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Lettera anonima in redazione: si può pubblicare la notizia?

7 Febbraio 2019 | Autore:
Lettera anonima in redazione: si può pubblicare la notizia?

Una denuncia anonima può anche dar corso a un procedimento penale ma può giustificare invece un articolo giornalistico? È diffamazione?

Immagina di lavorare nella redazione di un giornale. Un bel giorno arriva una lettera anonima di un cittadino che accusa il sindaco di aver favoreggiato determinate persone nell’acquisizione degli alloggi popolari. L’estromesso contesta l’assenza di trasparenza nelle aggiudicazioni. Con i tuoi colleghi valutate la possibilità di pubblicare la lettera scandalistica, scaricando sull’ignoto mittente tutte le conseguenti responsabilità penali che ne potrebbero derivare. Si tratterebbe cioè di riportare il testo di un’accusa scritta da un’altra persona, di cui voi vi lavereste le mani. Prima di procedere però consultate l’ufficio legale. All’avvocato che segue il vostro quotidiano ponete la seguente domanda: se arriva una lettera anonima in redazione, si può pubblicare la notizia? La soluzione al caso giudiziario è quella sposata dalla Cassazione con una sentenza recente [1].

Il giornalista è responsabile delle sue fonti

Anche se non è tenuto a rivelare in pubblico le proprie fonti (ossia gli “informatori”), il giornalista deve sempre vagliarle accuratamente e con scrupolo. Non può cioè affidarsi a “voci di corridoio” o a persone che non hanno adeguata conoscenza dei fatti. Non si può fare un servizio giornalistico sulla base di semplici sospetti. 

I limiti del diritto di cronaca sono infatti ben noti: non c’è solo l’attualità della notizia e il pubblico interesse ma anche la verità dei fatti. “Verità” che, se anche potrebbe non aver ancora assunto una valenza oggettiva, deve comunque provenire da fonti attendibili (si pensi alla pubblicazione del capo di accusa nei confronti di una persona, contenuto nell’imputazione del pubblico ministero, la cui indagine però non è stata ancora portata a termine ed i cui fatti non sono stati accertati dal giudice).

Chi pubblica notizie assunte da fonti non serie si assume tutta la responsabilità di ciò che scrive. Con la conseguenza che può essere chiamato a rispondere del reato di diffamazione. La fonte giornalistica deve essere sempre attendibile. Qualora la notizia sia falsa, ma l’errore del giornalista sia ritenuto “scusabile” per aver questi pubblicato un fatto che, all’esito di attente ricerche, riteneva essere vero, non c’è alcuna responsabilità penale. 

Anche i fatti narrati devono essere veri

Sempre per fare un esempio, immaginiamo che in redazione arrivi una lettera anonima con cui una persona non meglio identificata denunci le precarie condizioni di igiene dell’ospedale. Il mittente sostiene di essere stato ricoverato e, in quel frangente, di aver visto scarafaggi nei corridoi, batuffoli di cotone buttati a terra, infermiere non adeguatamente specializzate. Si può fare uscire un pezzo sulla base di queste accuse anonime? Anche in questo caso la sentenza della Cassazione citata in apertura offre la soluzione adeguata. Un articolo giornalistico non può essere basato su una lettera anonima arrivata in redazione. 

Basare solo su una lettera anonima di denuncia il pezzo giornalistico finalizzato a porre l’attenzione sulle – presunte – precarie condizioni di un reparto ospedaliero vale una condanna per “diffamazione”.

Non ha quindi alcun senso riportare frasi virgolettate, senza avere in alcun modo verificato prima la notizia. 

Vietate le notizie basate sulla vox populi

Se quindi il giornalista intende pubblicare un pezzo basandosi, come fonte, su una lettera anonima deve approfondire la provenienza della missiva e la verità dei fatti in essa affermati e poi riversati nell’articolo. Diversamente, se dovesse risultare che le notizie non corrispondono a verità, l’autore del pezzo giornalistico potrebbe subire – a querela della persona offesa – un procedimento penale per diffamazione. 

In altri termini, concludono i giudici della Cassazione, la “vox populi” «non può ragionevolmente costituire una fonte da usare legittimamente nell’esercizio del diritto-dovere di informare».


note

[1] Cass. sent. n. 5680/19 del 5.02.2019.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 novembre 2018 – 5 febbraio 2019, n. 5680

Presidente Bruno – Relatore Riccardi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa il 24/04/2015 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze del 25.6.2012, che aveva condannato Bi. Fr. e Ca. Francesco per il reato di diffamazione aggravata, per avere, la prima quale autrice dell’articolo “Chirurgia: un reparto allo sbando”, pubblicato sul quotidiano La Nazione del 12.12.2007, ed il secondo quale direttore del giornale, offeso l’onore e il decoro del Prof. Fr. Mo., primario del reparto di chirurgia.

2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione, con due distinti atti, il difensore di Bi. Fr. e Ca. Fr., Avv. An. D’Av., deducendo i seguenti motivi.

