla difesa, non ha dato alcun valore probatorio, neanche per negarlo, alle dichiarazioni del ricorrente e di B.A.H. quanto al fatto che il trolley fosse nella disponibilità di Ay.Be.Ja. il quale per altro è l’unico ad aver ammesso di spacciare, secondo quanto si riporta anche nella sentenza impugnata.

Tale travisamento della prova per omissione scardina la logica della motivazione della sentenza, che invece si fonda su una sorta di codetenzione correlata allo spazio in cui il fatto è avvenuto ed alla disponibilità dell’armadio.

2. Il corretto percorso logico da seguire è quello di individuare l’autore della condotta tipica in base agli elementi di prova esistenti (di chi è il trolley portato nella stanza) per poi individuare, trattandosi di una condotta in concorso di persone nel reato, in maniera concreta l’attività del concorrente – il ricorrente: tale attività può estrinsecarsi o nella commissione della condotta tipica, o di parte di essa, o di ogni altra azione o omissione che concretizzi un qualsiasi contributo, materiale o psicologico, alla fase dell’ideazione, organizzazione ed esecuzione dell’azione criminosa collegata dal nesso causale.

In assenza di prova della diretta disponibilità della sostanza stupefacente al ricorrente, l’aver dato la disponibilità dell’alloggio e l’uso comune dell’armadio non possono concretizzare il concorso di persone nel reato; il contributo deve estrinsecarsi, in maniera concreta, consapevole e volontaria, nell’occultamento, custodia e controllo della sostanza stupefacente; una condotta quindi finalizzata ad evitare che la stessa sia rinvenuta e sia prodromica a protrarre la illegittima detenzione, non essendo per altro neanche sufficiente la consapevolezza della perpetrazione del reato a parte di altri.

In caso di mera presenza sul luogo del reato, l’agente è punibile a titolo di concorso di persone solo qualora abbia partecipato o comunque facilitato la realizzazione del reato, anche mediante un consapevole rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore; quando la presenza, purché non meramente casuale, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto ed allorché l’agente abbia la coscienza e la volontà dell’evento cagionato da altro o altri coimputati, sia servita a fornire stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza, rafforzando l’altrui proposito criminoso.

La sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.


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