2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 595 e 51 cod. pen.: la giornalista ha operato nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, quantomeno putativo, avendo eseguito plurime verifiche, senza basarsi solo sulla lettera anonima giunta in redazione, ma recandosi presso l’Ospedale di Pisa, tentando di parlare con la capo-sala del reparto, e contattando il cd. tribunale del malato ed il sindacato degli infermieri; il titolo non è opera dell’articolista, ma del capo redattore; del resto, la situazione organizzativa critica del reparto era nota da mesi ed oggetto di una diffusa protesta da parte degli infermieri, e l’articolo non conteneva espressioni offensive dalla persona o della professionalità del Prof. Mo., riconosciuta nella pubblicazione, limitandosi ad evidenziare le difficoltà derivanti dalle scarse disponibilità; inoltre, è stata immediatamente pubblicata la rettifica in seguito al comunicato stampa della Direzione ASL.

Sussiste un interesse pubblico alla divulgazione della notizia, e la continenza espositiva. In ogni caso, il lavoro di ricerca e le verosimiglianza della notizia dovrebbero far operare quantomeno la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca.

2.2. Omessa assunzione di prova decisiva: lamenta che erroneamente sia stata ritenuta irrilevante l’assunzione di Ca., rappresentante del sindacato degli infermieri, che avrebbe potuto riferire dei problemi del reparto e del disagio del personale infermieristico.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo, con il quale si deduce la sussistenza della scriminante del diritto di cronaca, anche putativa, è manifestamente infondato.

Secondo l’accertamento giurisdizionale impugnato, infatti, la giornalista Bi. ha pubblicato un articolo dal contenuto oggettivamente diffamatorio, affermando, tra l’altro, che il reparto di chirurgia generale dell’ospedale di Pisa era gestito da semplici “specializzandi”, non da medici “strutturati”, in tal modo accusando il dirigente di affidare il reparto a medici non sufficientemente esperti, e che le corsie ed i bagni erano sporchi; il contenuto diffamatorio dell’articolo, peraltro, veniva compendiato nel titolo “Chirurgia, un reparto allo sbando”.

Tanto premesso, l’invocata causa di giustificazione del diritto di cronaca è stato escluso, con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimità, mancando sia il requisito della verità dei fatti narrati, sia il requisito della continenza; invero, la giornalista risulta aver tratto le informazioni riversate nell’articolo da una lettera anonima – che era stata inviata ad alcuni quotidiani, nonché al primario del reparto, il Prof. Mo., e alla capo-sala -, addirittura riportando alcune frasi in forma virgolettata, senza avere in alcun modo verificato la notizia, risultata, peraltro, infondata, in quanto le indagini dei NAS avevano accertato una situazione organizzativa ed igienica impeccabile, e l’attività degli specializzandi era sempre affiancata a quella dei medici “strutturati”; oltre a non aver richiesto informazioni al direttore dell’U.O. Mo., né alla capo-sala Lu. (cercata una sola volta), l’imputata risulta aver effettuato un sopralluogo soltanto al piano terra, e non anche al piano superiore, dove pure aveva descritto un impossibile via vai di pazienti, e si era limitata a parlare con un sindacalista (Ca.), che aveva riferito essenzialmente del disagio del personale infermieristico legato a carenze di organico.

Pertanto, la giornalista, senza approfondire né la provenienza della missiva anonima, né, soprattutto, la verità dei fatti in essa affermati e automaticamente riversati nell’articolo, ha pubblicato notizie diffamatorie, in quanto non corrispondenti alla verità, ed esposte in forma non continente, rivolta ad una enfatizzazione mediante l’utilizzo di toni forti, sferzanti (“reparto allo sbando”, “l’igiene è spesso un optional”, ecc.), e soprattutto gratuiti, in quanto smentiti dagli accertamenti, tale da inserirsi nel sempre più deprecabile filone di articoli di tipo “scandalistico”.

Premesso che la responsabilità è stata affermata con riferimento al solo contenuto dell’articolo, e non altresì al tenore del titolo, che di solito esula dalla competenza del giornalista, la sentenza impugnata appare dunque immune da censure, in quanto, come già ripetutamente affermato da questa Corte in tema di diffamazione a mezzo stampa, il requisito della verità della notizia riportata, necessario ai fini della operatività della esimente prevista dall’art. 51 cod. pen., non è soddisfatto nel caso in cui il giornalista faccia riferimento ad una “vox populi”, perché questa, in considerazione della sua intrinseca vaghezza e del suo insuperabile carattere impersonale, non può ragionevolmente costituire una fonte da usare legittimamente nell’esercizio del diritto/dovere di informare (Sez. 5, n. 21840 del 11/02/2014, Nascetti, Rv. 260405); inoltre, la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all’onere di esaminare, controllare e verificare l’oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio (Sez. 5, n. 51619 del 17/10/2017, Tassi, Rv. 271628); onere di approfondimento e verifica che, come si è già evidenziato, non risulta in alcun modo essere stato assolto dalla giornalista, che, anche in sede di rettifica, non ha smentito la notizia pubblicata il giorno precedente, continuando a menzionare “le segnalazioni pervenute alla nostra redazione da familiari di ex degenti”.

Va, peraltro, osservato che alcuna doglianza concerne la posizione del ricorrente Ca., condannato, in qualità di direttore del quotidiano, per l’omesso controllo sul contenuto dell’articolo.

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto l’audizione del sindacalista Ca. è stata ritenuta dalla Corte territoriale, con apprezzamento di fatto immune da censure, irrilevante, poiché costui si era limitato a riferire solo della situazione di disagio del personale infermieristico, legato alle carenze di organico, e peraltro limitato nel tempo e risolto, senza in alcun modo coinvolgere i profili organizzativi ed igienici del reparto censurati con l’articolo.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende


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